Arrivato a fari spenti a Houston durante l’estate, l’ex giocatore di Sacramento e Memphis ha scalato le gerarchie dei Rockets, fino a imporsi come titolare complice l’assenza di Eric Gordon. Contro Toronto la definitiva esplosione, firmando il suo massimo stagionale da 28 punti per la miglior vittoria esterna in stagione dei texani
La carriera di Ben McLemore sembrava arrivata a un punto morto. Dopo essere entrato nella NBA nel 2013 con la settima scelta assoluta e una discreta attesa attorno al suo nome, il prodotto di Kansas non ha rispettato neanche una delle promesse che il suo profilo tecnico-atletico sembrava suggerire. Troppo indietro a livello di comprensione del gioco, troppo scarso il suo ball-handling per essere una guardia titolare, troppo disfunzionali i Sacramento Kings per poterlo indirizzare nella maniera giusta. Anche le sue scelte di carriera, poi non sono state granché: dopo essersi quasi rimesso in sesto a Memphis nel 2017-18, McLemore ha deciso per qualche motivo di tornare un’altra volta ai Kings, dove lo scorso anno non ha mai visto il campo (19 gare a 8.3 minuti a partita) e ha disputato la peggior stagione in carriera, fermandosi sotto i 4 punti a partita. Gli Houston Rockets devono però aver visto del potenziale nel suo 41.5% da tre punti nella scorsa stagione, per quanto su soli 2.2 tentativi a gara, e hanno scommesso su di lui con un biennale da 4 milioni (primo anno parzialmente garantito, il secondo non garantito) che fino a questo momento sta dando forse più frutti di quanto sperato.
La semplificazione dei compiti e l’esplosione a Toronto
Nel sistema di Mike D’Antoni modellato sul talento speciale di James Harden, i compiti di McLemore sono ridotti all’osso: piazzati fuori dalla linea di tre punti e se hai un tiro aperto spara senza pensarci. D’altronde la sua meccanica di tira è sempre stata immacolata fin dai tempi del college, per quanto il suo 35% in carriera da tre punti non lo testimoni più di tanto. E per la verità neanche in questo primo quarto di stagione sta andando così bene, visto il 32% con cui stava tirando prima di stanotte, ma la scommessa di D’Antoni è che il volume possa sopperire alle carenze — e che in alcune serate possa finire per fare la differenza. È esattamente quello che è successo a Toronto, dove McLemore è esploso con il suo massimo stagionale da 28 punti segnando 8 delle 22 triple di squadra dei Rockets, peraltro prendendosi 17 conclusioni su 18 con i piedi oltre la linea di tre punti. Con le difese ossessionate dal togliere il pallone dalle mani di James Harden, McLemore ha il compito di farsi trovare sul perimetro per punire i raddoppi sul Barba, che spesso viene braccato prima ancora che superi la metà campo: con così tanto spazio a disposizione (il 91% delle sue triple viene preso con più di un metro di vantaggio sul difensore) e una fiducia nei suoi mezzi che sta crescendo, nelle sette gare da titolare disputate finora l’ex Kings sta viaggiando a 18 punti di media con il 41.3% da tre in 30.6 minuti, con le conclusioni oltre l’arco che rappresentano l’85% dei suoi tiri.
Come cambiano i Rockets quando c’è Ben McLemore
Prendi, tira e non pensare ad altro — una formula che gli permette di nascondere i suoi difetti in letture e ball-handling, semplificando al massimo i compiti richiesti anche in difesa, dove gli viene chiesto semplicemente di cavarsela. In questo modo McLemore si è trasformato in un membro molto importante della rotazione, sopperendo all’assenza Eric Gordon alle prese con il recupero dopo l’operazione al ginocchio di inizio stagione. McLemore al momento è proprietario del miglior Net Rating di tutti i Rockets: con lui in campo i texani battono gli avversari di 14.2 punti su 100 possessi in 452 minuti, migliorando esponenzialmente non solo in attacco (119 di rating offensivo, nessuno come lui) ma anche in difesa (104.8 contro il 107.6 quando è in panchina). Nei minuti in cui non c’è i Rockets concedono 0.7 punti agli avversari, il secondo peggior dato della squadra dopo il -6.6 dei texani senza James Harden e di gran lunga migliore del +12.4 che la squadra di D’Antoni realizza quando si siede Russell Westbrook, che sta vivendo un’annata terribile al tiro con le peggiori percentuali della carriera. E proprio per compensare i deficit di spaziature date dalla presenza di Westbrook, McLemore si è ritagliato uno spazio sempre più importante, fornendo da valvola di sfogo per un attacco che vive in funzione di Harden e deve necessariamente punire le scelte estreme degli avversari. A Toronto McLemore lo ha fatto e i Rockets hanno trovato la loro miglior vittoria in trasferta della stagione, dove prima di stanotte avevano un record di 5-5 con successi solo contro squadre sotto il 50% di vittorie (Minnesota unica eccezione, ma è 10-10) e brucianti sconfitte a Brooklyn, Miami, Denver e Clippers, oltre a quella controversa con San Antonio. Magari il momento non durerà, o magari il ritorno di Gordon lo riporterà in panchina dove il suo rendimento è stato tremendo (meno di 5 punti con il 25% da tre), ma intanto Ben McLemore sembra aver ridato un senso alla sua carriera che stava per finire in un punto morto.