Se non fosse stato per un infortunio a un piede arrivato nel momento peggiore, nel 2014 Joel Embiid non sarebbe mai sceso fino alla numero 3 ai Philadelphia 76ers — ma sarebbe stato scelto dai Cleveland Cavaliers al posto di Andrew Wiggins. La sua destinazione preferita, però, era un'altra
La storia della NBA è piena di “sliding doors”, di porte che sono girate da una parte invece che da un’altra e hanno inevitabilmente segnato il corso degli eventi successivi. Quella dei Philadelphia 76ers degli ultimi anni ne è piena, ma nessuna probabilmente è più importante di quella che ha portato Joel Embiid ai Sixers nel Draft del 2014. Ma la storia è andata davvero vicina ad andare in un’altra maniera: lo racconta Yaron Weitzman nel libro “Tanking to the Top”, che racconta proprio la storia del “Process” di Philadelphia cominciato con Sam Hinkie e arrivato ora a costruire una perenne contender attorno al talento dello stesso Embiid e di Ben Simmons. Nel libro di Weitzman viene raccontato nel dettaglio il provino che il centro camerunense, reduce da un anno a Kansas University, fece per i Cleveland Cavaliers, proprietari della prima scelta assoluta al Draft.
Il racconto del provino “alla Olajuwon”
Embiid era reduce da un infortunio alla schiena che aveva anticipatamente messo fine alla sua stagione universitaria, e per questo i Cavs si aspettavano che fosse giù di tono nel provino. Davanti a lui misero Vitaly Potapenko, al tempo assistente allenatore ma soprattuto ex lungo NBA “di stazza”, uno che anche a 39 anni portava a spasso comunque un corpaccione da 125 chili. Ciò nonostante Embiid “lo spostò di peso come una marionetta”, secondo il racconto dei presenti, schiacciando di potenza sopra di lui e mostrando una forza fisica straordinaria. Tutti i dubbi sulle condizioni della sua schiena erano stati quindi fugati. Poi Embiid ha cominciato a tirare dalla media distanza mostrando il suo tocco morbidissimo, finendo poi con qualche tiro da tre punti. Lì, secondo il racconto di Weitzman, è cominciato lo show.
Canestro. “Come puoi non scegliermi alla numero 1?” ha cominciato a dire Embiid a David Griffin, capo della dirigenza dei Cavs.
Canestro. “Guarda quanto sono forte!”.
Canestro. “Hai bisogno di me, Griff!”.
Canestro. “Sono troppo forte!”.
Canestro. “Devo essere io la numero 1!”.
Canestro. “Davvero, come fai a non prendermi?”.
Tra i sorrisi dei presenti, ormai Embiid aveva convinto tutti. “Sembrava la seconda venuta di Hakeem Olajuwon” ha detto successivamente Griffin. “In quel momento ci ha detto che avrebbe preso Joel alla numero 1” ha raccontato Francois Nyam, uno degli agenti di Embiid al tempo.
L’infortunio al piede che ha fatto deragliare tutto
Embiid ha poi ammaliato tutti anche nella cena organizzata per quella sera, rispondendo bene a tutte le domande e dimostrando una spigliata intelligenza (oltre a divorarsi tre tortini al cioccolato). Il giorno successivo però Embiid si è svegliato con un dolore insopportabile al piede destro, tanto da dire “Non riesco a camminare” al suo agente. La settimana prima in un allenamento con Bismack Biyombo (altro giocatore della stessa agenzia) era caduto sul suo piede provocandogli un po’ di dolore, anche se in quel momento sembrava solo una botta. Una lastra ha però successivamente mostrato una frattura da stress, il primo di una serie di problemi che lo avrebbero portato a saltare i primi due anni di NBA, anche se al tempo nessuno lo poteva prevedere. I Cavs però avevano bisogno di vincere subito, visto che il proprietario Dan Gilbert aveva licenziato l’allenatore Mike Brown e il GM Chris Grant proprio per gli scarsi risultati, e Griffin non poteva permettersi di aspettare Embiid per anni. Per questo dopo la notizia dell’infortunio Sam Hinkie, capo della dirigenza dei Sixers e responsabile del “Process”, dopo aver appreso la notizia andò nell’ufficio di Brett Brown e gli disse: “Embiid si è infortunato a Cleveland oggi. Potrebbe essere disponibile quando sceglieremo alla 3”.
Il vero desiderio di Embiid: andare a Los Angeles
Il resto, come si dice, è storia: i Cavs scelsero Andrew Wiggins (poi subito scambiato per arrivare a Kevin Love), i Milwaukee Bucks andarono su Jabari Parker e Philadelphia si ritrovò tra le mani il suo “Process”. Anche per convincerlo della destinazione Philly, però, c’è voluto del lavoro: data per scontato che Embiid non volesse andare a Milwaukee (“Quel posto è stucchevole” il suo commento), quello che davvero voleva erano i Los Angeles Lakers alla 7, dove si sarebbe trovato alla grande nella città degli angeli. Embiid disse all’agente Arn Tellem di darsi da fare (“Fai le tue magie” gli disse testualmente), ma anche Tellem sapeva che in nessun caso un talento come quello del camerunense sarebbe scivolato fino alla 7. Per questo cercò di convincerlo assieme agli altri della destinazione Philadelphia: dopo un po’ di tempo, anche Embiid si è poi convinto. Neanche lui poteva sapere quanto sarebbe però andato in profondità il suo rapporto (a volte burrascoso) con la città dell’amore fraterno.