Please select your default edition
Your default site has been set

19/30: RJ Barrett, la speranza (e non solo) dei New York Knicks

focus nba
©Getty

La terza scelta assoluta di New York non ha incantato nella sua prima stagione da professionista, ma sistemando qualche aspetto del suo gioco potrebbe tenere fede alle tante ambizioni piovute sulle sue spalle ben prima della scelta da parte dei Knicks

CORONAVIRUS, LE NEWS IN DIRETTA

“R.J. Barrett, il miglior prospetto dai tempi di LeBron James”. Una condanna, un fardello e in parte anche una maledizione caduta sulle spalle del talento dei Knicks, finito sulla copertina di SLAM nell’ottobre del 2018 - privilegio concesso solo ai più grandi - e da tutti indicato come la futura numero 1 al Draft; un’annotazione presente anche a fianco alla sua foto in maglia Duke in prima pagina, quasi fosse un presagio nefasto. In quel momento Barrett doveva ancora fare il suo esordio al college, oltre che scoprire che proprio al suo fianco e nel suo stesso spogliatoio stava crescendo un fiore ben più rigoglioso di lui: Zion Williamson, che nel giro di poche settimane gli ha scippato le copertine, la prima scelta e il ruolo da “nuovo” LeBron. Per un ragazzo battezzato da Steve Nash - nel vero senso della parola - la pressione e le aspettative non erano mai state un grosso problema. Simbolo di un’intera nazione che grazie ai Toronto Raptors ha conquistato la vetta della NBA lo scorso giugno e che vede in Barrett il talento giusto per rilanciare anche la nazionale - anch’essa affidata a coach Nick Nurse, diventato ormai un eroe in Canada. Barrett quindi ha visto in parte ridimensionarsi le aspettative che venivano poste sulle sue spalle, finite su quelle ben più larghe di Williamson che a furia di schiacciate e giocate da highlights lo ha fatto scivolare nell’ombra: “Perché dovrei essere geloso del fatto che un mio compagno stia giocando alla grande?”, si chiedeva la scorsa primavera. “Perché dovrei fare questa pazzia? Non ce n’è bisogno, anche perché abbiamo entrambi un obiettivo comune con Duke”. Frasi di circostanza, che non hanno portato il tanto auspicato successo in NCAA, né per lui, né per il chiacchierato Williamson.

Un giocatore dei Knicks per scelta (anche sua)

L’obiettivo di Barrett la sera del Draft 2019 dunque, anche tenendo conto dell’ordine di chiamata, non era più la prima chiamata assoluta, ma la destinazione. “Essere un giocatore dei Knicks per me significa molto, ben più di quello che si possa immaginare”: queste le prime parole rilasciate in conferenza stampa a seguito della selezione, pronunciate indossando soddisfatto il cappellino della squadra di New York. Parole dal senso profondo per chi non ha mai nascosto la passione del nonno - “Uno dei più grandi tifosi dei Knicks che abbia mai conosciuto” - e che nonostante il passaporto canadese, ha sempre considerato la Grande Mela come casa sua. Mamma Kesha infatti è di Brooklyn, mentre papà Rowan ha giocato per St. John. Un legame talmente tanto viscerale che, una volta chiare le aspettative in vista del Draft, Barrett ha deciso in qualche modo di indirizzare la selezione: dato per assodato che Zion Williamson sarebbe stato la prima scelta, subito dopo a chiamare sarebbero stati i Grizzlies e poi i Knicks. Barrett però, poche settimane prima del Draft, ha deciso di non rispondere alla chiamata di Memphis - rifiutando così di sottoporsi a un lavoro dedicato con la squadra del Tennessee: “Io, il mio agente e la mia famiglia abbiamo scelto di dire di no: nulla contro i Grizzlies, ma New York è il posto in cui voglio stare”. Come dargli torto, nonostante tutti i problemi cronici che i Knicks si portano dietro da tempo come squadra incapace di fare risultati.

La prima stagione da professionista e gli aspetti da migliorare

Anche quest’anno le cose non sono migliorate, anzi. New York ha continuato a perdere come in passato, ma ha trovato in Barrett lampi di talento (e speranza) che restano una delle poche basi dalle quali i Knicks potranno ripartire. Uno stop alla regular season che paradossalmente lo ha fermato sul più bello, dopo che a inizio marzo aveva cominciato a mostrare discreta continuità (oltre quota 20 punti di media, prima che la pandemia da coronavirus ponesse un freno alla stagione). Nelle ultime otto partite di regular season, Barrett ha messo a referto 18.3 punti, 4.6 rimbalzi e 4.5 assist, tirando con oltre il 48% dal campo. Mano destra o sinistra, poco importa, per un talento in grado di colpire - e teoricamente tirare - con entrambe: “Mangio e scrivo senza problemi con tutte e due. Quando tiro invece in molti mi dicono che sono più efficace con la destra, ma io mi trovo più comodo con la sinistra”. Una delle tante caratteristiche insomma che potranno tornare utili a un giocatore che già sa su quali aspetti del suo gioco dovrà lavorare con maggiore attenzione: troppo poco il 61% ai tiri liberi e il 32% dalla lunga distanza. Per un realizzatore di livello in NBA, quelle cifre dovranno salire in maniera sensibile in futuro - a prescindere dal contesto nel quale verranno messe a referto. Considerazioni giuste, doverose per certi versi, ma che non tengono conto del dato più importante: il 19 che al momento compare di fianco alla parola “età” sulla sua scheda personale. Talmente giovane da avere tutto il tempo per migliorare.