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NBA, Michael Jordan e il mancato saluto di George Karl: “Non volevo cadere nella trappola”

l'aneddoto
©Getty

Il n°23 dei Bulls traeva la sua forza nel trasformare le reazioni del mondo che lo circondavano in sfide personali: un errore commesso anche dall’allenatore dei Sonics nel 1996, quando decise di far finta di niente davanti a MJ in un ristorante di Seattle

La trama di “The Last Dance” segue un copione non scritto, ma che spesso rimanda a un sottinteso ben chiaro a tutti i protagonisti della serie: non far arrabbiare in alcun modo Michael Jordan, altrimenti la pagherai cara. Non bisogna mai dare al n°23 dei Bulls un motivo ulteriori per provare risentimento, per caricarsi di energia e di voglia di sfida contro ogni possibile avversario. È un errore commesso da molti e anche da George Karl - allenatore dei Seattle Supersonics che nel 1996 sfidarono in finale la Chicago di Jordan. Come raccontato da MJ, il talento dei Bulls incrociò il coach avversario in un ristorante di Seattle durante quella serie, ma venne snobbato da Karl che non lo salutò neanche, facendo finta di non vederlo. Un atteggiamento che mandò su tutte le furie Jordan, motivato ancora di più a fargliela pagare sul parquet. Una scelta che lo stesso Karl ha spiegato nelle scorse ore, dopo aver visto la nuova puntata: “É vero quello che ha raccontato MJ, ma è stata una strategia. Avevo nel mio staff all’epoca Brandan Malone che era stato assistente ai Pistons e sapeva bene cosa volesse dire sfidare Jordan: lui mi aveva consigliato di tenermi alla larga dai suoi giochi mentali. Dovevo soltanto dirgli “ciao” all’inizio della serie e non dimenticarmi in alcun modo di stringergli la mano una volta terminata [chiaro riferimento alla questione Isiah Thomas di qualche anno prima, ndr]: per quello ho fatto finta di nulla”. Un atteggiamento che in qualche modo avrebbe anche potuto avere una sua logica, ma che mandò su tutte le furie Jordan perché lui e coach Karl avevano un passato comune alla corte di Dean Smith a North Carolina e perché si conoscevano già da molto prima rispetto a quelle Finals. Agli occhi di MJ quindi quella apparve come una mancanza di rispetto da parte di un amico che, nel pieno delle Finals, aveva deciso di far finta di niente. Un affronto pagato a caro prezzo da quella Seattle, così come da tutti quelli che hanno fatto la scelta sbagliata agli occhi di Jordan e si sono ritrovati lungo la sua strada.