
Marco Belinelli è cresciuto nel mito di Michael Jordan. Come Jordan — unico italiano a farcela — ha provato cosa vuol dire vincere un titolo NBA, lasciarsi andare in lacrime aggrappati al Larry O’Brien Trophy. In sei mini-clip ecco il Belinelli-pensiero su quella incredibile dinastia Bulls tornata di grande attualità con il documentario “The Last Dance”

LE PAROLE DI BELINELLI | Viste otto delle dieci puntate, si sta avvicinando alla fine la programmazione di “The Last Dance”, disponibile su Netflix e a un prezzo vantaggioso per gli abbonati Sky che sottoscrivono l’offerta Intrattenimento Plus su Sky Q. Nella giornata di lunedì, in Italia, arrivano gli ultimi due episodi, ma nell’attesa ecco cosa pensa Marco Belinelli della serie sui Bulls 1997-98
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IL PRIMO RICORDO | “Michael Jordan, ovviamente: è sempre stato il mio idolo, il giocatore con cui sono cresciuto. Però poi tutti: Scottie Pippen, Dennis Rodman, ma anche Toni Kukoc e Steve Kerr, tutti alla corte di un grandissimo allenatore come Phil Jackson. Una squadra forte, unita, vera”, dice Belinelli
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IL PRIMO TITOLO NBA | “Vincere il titolo NBA è tutto”, dice il tiratore degli Spurs. “È un’emozione incredibile: nessuno si aspettava le lacrime di Jordan dopo quel primo titolo del 1991, ma quelle lacrime mi hanno ricordato le mie: ti passa davanti tutto nella testa ed è una gioia davvero incredibile”
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RE DI CHICAGO | “Ho avuto la fortuna di giocare a Chicago, al campo di allenamento e all’arena le sensazioni le sensazioni sono uniche: la sua presenza si può sentire. Io Jordan l’ho conosciuto: ero un ragazzino, impaurito, ci siamo stretti la mano ma non sono riuscito a pronunciare una parola. Il cuore mi batteva come non mai”
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“DIO VESTITO DA JORDAN” | “Quella serie di primo turno tra Chicago e Boston Jordan fa qualcosa di disumano: contro i Celtics di Larry Bird MJ fa 49 in gara-1 e 63 in gara-2… è incredibile. A guardarlo mi sono caricato tantissimo”
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DANCE LIKE “HIS AIRNESS” | Da piccolo volevo imitarlo come giocatore, i suoi tiri, le sue giocate. E poi che stile: il polsino, la scarpa giusta, era — e rimane — un’icona. Io la mia prima schiacciata me la ricordo, ma vedere Jordan è un’altra cosa: lui sembrava stare in aria più a lungo di tutti. Ed era così davvero”
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NESSUNO VINCE DA SOLO | “Il primo a dirlo a Jordan stesso: senza l’aiuto di Pippen, Rodman, Phil Jackson e gli altri non sarebbe riuscito a vincere. Il messaggio è quello: il gruppo è quello che conta davvero per vincere. Jordan all’inizio è più realizzatore, poi alle finali 1991 passa la palla a Paxson per canestri fondamentali”
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