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Morte George Floyd, la reazione e le parole dei Minnesota Timberwolves

NBA
©Getty

L’uccisione dell’afroamericano soffocato durante l'arresto da parte della polizia di Minneapolis è diventata la miccia che ha fatto divampare la protesta in città (e in tutti gli Stati Uniti). E anche i T’Wolves hanno voluto confrontarsi e condividere le proprie esperienze: “In casi come questo, c’è bisogno di sfruttare il proprio ruolo per dire cosa è giusto e cosa è sbagliato”

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Le proteste, gli scontri di piazza, i saccheggi, i morti. Minneapolis sta vivendo le sue ore più drammatiche, reduce da settimane di lockdown e travolta dalla protesta a seguito della diffusione delle immagini della morte di George Floyd - afroamericano arrestato e soffocato con indifferenza davanti alla telecamere dei passati dalla polizia della città. Immagini che hanno scosso il mondo intero e anche giocatori e staff dei T’Wolves, che hanno deciso di restare per lo più in silenzio sui social network e di parlare insieme in maniera privata di quanto accaduto. “Sono un uomo bianco che ricopre una posizione di responsabilità e da dirigente sugli altri - spiega coach Saunders - Non ho mai preso alla leggera il fatto che nella mia vita non ho mai avuto esperienze personali di questo tipo, a differenza di tanti altri ragazzi del mio spogliatoio che hanno dovuto convivere con problemi che affliggono la loro comunità. Non ho mai subito discriminazioni così forti. Volevo essere sicuro che tutti capissero che c’è grande disponibilità all’ascolto, so che è l’unico modo per rendere più educate e comprensive le persone che hanno la fortuna e godono del beneficio di non essere discriminate per il colore della pelle o per altro. Sono cresciuto nel Minnesota e sono rimasto sconvolto da quanto ho visto. Sono due giorni che non mi sento più a mio agio. Alle volte anche il silenzio può essere assordante, ma quando hai l’opportunità di parlare e di fare la cosa giusta, è fondamentale farlo ed esporsi in prima persona”. L’allenatore per questo ha chiesto di organizzare una conferenza via Zoom con tutta la squadra, ben diversa da quelle che settimanalmente sono state fatte per motivare i giocatori e cercare di preservare lo spirito di gruppo. “Questa volta doveva rispondere ai bisogni dei nostri giocatori”, sottolinea Gersson Rosas - dirigente dei T’Wolves. In molti infatti avevano bisogno di parlare, di condividere con gli altri le loro storie e le loro ansie.

Le parole di Beasley e Towns in una situazione che resta esplosiva

Secondo quanto raccontato da ESPN, tutti hanno condiviso le loro esperienze personali: David Vanterpool - assistente allenatore a Minneapolis - ha spiegato che a 47 anni ancora ha paura ogni volta che un’auto della polizia si avvicina alle sue spalle mentre sta camminando per strada. Malik Beasley invece non riesce a capacitarsi dell’atteggiamento e della scelta degli altri tre poliziotti di non intervenire: “Perché non lo hanno aiutato?”, si domanda prima di dettagliare un altro tipo molto particolare di discriminazione nei confronti della sua fidanzata. Di origine asiatica, è stata tra le prime a cogliere l’importanza dei dispositivi di protezione individuale quando negli USA ancora si pensava che la pandemia da coronavirus non potesse arrivare: “Andava in giro con la mascherina e le persone iniziavano a evitarla e a puntare il dito contro di lei: “Ci hai portato il virus, vattene”. A quel punto abbiamo scelto di restare a casa più tempo possibile”. L’ex giocatore dei Nuggets, come buona parte del roster dei T’Wolves, è arrivato da poco in città, all’interno di un grande periodo di rivoluzione per Minnesota che nel giro di un anno ha confermato in squadra soltanto Karl-Anthony Towns e Josh Okogie. E proprio il centro dei T’Wolves è intervenuto durante la video conferenza, raccontando quanto sia stata dolorosa la perdita di sua madre Jackie. Un momento complicatissimo per lui, per la squadra e per l’intera comunità, che avrà bisogno di metabolizzare e trovare giustizia a seguito di un gesto che lasciato il segno nella comunità NBA e non solo.