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NBA Silver ammette: "Non la situazione ideale: tornare in campo a Orlando non è per tutti"

NBA
©Getty

Il numero uno NBA non si nasconde: "Una pandemia, una grave recessione economica e tensioni sociali al massimo: capisco le preoccupazioni dei nostri giocatori", dice. Ma poi aggiunge: "Sentiamo un obbligo morale di voler tornare in campo: per non darla vinta al virus"

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Le voci critiche di Kyrie Irving e Avery Bradley, di Damian Lillard e Dwight Howard e di tanti altri giocatori ancora hanno fatto molto rumore negli ultimi giorni: per questo il commissioner NBA Adam Silver ha scelto di intervenire in prima persona sugli schermi di ESPN per chiarire una volta di più le motivazioni della lega nella scelta di tornare in campo. E lo ha fatto riconoscendo un importante punto di partenza: “No, non è una situazione ideale — ha ammesso il n°1 NBA — perché stiamo cercando di dare un po’ di normalità in un periodo che ha visto una pandemia, una recessione che ha lasciato senza lavoro 40 milioni di americani e un periodo di forti tensioni sociali. Per questo — continua Silver — posso capire le resistenze a tornare in campo da parte di alcuni giocatori: possono temere per la loro famiglia, per la loro salute, possono semplicemente sentire di voler spendere il loro tempo in un’altra maniera”, riferendosi in questo caso alla volontà professata da molti atleti afroamericani di voler restare al fianco delle proprie comunità. “Quello che è successo dopo la morte di George Floyd è qualcosa di unico, senza precedenti e ho grande empatia per le persone colpite da questo tipo di ingiustizia. Per questo capisco che la nostra idea di tornare in campo e incoronare un campione NBA possa non essere la priorità per molte persone”. “Venire a Orlando per riprendere a giocare può non essere per tutti — conclude Silver — perché richiede enormi sacrifici a tutte le parti coinvolte”.

“I soldi non c’entrano: sentiamo un obbligo morale di giocare”

E a chi lo accusa di voler rimettere in strada lo show NBA soltanto per motivazioni economiche, il commissioner risponde così: “A questo punto la differenza economica tra giocare e non giocare non è così grande come pensa la gente, considerati i costi che dovremo sostenere per assicurare la massima sicurezza possibile a tutti. È più un obbligo morale che la comunità NBA sente di provare a tornare in campo, per non restare a guardare da fuori e darla vinta a un virus. Siamo la NBA, questo è quello che facciamo: pensiamo che la pallacanestro e lo sport possano far bene al resto del Paese in questo momento di enormi difficoltà per tutti. L’attenzione di tutti sarà su Orlando, per cui penso che i giocatori avranno una grande opportunità di generare ancora più consapevolezza su certi temi di giustizia sociale. Come può rispondere una lega come la NBA al razzismo endemico che attanaglia la nostra società? Insieme ai giocatori siamo convinti di poter utilizzare la nostra piattaforma per stimolare davvero un cambiamento reale all’interno della società”.