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NBA, Bradley Beal e un agente razzista: "E se ora ti sbatto in prima pagina e ti arresto?"

NBA
©Getty

Intervenuto - insieme a John Wall e alla quasi totalità del roster degli Wizards - alla marcia cittadina a supporto del movimento Black Lives Matter, la guardia degli Wizards ha raccontato uno spiacevole episodio avvenuto solo due anni fa: "Non avevo fatto nulla, ero solo un uomo di colore al volante di un'auto costosa: ho rischiato l'arresto"

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La marcia aveva un nome evocativo — Together We Stand — e il luogo simbolico in cui si è compiuta, la capitale degli Stati Uniti d’America, Washington D.C., l’ha resa ancora più speciale. In tanti hanno marciato per le strade della città fino al MLK Memorial, e tra questi molti c’erano anche la guardia delle Washington Mystics Natasha Cloud, coordinatrice della manifestazione e trait d’union con la squadra maschile della città, gli Wizards (che per l'occasione hanno modificato il logo secondario della squadra, come da foto a fondo pagina). È lei ad aver invitato Bradley Beal, John Wall e la stragrande maggioranza del roster della squadra (Rui Hachimura, Thomas Bryant, Ian Mahinmi, Ish Smith, Moe Wagner, Shabazz Napier, Isaac Bonga, Davis Bertans e Troy Brown Jr.), tutti felicissimi di scendere in strada per richiedere una maggiore giustizia sociale. Maglia nera con la scritta “Black Lives Matter”, mascherina d’ordinanza e megafono in mano, Bradley Beal in particolare ha rubato la scena condividendo con gli altri manifestanti un episodio di soli due anni fa, quando la star degli Wizards fu fermato senza motivo da un poliziotto sulla Interstate 495 — che racchiude in una sorta di cintura la capitale USA — mentre era a bordo della sua auto insieme alla moglie e a un amico da: “E se ora ti rovino il tuo lunedì, faccio finire il tuo nome su un titolo di giornale e ti arresto immediatamente?”, le parole pronunciate a muso duro dall’agente. “Non avevo fatto niente — continua Beal — ma siccome ero un uomo di colore al volante di un’auto costosa quello fu il suo modo di approcciarsi a me”.

Il precedente di Michael Brown nel suo Missouri

Beal, nato e cresciuto a St. Louis, Missouri ricorda benissimo — e con rammarico — uno dei primi casi di brutalità da parte della polizia, quello che nel 2014 portò all’uccisione a Ferguson, nel suo stato natale, di Michael Brown. “Oggi mi fa ancora male pensare che quando venne ucciso, a casa mia, io non dissi e non feci nulla, al riguardo. Cercai di ignorare la notizia, come nascondendola sotto un tappeto, ma ora ho sei anni in più, sono maturato molto”, afferma il due volte All-Star di Washington. Alla sua maturazione ha contribuito anche la paternità: “Ho due figli oggi e per me la parte più difficile è immaginare quanto sarà diversa la loro vita rispetto alle esperienze che hanno formato me. Alla fine, però, una cosa non cambia: dovranno affrontare certe sfide che sono le stesse che ho dovuto affrontare io, ed è mio compito prepararli nel miglior modo possibile”. Su come poterlo fare, su come poter costruire una società migliore per le nuove generazioni, Beal ha un’idea: “Doppiamo fare in modo che chiunque abbia un ruolo nell’esercitare e applicare la legge — che siano i poliziotti, i politici, i giudici, gli avvocati distrettuali, i nostri rappresentati statali o i giuristi — sia controllato ed eventualmente ritenuto responsabile delle sue azioni”.