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NBA, Pau Gasol: i Lakers ritirano la sua maglia n°16, nel segno di Kobe Bryant

NBA

Valentina Clemente (inviata a Los Angeles)

©Getty

Il suo 16, vicino all’8 e al 24 di Kobe. Le parole di Phil Jackson, Magic e Kareem. La maglia numero 16 su tutte le sedie della Crypto Arena. Il ricordo dei due anelli insieme all’amico di sempre, Black Mamba. L’affetto che che lo lega a Memphis, la sua prima squadra NBA. Il desiderio di essere un esempio e di “rendere il mondo migliore”. Sempre e comunque con un’educazione fuori dal comune, che rendono Pau ancora più speciale. Siamo stati alla cerimonia di ritiro della maglia di Pau Gasol: ecco il nostro racconto

È tempo di Lakers-Grizzlies. È la serata di Pau Gasol e del suo numero 16. Emozioni, pensieri, ricordi. Tanti, forse troppi. E chissà da quanti giorni stanno passando nella sua testa. Quando vengono trasmessi dei video che ripercorrono la sua carriera, ben prima dell’inizio ufficiale della cerimonia del ritiro della sua maglia, Pau Gasol non riesce a trattenere le lacrime. Ma anche i sorrisi. Tiene in braccio la figlia Elisabet Gianna, per qualche istante le tocca la mano e la fa salutare. Poi si alza e guarda tutte le persone che lo applaudono. In quei video ci sono gli abbracci a Kobe, gli schemi di Black Mamba durante le partite. Ma anche le istantanee con la nazionale spagnola, i progetti con i bambini e la sua fondazione. Le parole di Phil Jackson, di Sasha Vujačić e Derek Fisher. È il mondo di Pau, e attorno a lui, la famiglia Lakers, in piedi per lui. Per la sua bravura, ma anche per la sua umiltà. Campione in campo, ma anche fuori. Incredibile pensare a tutto quello che questo atleta è riuscito a fare nel suo percorso. E ancor di più vedere come la celebrità non l’abbia mai cambiato.

“Pau, why are you so humble? Do you realize how great you have been?” Ebbene sì: gliel’ho chiesto davvero. Non capivo perché un campione come lui potesse veramente essere così gentile, educato, amorevole e sincero nel parlare della sua amicizia con Kobe Bryant (che è sempre nei suoi pensieri – in più momenti ha detto “mi manca molto, ma non mi resta che volere bene alla sua famiglia”) e modesto nel raccontare la sua carriera a Memphis e Los Angeles, ma anche dei suoi successi con la nazionale spagnola. “Ma com’è possibile?” mi sono detta in questi due giorni. Beh sì, si può fare. Ma soprattutto: Pau non fa finta, è proprio così. Un killer in campo, un atleta dalla personalità esemplare fuori. Ma forse il segreto sta proprio lì: Pau è sempre stato d’esempio, prima, durante e dopo aver concluso la sua carriera agonistica. Immaginate per qualche istante di essere uno dei giocatori più forti nella storia dell’NBA. Di aver vinto due titoli con i Los Angeles Lakers di Kobe Bryant (sì, il back to back, quella cosa che succede poche, pochissime volte, e addirittura con i Boston Celtics – una vittoria che, si sa, per i Lakers ha un sapore particolare), di aver partecipato a sei All-Star Game, di aver fatto parte per quattro volte dell’All-NBA Team. Di aver vinto un Mondiale e tre Europei con la nazionale spagnola. Di essere il cestista europeo ad aver ottenuto più medaglie e ad aver segnato più punti nella storia di Eurobasket. Ma soprattutto immaginate di essere un ragazzo catalano, appassionato di basket che viene scelto nei primi tre al Draft del 2001 e, nella sua carriera, diventa l’unico e solo Pau.

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Tutto questo è successo davvero. E i Lakers questa sera lo vogliono celebrare

Della serie: immaginate l’inimmaginabile. Ma tutto questo è successo davvero, a Pau Gasol. Chissà se Pau, in queste ultime settimane, ha ripensato a tutto quello che è riuscito a fare in quasi 20 anni di carriera, proprio quando i “suoi” Lakers hanno deciso di ritirare quel numero 16 che l’ha sempre contraddistinto. Gliel’abbiamo chiesto due giorni prima della cerimonia, durante un evento aperto alla stampa, in cui Pau Gasol ha giocato con alcuni bambini della Gasol Foundation in un Recreation Center di Los Angeles, poco lontano dalla Crypto Arena, che l’ha visto protagonista negli ultimi anni. “Se mi è passata davanti agli occhi la mia carriera, in queste ultime settimane? Non saprei, ho talmente tante emozioni che non ho pensato a tutto quello che ho fatto. Cercherò di godermi ogni istante della cerimonia”. Gli abbiamo fatto la stessa domanda poche ore prima della “sua” serata. La risposta data da Pau, in quella sala che in molte occasioni l’ha visto protagonista dopo tante partite, è: “Come mi sento? Orgoglioso di aver rappresentato i Lakers, sono emozionato e sento l’impegno. Difficile trovare le parole giuste”. Porta con nonchalance gli anelli vinti con la franchigia losangelina, ricorda (e sorride) il momento in cui Kobe gli ha messo su una sedia la medaglia d’oro vinta dalla nazionale americana contro la Spagna nella finale alle Olimpiadi di Pechino (dicendogli: “vedi di non perdere di nuovo!”), quasi si commuove pensando a quando, a 21 anni, è arrivato a Memphis. “Sì, ne avevo 21…ma ne dimostravo 18!” dice a un giornalista, ricordando quel momento che l’ha fatto conoscere nella mecca del basket. E si emoziona, riguardando nei suoi pensieri, a quando si è unito ai Lakers di Kobe. “Per questa squadra ho un amore incondizionato che durerà per sempre”. Parole preziose, poi una breve pausa dalla stampa. L’inizio della partita tra le due “sue” franchigie. E poi la cerimonia tanto immaginata, quel momento così atteso.

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Lo speaker lo annuncia, Pau Gasol si avvicina al centro del campo. Vanessa Bryant, in video, si rivolge a lui dicendo: “Kobe sapeva che avresti fatto qualcosa di grande. E sarebbe stato orgoglioso di te”. Ci sono anche le parole di Kobe, che sorride in un video. Il pubblico applaude. Pau si emoziona, poi prende il microfono e, prima di tutto, ringrazia proprio la moglie dell’amico e compagno fraterno, che ora è accanto a lui: “Grazie Vanessa per le bellissime parole, orgoglioso di esserti vicino. E di essere lo zio delle tue bellissime bambine”. Poi Pau si rivolge a tutta la Crypto: “È stato un onore far parte di questa franchigia. Grazie a voi, alla mia famiglia, a mio fratello Marc, a mia moglie. A Jeanie Buss, a tutta la Lakers Nation. Grazie a Phil Jackson, ai miei compagni di squadra: mi avete reso un atleta migliore, un pezzetto di quella maglia è anche vostro. Ho ancora nel cuore quella Gara 7 contro i Celtics, credo che molti di voi la pensino come me! Grazie alla città di Los Angeles. Ma anche grazie alla stampa. La mia maglia si unisce ad un gruppo di persone molto speciali. Nel mio piccolo, cercherò di dare sempre il meglio di me, per fare la differenza e rendere il mondo un posto migliore. Muchas gracias”. La maglia viene svelata, è lì: insieme a quelle dei Grandi dei Lakers. Pau si commuove, poi sorride quando ascolta le parole di Kareem Abdul-Jabbar e di Magic Johnson. Troppo poco tempo per trovare le parole giuste. Troppe emozioni da descrivere. Troppo l’amore per i suoi Lakers. Guardandolo, mi torna in mente la domanda di qualche giorno prima: “Pau, perché sei così modesto? Ti rendi conto di quante cose belle hai fatto?” Ma ripenso anche alla sua risposta: “Sono così”, come a voler dire “non posso farci niente”. L’ingrediente segreto, probabilmente, è proprio quello, il suo essere “fatto così”.

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