Venti di passione. Piccolo breviario di tutte le gare-7 delle Finals (seconda parte)

10 – O Captain, My Captain Venerdì 8 maggio 1970 New York Knicks - Los Angeles Lakers 113-99 Finalmente tornati alle Finals, vent’anni dopo il triplice back-to-back all’incontrario contro Rochester e Minneapolis , i Knicks sono dati per favoriti per il loro agognato primo titolo. La truppa di coach Red Holzman, sommo profeta dell’ "Hitting-the-open-man", al miglior record in regular season , abbina un filotto aperto di 18 vittorie. In più, oltre che un Willis Reed alla miglior stagione e un Walt Frazier alla prima delle sue sette da All-Star, coppia da ventello a testa di media, vanta un signor supporting cast con il compianto Dick Barnett , suo 'The Strangest Jump Shot in NBA history', le ali Dave DeBusschere e Bill Bradley e, da sesto uomo deluxe, la guardia Cazzie Russell. Sì, quel Cazzie Russell che a Michigan si contendeva col rivale Bradley la ribalta del college basketball. Come New York, però, neanche i Lakers da quando si erano trasferiti a Los Angeles avevano mai vinto il titolo. Contando pure i tempi di Minneapolis, per loro era la dodicesima finale e stavolta finalmente senza i Celtics, per sei volte su sette la loro bestia biancoverde . Anche coach Joe Mullaney aveva un trio di superstar – Jerry West, Wilt Chamberlain ed Elgin Baylor – e sbarazzatisi di Atlanta in quattro partite nelle Finali a Ovest, questa poteva essere la loro grande occasione. Spartitesi equamente le prime quattro gare della serie, con la metà finite all’overtime, i Knicks si erano portati sul 3-2 in gara-5, vinta 107-100 ma perdendo la loro bandiera, il centro Reed, vittima di uno strappo muscolare a una coscia. Priva di un backup all’altezza , senza Reed ad occuparsi di Chamberlain tutto faceva pensare che New York avesse poche chance. Forse nessuna. Preoccupazioni più che fondate: in gara-6 al Forum di Inglewood, con Reed non in grado di giocare, Chamberlain era stato straripante e Lakers a +22 : un massacro. A tifosi, media e allo stesso entourage dei Knicks pareva improbabile che Reed potesse recuperare per gara-7, in programma appena due giorni dopo. E no-Reed, no-party. Nessuno però sapeva per certo che nel frattempo Willis si era sottoposto a diverse infiltrazioni. Ma poi, a un paio d’ore dalla palla a due, ecco l’Epifania: Willis scende sul parquet del Madison Square Garden per un provino. Ma anche dopo aver testato – sul campo – la gamba infortunata, non era sicuro di poter giocare. Convinto magari sì, sicuro proprio no. E se non lo era lui figurarsi i tifosi dei Knicks. Con le squadre già in campo per il riscaldamento, Reed non si era visto. Poi, a cinque minuti dal tip-off, eccolo entrare in zoppicante, e sepolto da un’ovazione di applausi scroscianti. Fra una smorfia di dolore e l’altra il Capitano esegue qualche tiretto e poi si accomoda in panchina. All’annuncio dei quintetti titolari, udito il nome di Reed il Garden esplode. I Lakers vincono la palla a due ma sbagliano il loro primo tiro. I Knicks recuperano palla: e al vertice dell’area proprio Willis, imbeccato da Frazier, infila il jumper rifà deflagrare il Garden. I primi due punti dell’incontro erano suoi, del Capitano che sembrava neppure dovesse esserci. E che invece per nulla al mondo poteva mancare. Un minuto dopo, su un suo rimbalzo difensivo, New York si fionda in attacco e sempre lui infila ancora dai sei metri. Quattro punti suoi nei primi due possessi Knicks. Galvanizzata dalla sua presenza – e che presenza – la squadra balza in testa subito in testa, 15-6. I Knicks all’intervallo veleggiano già a +27 con uno straripante Frazier da 23 punti in metà gara e 36 + 19 assist alla fine. La gara della vita. Reed non segnerà più, chiuderà a 4 punti e 3 rimbalzi, ma i suoi ventisette, dolorosissimi minuti in campo erano stati la chiave del 113-99 newyorchese. Tra le pieghe, i 17 rimbalzi di DeBusschere. Con l’inevitabile MVP della serie, Reed completa il suo particolarissimo grande slam: Miglior giocatore di regular season, dell’All-Star Game di Philadelphia e della Finale. "Credevo di non riuscire nemmeno a camminare", dirà poi. "Ma era la partita che decideva il campionato. Non potevo starmene seduto in panchina e restare lì a guardarmela. Dovevo fare tutto quello che potevo". È valsa lo storico primo titolo dei Knicks, e ha dimostrato di che pasta era fatto il loro Capitano. 9 – West Side History Lunedì 5 maggio 1969 Los Angeles Lakers - Boston Celtics 106-108 È la Finale delle migliaia di palloncini già appesi alle volte del Forum, della banda che suona un sinistro 'Happy Days Are Here Again'. E con in campo ancora le solite rivali, ma stavolta a Inglewood e quindi – almeno sulla carta – senza l’incombere della mistica del Boston Garden. Il fatale errore lo commette però l’owner gialloviola nello sfidarla anche a distanza. "Those things are going to stay up there a hell of a long time", quella roba se ne starà lassù per un bel po’, dirà il giemme biancoverde Red Auerbach passeggiando nell’arena prima di guastare quella festa troppo presto annunciata. Prima edizione dell’MVP delle Finals, e unica è rimasta: a vincerlo è il più tormentato dei Natural Born Losers, 'Mr. Logo' Jerry West: 42 punti, 13 rimbalzi e 12 assist. L’unico a vincerlo senza conquistare il titolo, e persino commovente nel giocare con l’adduttore fasciato e addirittura peggiorato nella coda della serie. Boston segna 8 dei suoi primi 10 tiri e scatta sul 12-24. I Lakers accorciano fino al -3 di fine primo quarto e dell’intervallo . Nel terzo quarto Los Angeles pareggia, ma poi ha cinque minuti di blackout. E quando ne mancano cinque alla fine del periodo, Boston è a +9 . A -3’39” Russell ruba palla a Wilt Chamberlain e lo costringe al fallo: gioco da tre punti: 79-66 Boston. In 885 partite di NBA, mai Wilt aveva dovuto uscire per falli. E coach Butch Van Breda Kolff non lo toglie. Boston allora forza nel mezzo e allunga anche a +17 nel quarto periodo, quando però anche Russell e Jones commettono il quinto fallo. A quel punto si scatena West: cinque punti in fila e gap sceso a 12. Liberi come se piovesse. Quinto fallo per John Havlicek, e sesto per “Bank Shot” Jones che col campo saluta pure la carriera. Con lui a 24 punti alla fine saranno tre i Celtics sul ventello: Havlicek a 26, Em Bryant a 20. Russell ne segna appena sei ma spazza i tabelloni con una furia iconoclasta. Al canestro di Baylor seguono altri tre punti di West, Havlicek risponde col jumper del -9 a -6’ dalla fine. A -5’45” su un rimbalzo difensivo fa crac il ginocchio di Chamberlain, Van Breda Kolff adesso sì deve far entrare Mel Counts. Due liberi, un jumper e altri due viaggi in lunetta di West: -3 . Boston, vecchia, corta e stanca, è sulle gambe. A tre minuti dalla sirena, sorpresa-sorpresa, Counts mette il jumper del -1. Chamberlain è pronto a rientrare. Ma il coach lo gela: "We’re doing well enough without you". West, ignaro dello scambio, mai se ne capaciterà. Proprio lui perde palla in difesa, Don Nelson la raccoglie all’altezza della lunetta e manda per aria un’avemaria che prima s’impenna sul ferro e poi va dentro. I Lakers sbagliano due volte, i Celtics fanno fallo in attacco. Chamberlain fuma dalle orecchie in panchina. 106-108 e Boston incredibilmente campione per l’undicesima volta. Dopo le critiche di Russell sull’uscita anticipata di Wilt , i rapporti tra i dioscuri non sono più stati gli stessi. Chamberlain aveva chiuso con 18 punti e 27 rimbalzi , ma anche 4/13 ai liberi. In lunetta tutti i Lakers erano mancati, e nessuno senza errori: il 28/47 contro il 20/31 di Boston la dice lunga. Ma negli occhi rimarranno solo l’avemaria di Nelson, le lacrime di gioia di Russell e la faccia affranta di West. E quei palloncini. 8 – L’ultima boccata di Red Giovedì 28 aprile 1966 Boston Celtics - Los Angeles Lakers 95-93 Che si profili in instant classic si capisce già dall’insolito 3/18 della coppia Jerry West-Elgin Baylor nel primo tempo, Boston scappa via ma i due si ripigliano, accorciando a -6 a 20” dalla fine. E poi a -2 a 4” dalla sirena. A quel punto i tifosi hanno già invaso il parquet del Garden, su cui si sparge il succo di quel che resta della panca Celtics. Bill Russell, in campo nonostante un osso rotto del piede, chiude con 25 punti e 32 rimbalzi. E finisce travolto. A Satch Sanders la folla strappa via la canotta. Non si sa come, K.C. Jones effettua la rimessa per John Havlicek, che palleggia fino allo scadere giusto per far omologare il 95-93 che vale il nono titolo della franchigia. E l’ultima partita di Arnold 'Red' Auerbach da head coach dei Celtics. Non sarà il suo ultimo sigaro da accendere in faccia agli avversari prima ancora di aver vinto, ma il gusto non sarà più lo stesso. 7 – Selvy per miracolo Mercoledì 18 aprile 1962 Boston Celtics - Los Angeles Lakers 110-107 OT Un Bill Russell persino più irreale rispetto alla sua gara-7 nelle Finals di due anni prima guida i Celtics con 35 punti e lo sproposito di 45 rimbalzi, con annesso record in postseason NBA per carambole tirate giù in un quarto: 19. All’intervallo Boston è avanti 53-47 nonostante un Sam Jones da 1/10 al tiro. Nel terzo periodo i Celtics veleggiano in testa fino al 73-67 a un minuto dalla penultima sirena. Poi si scatena l’uragano West. 'Mr. Clutch' ne mette sette in fila per chiudere il periodo in parità a quota 75. Di lì, solo montagne russe. Boston balza a+6, Los Angeles rimonta e impatta a 88, a 6’ dallo scadere. Celtics a +3 prima di perdere per falli, dopo Tom 'Satch' Sanders e Jim Loscutoff, pure Tommy 'Gun' Heinsohn. Tutti immolatisi nel cercare di limitare il tardivo losing effort di Elgin Baylor, sin lì a 38 punti e alla fine a 41+22 ma freddino con 8/18 nei primi due quarti. Pochi secondi dopo, Russell segna da rimbalzo il 96-91. Boston respira sul jumper sbagliato da West, ma poi Baylor infila i due liberi del 96-94. Idem fa Russell dall’altra parte e West stavolta il jumper non lo sbaglia: 98-96. Sul possesso successivo Sam Jones stoppa il Frank Selvy e sul ribaltamento mette dalla lunetta il 100-96 degli irlandesi. Rudy LaRusso commette fallo in attacco a un minuto dalla fine, che sarebbe anche quella dei suoi Lakers. Selvy però li salva con un rimbalzo e fiondandosi a tutto campo per il layup del -2; non contento ci riprova in fotocopia, sbaglia il tiro, ma rimedia col terzo rimbalzo consecutio e il 100-pari. A -18” palla in mano ai Celtics. Ramsey azzarda un gancetto penetrando nel traffico e lo sbaglia. LaRusso prende il rimbalzo, mancano cinque secondi e i Lakers hanno il tiro del titolo. Fred Schaus chiama timeout: Baylor la prima opzione, West la seconda e chiunque purché libero la terza. La notte prima 'Hot Rod' Hundley aveva sognato che avrebbe segnato lui il tiro decisivo. West e Baylor erano marcati, ma Selvy era libero, sulla sinistra, verso la linea di fondo, e Cousy arretra per andare a chiuderlo. Otto volte su dieci, Selvy – uno che al college a Furman ha messo pure un centello – da lì, a due-tre metri dal canestro, non sbaglia, giurerà coach Schaus nel post. Ma questa è fra le due. Selvy reclama un fallo di Cousy, che fa lo gnorri e anzi nega. Baylor, spinto da Sam Jones oltre bordocampo contro un arbitro, chiede anche lui un fallo che non avrà. Anni dopo lo stesso Baylor avrà una copia del filmato che ne confermò i sospetti: su Selvy il fallo di Cousy c’era. La gara va all’overtime e Jones, quello del fallo ci mette 5 dei suoi 27 punti totali, Ramsey finisce a 23. Boston scava un solco di cinque punti e chiude a +7. Quarto titolo consecutivo. E Selvy marchiato a vita. Non preoccuparti lo canzonerà Hundley con una risata: ci sei costato solo 30 mila dollari. 6 – I soliti noti Sabato 9 aprile 1960 Boston Celtics - St. Louis Hawks 122-103 Il remake, tre anni dopo: stesse compagnie di giro , identico happy ending per l’impresario Red Auerbach, al secondo titolo consecutivo e il terzo in assoluto. Bill Russell giganteggia con 22 punti, 35 rimbalzi e quattro assist. Frank Ramsey, dal basso del suo 1,90, porta 24 punti e 13 rimbalzi, Tom Heinsohn 22+8. A rimbalzo i Celtics quasi doppiano gli Hawks , ma che dire dei 14 assist di Bob 'Houdini' Cousy, certo agevolato nella mancata marcatura da parte di Slater Martin, per sua stessa ammissione il più capace di rendergli difficile la vita ma rimasto fuori per infortunio in tutta la serie. Ma anche con Martin, il divario tra i rispettivi backcourt e più in generale tra i due roster era troppo ampio da colmare. Ed Macauley, il grande doppio ex da giocatore e alla seconda stagione da coach degli Hawks, in un’intervista tv aveva fatto la voce grossa dicendo che St. Louis avrebbe sculacciato Boston. Ma erano solo dichiarazioni di facciata. In privato però, alla moglie aveva confidato: "Saremo fortunati se ne vinceremo una". Si era sbagliato, ma per difetto. Rispetto al titolo del 1958, vinto 4-2 su Boston, nel frontcourt gli Hawks avevano ancora Bob Pettit e Cliff Hagan, ma non più Jack Coleman, Chuck Share e lo stesso Macauley. In più il minutaggio di McMahon, alla sua ultima stagione da giocatore, era drasticamente calato e quindi, senza lui né Martin, a condurre il backcourt restavano Si Green e Johnny McCarthy. Anche se il resto degli Hawks aveva una certa familiarità con le Finals , e un rookie subito pronto dalla panchina per il frontcourt, nulla poteva contro la più vittoriosa e longeva dinastia dell’intero sport professionistico USA. 5 – Nascita della Celtic Nation Sabato 13 aprile 1957 Boston Celtics - St. Louis Hawks 125-123 La griffithiana genesi della Celtic Nation appare e si sublima, davanti al sold-out da 13.909 del vecchio Garden, in una gara-7 da cardiopalma e con doppio overtime vinta da Boston con 37 punti e 23 rimbalzi di Tom 'Tommy Gun' Heinsohn, Rookie of the Year, e 19+32 di Bill Russell, altra matricola di discreto avvenire. Agli Hawks non bastano i 39+19 del top scorer Bob Pettit, lui pure tra i 50 e poi 75 califfi NBA d’ogni tempo. E non per niente, dopo sei allunghi bostoniani, autore dei due liberi che mandarono la partita al primo supplementare, quando poi fu invece il canestro segnato a una mano dal suo compagno Jack Coleman a portare la gara al secondo extra-time. Dopo che dai sei metri e mezzo Frank Ramsey, il primo grande sesto uomo, riporta avanti Boston, Pettit all’ultimo secondo ha la chance per il terzo overtime, ma il pallone rimbalza sul ferro: +2 per i leprecauni come sempre saltati fuori da quel mitico parquet incrociato. È l’alba della leggendaria e indefinibile Celtic Mystique, e il primo anello di Red Auerbach head coach dei Celtics, campioni alla loro prima finale, che poi con lui in panca o al desk se ne infileranno altri 11 nelle successive 12 stagioni. Ah, piccola postilla: una settimana prima, il 6 aprile, prima della sconfitta dei Celtics in gara-3, in uno dei suoi più famigerati gesti antisportivi che pure hanno contribuito non poco a edificarne il mito, il gran mogol biancoverde aveva tirato un cazzotto in bocca a Ben Kerner, proprietario degli Hawks. Tema del contendere era l’altezza di uno dei canestri, ma le ruggini fra le due teste calde risalivano al 1950: quando Auerbach mollò a metà stagione la panca di coach degli allora Tri-Cities Blackhawks dello stesso patron Kerner. E si sa che di proverbiale gli 'irlandesi' non hanno solo la fortuna. 4 – I magnifici sette Domenica 10 aprile 1955 Syracuse Nationals - Fort Wayne Pistons 92-91 Prima in regular season a ovest, Fort Wayne – sconfitta l’anno prima i n gara-7 dai dinastici Minneapolis Lakers – deve andare a gara-7 – vinta di un punto – contro i Syracuse Nationals in una serie finale in cui s’era visto di tutto. E di troppo. Tipo la sedia tirata in campo da un 'tifoso' in gara-5 all’Indiana State Fair Coliseum di Indianapolis e la rissona tra Don 'Monk”'Meineke dei Pistons e Wally Osterkorn dei Nats in gara-6 all’Onondaga War Memorial di Syracuse. Le partite casalinghe di quelle Finals, infatti, i Pistons avevano dovuto giocarle a Indy perché l’amministrazione della North Side High – non aspettandosi, e soprattutto non credendo, che la squadra potesse raggiungere le finali – per quelle date aveva prenotato l’impianto della scuola per un torneo di bowling . Altri tempi. Di lì, la neanche tanto velata minaccia, e poi forse l’utile pretesto, da parte del patron Fred Zollner di trasferire la franchigia a Detroit. Detto e, due anni dopo, fatto. A inizio secondo quarto, sul +17 per Fort Wayne, il secondo quintetto di Syracuse rimonta fino al -6 dell’intervallo. Nel finale, coi Nats avanti 92-91, a entrambe le squadre vengono chiamati 'passi'. Ma nell’ultima rimessa, sulla sirena, non viene fischiato fallo sul colpetto che Paul Seymour dei Nats rifila ad Andy Phillip e così Syracuse vince il suo unico titolo. Sette i magnifici sette Nats in doppia cifra. Su tutti i loro top scorer da 15 punti Billy Kenville e George King e il duo in fotocopia da 13 punti e 12 rimbalzi: Dolph Schayes e Johnny 'Red' Kerr. Gli altri: 12 punti di Earl Lloyd, il 'Jackie Robinson della NBA' , e 11 ciascuno per Paul Seymour e l’altro Red, Rocha. Dall’altra parte, quasi faustiani i 24 di Larry Foust e altrettanto amari i 19 di Frankie Brian, la doppia-doppia di Phillip e quelle sfiorate da Mel Hutchins e George Yardley . Per un punto Wayne perse la coppa, e ancora oggi è l’unica gara-7 delle NBA Finals finita con il minimo scarto. 3 – I primi Batman & Robin Lunedì 12 aprile 1954 Minneapolis Lakers - Syracuse Nationals 87-80 Al quinto viaggio alle Finals, per i Lakers ormai la routine viene quasi a noia. Foss’anche per una gara-7 ancora in casa all’Auditorium come due anni prima. Stavolta, però, anziché 'Batman' George Mikan la scena la ruba il suo 'Robin', Jim Pollard: 21 punti , di cui nove nel solo terzo quarto mentre i Lakers strappano sul 61-45 per involarsi verso il loro sesto titolo in sette anni. Il resto lo portano i soliti noti: 14 di Clyde Lovellette, 12 di Slater Martin. La doccia ghiacciata arriva però al culmine della festa: 'Big' George, aduso a firmare per un anno alla volta, dice stop. "Abbiamo sempre sudato per rifirmarlo a ogni fine stagione", disse il giemme Sid Hartmann. "L’anno scorso, col solo campionato, aveva fatto 35 mila dollari". Mai tempismo fu più perfetto. Non tanto perché stavolta l’accordo con il management non era stato trovato, quanto perché quella sarebbe diventata l’offseason della Nuova Era: quella del cronometro dei 24 secondi, l’innovazione voluta da Danny Biasone, patron proprio dei Nets. A soli 29 anni Mikan aveva subodorato, con la fine del 'freezing game' allora imperante, anche la sua e dei suoi Lakers. Senza di lui Minneapolis finirà a 42-30, terzo record in una lega allora di otto squadre e comunque sufficiente per la finale a Ovest, poi però vinta da Fort Wayne. Vista la malparata, a metà della stagione 1955-56 i Lakers lo convinceranno a rimettersi in forma e a tornare a giocare. Ma i dieci punti di media in 37 gare gli confermeranno che non era più il suo tempo, né il suo basket. Là dove Clark Kent – sin lì un unicum per un 2,07 di 111 kg con quei suoi movimenti in area – si teneva gli occhiali per trasformarsi in Superman. 2 – La rivincita di re George Venerdì 25 aprile 1952 Minneapolis Lakers - New York Knicks 82-65 Come ogni anno, i Lakers dovevano saltare sulla sponda opposta del Mississippi e giocare a St. Paul, l’altra 'Twin City' di Minnie, per giocare le partite interne di postseason causa solito conflitto di calendari per il Minneapolis Auditorium. Per gara-7 però l’impianto era libero, per 'Big' George Mikan e compagni non si sarebbero fatti sfuggire l’occasione. Là, infatti, in undici gare nelle ultime quattro stagioni i Knicks non avevano mai vinto. E la striscia non si sarebbe interrotta. I Lakers segnano 18 punti in ciascuno dei primi due quarti, New York regge un tempo , ma nel terzo periodo infila appena 8 punti e Minneapolis scappa a +12 . E su quella scia coach John Kundla e i suoi riattraversano l’ 'Old Man River' coccolandosi il quarto trofeo di campioni . Mikan chiude da top scorer a 22 punti e 19 rimbalzi, 14 a testa ne mettono Pep Saul e Bob Harrison, 13 Vern Mikkelsen e 10 Jim Pollard. Per re George la più dolce delle rivincite. L’anno prima, come nelle precedenti due stagioni, aveva trascinato da capocannoniere i Lakers al miglior record. Ma poi, invidiosi di tanto strapotere, gli dèi del basket gli avevano girato le spalle. Anzi, una caviglia: frattura capillare. Immobilizzano l’arto con un tutore, aveva comunque giocato sul dolore a forza di cloruro di etile , crioterapico anestetico locale ante litteram. "Giocava, ma a metà della sua velocità" aveva poi ammesso Kundla. E in finale a ovest, contro i Rochester Royals vecchi rivali e poi nuovi campioni, non poteva bastare. 1 – Reali senza corona Sabato 21 aprile 1951 Rochester Royals - New York Knicks 79-75 Cinque giorni prima i Knicks erano sull’orlo del baratro, col rischio di esser spazzati via 4-0. Di botto, s’erano ritrovati sul 3-3 e ora persino con una chance di vincere il titolo. Alla Edgerton Park Arena, però, il 92-16 spalmato in tre stagioni dai Royals non concede agli ospiti troppe illusioni. Contando su quell’impatto emotivo Rochester scatta con un parziale di 13-3, termina il primo quarto sul 22-16 e allunga fino al 32-18. New York risponde giocando alla pari il secondo e arriva all’intervallo sotto di sei Nell’ultimo periodo impatta a quota-69, a poco più di sei minuti dalla fine. Pochi istanti dopo Nat 'Sweetwater' Clifton esce per falli e i suoi Knicks sorpassano con il layup del 71-70 di Harry Gallatin. Vantaggio raddoppiato sul 74-72 a due minuti dalla sirena. Ma poi Arnie Risen attira il sesto fallo di Connie Simmons e per New York a battagliare là sotto resta il solo Gallatin. Risen – omen nomen – firma la risalita con un gancio e il libero del 75-74 Royals. Dall’altra parte, il libero di Vince Boryla ridà la parità a New York a -1’29”. Lì però il momentum – che non è l’inerzia, semmai il suo contrario – svolta con Bob Davies che va in entrata su Dick McGuire e anziché lo sfondamento, come vorrebbero i Knicks, si prende il fallo, in lunetta fa 2/2 e porta Rochester avanti 77-75. Il regolamento dell’epoca impone che negli ultimi due minuti, dopo i liberi si vada alla palla a due. Rochester la vince e Red Holzman 'gioca' col cronometro fino a che Jack Coleman inchioda il 79-75 finale. Risen chiude da top scorer a 24 punti e 13 rimbalzi, ventello tondo invece per Davies. Fra i campioni, in doppia-doppia ci vanno pure Davies , Bobby Wanzer e Arnie Johnson . Nei Knicks sono addirittura cinque: Max Zaslofsky e Boryla , Gallatin , Clifton e Simmons . La gloria – e solo quella – è però di Rochester. "La gente mi chiamava per dirmi 'Gran lavoro, avete fatto storia'. Abbiamo vinto il titolo e pensavano di farci un po’ di soldi, ma ci abbiamo rimesso qualche migliaio di dollari", si lamentava coach Les Harrison nel 1995 – a 91 lucidissimi anni, e a due prima di lasciarci. L’altro suo grande rammarico è che a quel successo non era seguito alcun ricordo, neppure il 'sobrio”'gingillo tradizionalmente riservato ai campioni. "Mai ricevuto un anello, né un trofeo che dimostrasse che avevamo vinto il titolo. Nel 1985 chiamammo il commissioner David Stern per dirgli che non avevamo ricevuto alcun trofeo. Ci mandarono Brian McIntyre, il vicepresidente per le PR della lega, e ce ne portò uno. Finalmente ce l’avevamo fatta". Siamo arrivati in fondo, cioè in cima. Eh, oh, non finisce qui. Anche se, dopo 53 stagione, non ci sarà più in cartellone il grande Hubie Brown a illuminare la scena, enjoy the NBA Show.

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Christian Giordano