Earl Lloyd, il primo vero pioniere della storia NBA

La NBA che conosciamo oggi è un brillante esempio di avanguardia sportiva: per diffusione mediatica, per sponsorizzazione sui social, per modernità degli impianti, per condizioni contrattuali e sindacali che vengono offerte ai suoi atleti. Parlando di avanguardia, oggi la National Basketball Association, fondata nel 1947, vede scendere in campo atleti provenienti da ogni parte del mondo: Italia, Spagna, Francia, Grecia, Giappone, Australia, Canada, Brasile, Argentina, Camerun e tanti altri, per un totale di 125 giocatori internazionali e 43 Paesi rappresentati. Ma non è sempre stato così. Se oggi più dell’80% dei cestisti nel massimo campionato americano sono di origine afroamericana, per i primi 3 anni l’ingresso nella lega era precluso agli atleti ‘coloured’ , in quanto il basket, in un periodo ancora di forte e diffusa segregazione razziale, era considerato uno sport per ‘bianchi’. Fu così fino all’autunno del 1950, quando un giovanotto di Alexandria, Virginia, divenne il primo pioniere della storia della NBA. Earl Francis Lloyd nacque il 3 aprile 1928. Abitando nel nord-est degli Stati Uniti crebbe in un ambiente caratterizzato da una forte segregazione razziale, tanto che il suo liceo, la ‘Parker-Grey High School’, era frequentato esclusivamente da studenti ‘di colore’. Durante gli anni della scuola la sua altezza , di quasi 10cm al di sopra degli standard NBA dell’epoca, gli fece guadagnare il bellissimo soprannome di ‘Moon Fixer’, che in italiano si potrebbe tradurre come ‘colui che fa manutenzione alla luna’. Le sue abilità con la palla a spicchi, invece, gli fecero guadagnare prima diversi riconoscimenti a livello statale, e poi una borsa di studio completa per la ‘West Virginia State University’: un ateneo oggi non più di primissimo livello ma molto appetibile tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta, quando era un college frequentato solo da studenti afro-americani. Nel corso dei suoi quattro anni a ‘West Virginia State’ ottenne numerosi altri riconoscimenti personali , tra cui due nomine di ‘All-American’, e si specializzò come una delle migliori ali piccole difensive di tutti gli Stati Uniti. Il suo impatto a livello collegiale fu tale da vincere il premio di ‘giocatore del decennio’ per la CIAA , la divisione dello sport universitario destinata agli atleti afro-americani della costa Est degli ‘States’. Nel frattempo ebbe anche il tempo di prendere una laurea, diplomandosi nel 1950 con una specializzazione in educazione fisica. Come detto la pallacanestro, almeno a livello professionale, in quegli anni era un’esclusiva degli atleti ‘bianchi’. Non potendo prendere in considerazione una carriera nella NBA, Lloyd accettò l’offerta dei Globetrotters, che in quel periodo godevano di una fama talmente grande da avere disponibilità finanziare ben più grandi di quelle delle franchigie della neonata National Basketball Association. E a ragione: durante i suoi pochi mesi con la canottiera dei funamboli di Harlem giocò anche contro i Minneapolis Lakers campioni NBA , vincendo addirittura in due occasioni. Le prestazioni di Lloyd e dei suoi compagni furono talmente eccezionali da dimostrare alla lega che il talento non ha razza, aprendo finalmente le porte del massimo campionato statunitense di basket anche agli atleti afro-americani. Il 25 aprile 1950, al Biltmore Hotel di Chicago, Earl Lloyd venne chiamato al nono giro con la 100a chiamata assoluta dai Washington Capitols. L’esordio non avvenne prima di sei mesi, il 31 ottobre 1950, durante la notte di Halloween scese sul parquet per la gara inaugurale della stagione contro i Rochester Royals. Fu il primo atleta afro-americano a mettere piede in NBA, aprendo la strada per centinaia di atleti dopo di lui. La sua prima parentesi da professionista fu a dire il vero molto breve: dopo sole 7 partite i Capitols dichiararono bancarotta, e a gennaio 1951 Lloyd rimase disoccupato. Si diede alla vita militare, prestando servizio tra le fila dell’esercito degli Stati Uniti durante la Guerra di Corea, prima di venire richiamato nella lega dai Syracuse Nationals per la stagione 1952/1953, la sua prima ‘vera’ annata da rookie. Rimase con i Nationals per 6 stagioni, presenza fissa in quintetto e giocando a buon livello, vincendo il titolo nel 1955 in 7 partite contro i Fort Wayne Pistons. Insieme al compagno di squadra Jim Tucker fu anche il primo atleta afro-americano a vincere un titolo NBA, un’altra pietra miliare della sua carriera da pioniere. Nel 1958 si spostò ai Pistons , dove passò gli ultimi due campionati della carriera prima di ritirarsi dal basket giocato nel 1961, dopo più di un decennio di onorata carriera e 560 partite tra i professionisti. Ma con il basket non aveva ancora finito. Con i Pistons rimase ancora per una quindicina d’anni, alternandosi nelle posizioni di scout, assistente e capo allenatore, ruolo in cui non ebbe grande fortuna. A metà anni Settanta diede il suo addio definitivo al mondo della pallacanestro. Rimase comunque a Detroit, città in cui era diventato ormai un’icona della comunità, lavorando nell’amministrazione del sistema scolastico locale e prestando la sua immagine a diverse iniziative per l’integrazione sociale e lavorativa di bambini con situazioni familiari problematiche. La sua influenza nel mondo del basket, pur non essendo mai stato in prima persona un paladino della lotta per i diritti degli atleti afro-americani , fu comunque di grande impatto, tanto che ottenne numerosi riconoscimenti anche dopo il suo ritiro. Il più importante, nel 2003, l’ingresso nella Hall of Fame in qualità di pioniere del gioco. Il dovere di cronaca impone di raccontare che in quell’autunno del 1950 Earl Lloyd non fu l’unico atleta ‘coloured’ a fare la storia: Chuck Cooper dei Boston Celtics esordì il giorno dopo, mentre Nat Clifton dei New York Knicks il 4 novembre. Curiosamente, erano tutti compagni di squadra agli Harlem Globetrotters in quell’anno. ‘The Big Cat’ Lloyd passò dalla parte giusta della storia, per così dire, solo per un sorteggio fortunato del calendario, che lo fece scendere per primo sul parquet, ma tutti e tre a pari merito hanno fatto la storia del gioco. Earl Lloyd morì in una casa di riposo a Fairfield Glade, Tennessee, il 26 febbraio 2015, circondato dalla moglie Charlita, dai loro tre figli e da quattro nipoti. Il suo ricordo è e sarà molto forte ancora per tanto tempo, in fin dei conti ha fatto ogni cosa che un giocatore di basket possa sognare: ha giocato in NBA, ha vinto un campionato, è stato inserito nella Hall of Fame e soprattutto, è stato il più grande pioniere che questo sport abbia mai visto.

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Simone Dagani