C'è un altro Rugby Championship da scoprire

Se dici Rugby Championship rischi di fare confusione. Con United davanti è il campionato italo-celtico-sudafricano di Benetton e Zebre. Senza, magari con l’articolo “The” a precedere, si tratta del Quattro Nazioni dell’emisfero sud, erede, dal 2012, anno di ammissione dei Pumas, del Tri Nations. È il torneo degli All Blacks, di Sudafrica, Australia e Argentina. Sei giornate con due weekend di sosta, da metà agosto all’inizio di ottobre. Campioni in carica gli Springboks, numeri 1 del ranking, campioni del mondo in carica e talmente forti, anche come quantità di giocatori di altissimo livello in ogni ruolo, da far dire che la seconda squadra dietro a loro è il Sudafrica B, l’ipotetica seconda squadra composta dai pezzi scartati. Certo per altri numeri gli All Blacks sono non solo i più conosciuti anche al di fuori del rugby ma anche i più vincenti di sempre: 9 titoli dal 2012, addirittura 20 partendo dal Tri Nations del 1996. Dubbi sudafricani Pochi o nessuno. Forse solo i test estivi un po’ facili, tra Barbarians, Georgia e i due contro gli azzurri. Manca una prova tipo crash-test. L’attenzione è tutta concentrata su Rassie Erasmus, il miglior allenatore del mondo, per mentalità e tattica, per la capacità di sorprendere sempre, per l’arroganza che è nel dna del rugby del paese. Kolisi, il primo capitano di colore della storia, sarà ancora il leader della squadra, pronto per la 62esima da capitano, John Smit è a quota 83, e pronto a giocare da numero 8, e non flanker, contro l’Australia nella prima giornata. Perché? Per avere più giocatori presenti nei punti di incontro, con un adattamento alla situazione da affrontare. Giochi a Johannesburg? Campo secco? Allora palloni veloci, così titolari sono il mediano di mischia Grant Williams e quello d’apertura Libbok. A Città del Capo sarà umido? Pronti altri uomini, in base ad avversari e meteo. Australia qualcosa si muove La serie contro i British & Irish Lions è andata meno peggio del previsto. Serie persa, 2-1, ma senza “cappotti”. Il terzo test è stato vinto tra fulmini, pioggia, sospensioni e risse in campo. Skelton è sembrato l’uomo riferimento e tra le certezze c’è l’abbandono della Giteau-law, una regola della federazione australiana per poter convocare giocatori sotto contratto all’estero, a patto che avessero prima 60 e poi 30 caps…ora tutti convocabili a prescindere dal passato in nazionale. E se il Sudafrica ha problemi di abbondanza l’Australia deve affrontare l’esatto opposto. Qualche esempio? Il mediano di apertura contro gli Springboks sarà James O’Connor, 35 anni, da 3 senza test match, che ha debuttato con l’Australia a Padova nel lontano 2008, riserva nei Crusaders neozelandesi nell’ultima stagione: infortunati Lolesio, Tom Lynagh, fratello dell’azzurro Louis, figlio del grande Michael e di mamma trevigiana, e Donaldson, altro non si trovava… Così come per il numero 9, con Nic White che dopo aver festeggiato il ritiro, è stato richiamato con l’irrinunciabile “ci puoi dare una mano? “ All Blacks e l’obbligo di vincere Un grande classico per la squadra considerata la più forte del mondo a prescindere. A luglio è stata la prima squadra a raggiungere quota 500 successi nei test match, contro la Francia, anzi la Francia B o pure qualcosa di meno. Un po’ di infortuni, su tutti Cam Roigard, mediano di mischia, Wallace Sititi, meravigliosa scoperta del 2024, e Tamaiti Williams, con in aggiunta un po’ di critiche stile calcistico-italiane per vari ruoli. Qualche immagine divertente, con neozelandesi alla Bombonera, due fratelli Barrett e McKenzie a sollevare un’auto in aiuto di un argentino per liberarla da alcuni mini-panettoni in centro a Buenos Aires, e Leroy Carter che, chiamato come “injury cover”, giocatore in più causa infortunio altrui, si fa mangiare il passaporto prima della partenza dal cane di casa. Obiettivo? Battere due volte gli Springboks in casa. Come dire…vincere il torneo. Tra le curiosità Scott Robertson, dallo scorso anno alla guida degli All Blacks, viene ricordato per una meta segnata da giocatore nel 2001 in Argentina, al Monumental, la casa del River, capace di dare il successo ai neozelandesi. Epoca di test, prima del Rugby Championship, epoca in cui i Pumas non avevano mai battuto i tuttineri. Robertson salvatore del mito. Argentina su e giù Una squadra in grado di vincere contro ogni avversario. Un modo di dire? Macché. Nel 2024 ha battuto Sudafrica, All Blacks e Australia. Però poi per un tempo soffre contro l’Uruguay, supera i British & Irish Lions a Dublino e perde 2 volte contro l’Inghilterra dimezzata proprio dai giocatori forniti ai Lions. I Pumas non hanno mai battuto gli All Blacks in Argentina. Ci sono riusciti tre volte, una a Sydney, durante la pandemia, e due in Nuova Zelanda. C’è un pareggio dell’ormai lontano 1985, con tutti i punti segnati al Ferrocarril Oeste dal piede di Hugo Porta, contro quattro mete neozelandesi, due di Kirwan, e c’è la voglia di fare ancora una volta la storia. Con una mediana italiana, almeno per i club di appartenenza: Gonzalo Garcia, Zebre, e Tomas Albornoz, Benetton, a Cordoba, stadio Mario Kempes, miglior marcatore e campione del Mondo nel 1978 con l’altra palla. Pareggio del 1985 a parte, la volta in cui i Pumas sono andati più vicini al successo in casa contro la Nuova Zelanda è il 20 luglio 2019, al Velez Sarsfield, terminata 16-20 e il 1° dicembre 2001, punteggio 20-24, quello della meta di…Scott Robertson.

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C'è un altro Rugby Championship da scoprire

Francesco Pierantozzi