Sinner: "Giocare in Italia è bellissimo, nel 2024 voglio fare un altro step negli Slam"

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La fame e i sorrisi, il talento e la meticolosità: un anno dopo Sinner ci riporta nel suo mondo, dentro e fuori dal campo. Nella nuova intervista esclusiva col direttore di Sky Sport Federico Ferri, Jannik racconta il suo 2023: “Vincere un Masters 1000 ti cambia. Le critiche mi hanno dato forza, nel 2024 punto a fare uno step in più negli Slam e… sorridere di più in campo! La rivalità con Alcaraz? Ho dimostrato di poterlo battere. ll feeling col pubblico italiano non si può spiegare"

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Non guardare al passato, ma costruire il suo futuro da campione. Passo dopo passo. È la strada tracciata da Jannik Sinner che a un anno di distanza torna a raccontarsi in un'intervista con il direttore di Sky Sport, Federico Ferri, realizzata lo scorso 21 settembre nello spazio delle Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo. Una lunga chiacchierata 'oltre il tennis': tra aspetti mentali, risultati in campo e obiettivi per il futuro. L'intervista è già disponibile on demand.

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Come vedere l'intervista integrale su Sky Sport

Bentornato Jannik. Ripartiamo dalla chiacchierata che abbiamo fatto più o meno un anno fa. Alla fine di quella conversazione, ti avevo chiesto: se ci ritroveremo nel 2023 sarai felice se... E se non ricordo male, mi avevi risposto: “Se giocherò con continuità e vincerò più partite”. Dunque, ti chiedo: sei felice?

"Quest'anno è stata una stagione  un po' diversa. Ho fatto più esperienza rispetto all'anno scorso, ho giocato più partite e sono in una posizione diversa. Sono cresciuto mentalmente - pur facendo qualche errore - fisicamente e tennisticamente. L'anno è stato positivo, cercherò di continuare così".

Partiamo dal primo Master 1000 vinto a Toronto. Ti ho visto con un grande self control, dentro come stavi?

"È stato un momento molto bello della mia carriera. Già a inizio anno mi sentivo vicino, avevo fatto un paio di semifinali e finali. La fiducia era aumentata. In finale mi sono sentito abbastanza bene. Per De Minaur era la prima finale in un 1000, l'energia a questi livelli è un po' diversa. Sono riuscito a gestirla bene, soprattutto alla fine quando ho mantenuto la calma, mi sono preso tempo tra un punto e l'altro e ho giocato con felicità e autostima. Ero molto contento". 

Vincere Toronto ti ha reso più leggero?

"Sicuramente. La prima finale 1000 è stata un po' di tempo fa contro Hurkacz. Ero sicuramente felice di essere arrivato in finale, ma non mi sentivo pronto. Invece in questa finale mi sono sentito pronto per essere in quella posizione. Anche mentalmente cambia, giochi in modo diverso. Vincere un Masters 1000 ti cambia, nei tornei successivi e negli Slam ti senti più favorito per andare più lontano possibile".

La partita di Miami contro Alcaraz è stata probabilmente una delle 2-3 più belle dell'anno. L'impressione che si ha quando giocate contro è che siate in una specie di videogioco in cui liberate i superpoteri. Lo senti quando sei in campo che avete i superpoteri?

"I superpoteri forse no (ride, ndr). Partiamo dal presupposto che secondo me lui ha fatto uno step in più rispetto a me: è stato numero uno al mondo, ha già vinto uno Slam, ha vinto più Masters 1000 e quindi è a un livello più alto del mio soprattutto in termini di continuità. Però allo stesso tempo sento che quando gioco contro di lui c'è sempre qualcosa di diverso. Entrambi cambiano qualcosa a livello tattico, come è successo a Indian Wells quando ha vinto lui. A Miami, invece, è stata un'altra partita perché io ho cambiato delle cose, mentre lui ha continuato a giocare nello stesso modo di Indian Wells. Bisogna essere bravi a gestire queste situazioni. Allo stesso tempo giochiamo a una velocità molto alta che ti porta a pensare meno, perché la palla arriva molto più veloce e bisogna essere subito pronti a reagire. Quindi sì, diciamo che entrambi abbiamo tanto talento. Credo che la nostra mentalità sia molto diversa, però la direzione è molto simile: cioè di giocare punto dopo punto, di combattere e di essere sempre pronti. Alla fine con tutte queste combinazioni fra di noi diventa al 90% sempre un'ottima partita". 

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Visto l’equilibrio che c’è nelle vostre sfide e da quello che si vede in campo, pensi che quando Alcaraz vede che c’è Sinner nel suo tabellone si preoccupa?

"Credo di aver dimostrato negli anni che posso batterlo. È un po' come per me con altri giocatori. Ad esempio contro Medvedev, perché ha un gioco che mi dà un po' di fastidio. Ecco, credo sia la stessa cosa per Carlos. E quindi quando vedi un nome nel tabellone, che sia quarti o semifinale, è diverso. Magari spendi energie prima della partita o prima della partita stessa".

Di sicuro nel tuo percorso di autostima quel momento a Miami è stato importante.

"Certo è stato importante. Dopo, però, avrei dovuto giocare comunque un’altra partita. Ho speso tante energie e infatti poi ho pagato in finale. Però alla fine questo è il nostro sport. Bisogna essere pronti ad accettare queste situazioni, devi essere pronto ad andare in campo il giorno dopo pur sapendo che hai appena giocato una partita incredibile. Ci sono tante cose che poi entrano in gioco e che forse io ancora non ho imparato a gestire".

Dopo quel torneo, tu hai parlato di un miglioramento che c’è stato tra Indian Wells e Miami. È possibile imparare così in fretta?

"Sono sempre stato uno che impara velocemente. Se guardiamo la risposta tra Indian Wells e Miami, a Miami è stata molto più aggressiva. Ogni giorno che vai in campo puoi migliorare. L'attenzione deve essere molto alta, devi essere sempre concentrato. Dipende sempre da me stesso, quanto voglio migliorare e quanta energia ci metto".

Federer ha detto una volta che “anche per il miglior giocatore del mondo è impossibile mantenere lo stesso livello dell’anno e in tutti i tornei". Questo è un elemento che caratterizza fortemente questo gioco secondo te?

"Nel tennis alla fine della settimana c’è solo uno che vince, tutti gli altri invece perdono. Anche se arrivi fino in fondo e dici che hai avuto una buona settimana, o come me che a Wimbledon ho fatto un bel torneo arrivando in semifinale, però alla fine hai perso. Al 95% guardi solo la sconfitta. Puoi imparare tante cose, ma nella tua testa sai che hai perso e questo ti butta un po' giù. Di contro, pensi che la settimana successiva hai un'altra opportunità e altre situazioni di gioco. Se giochi a Madrid la palla salta e va velocissima e poi magari vai a Roma, dove piove e hai la palla pesantissima. Ci sono tanti scenari che devi tenere in considerazione e dire: “lì mi sento bene, lì mi sento peggio. Cosa posso fare per vincere il torneo”. Quindi ci sono tante cose negative, ma anche tantissime cose positive".

Come si fa a non considerare alibi o a non farsi distrarre dalle situazioni che incontri giocando uno sport all'aperto, influenzato dalle condizioni climatiche? 

"Mentalmente devi accettare queste problematiche. Probabilmente vince sempre il giocatore pronto ad affrontare queste cose. Ad esempio, a me non piace affatto giocare con il vento. Però non è che puoi dire: 'nel secondo set il vento va via e quindi mi sentirò meglio'. Bisogna essere pronti a capire dove tira il vento, come usare il servizio, come rispondere. Sai bene che se giochi con il vento a favore giochi con un po' più di rotazione e anche un po' più sicuro; invece, se sei contro vento tiri dritto per dritto e l’avversario si trova la palla addosso e tira lungo. A me a volte succede che mi sento benissimo in campo, sento bene la palla, però faccio fatica a far punto. E allora è proprio li che dici 'devo inventarmi qualcosa per mettere in difficoltà l’altro giocatore'. Diventa quasi una partita a scacchi, devi capire prima come gioca l'altro, come si muove e dove serve i punti importanti, che comunque prepari prima della partita. Ogni partita è diversa. So che gli avversari contro di me provano a spingere un po' di più perché sanno che se mi fanno giocare è peggio. Quindi devo avere certe cose in testa. È uno sport molto, molto mentale".

Come hai imparato a gestire durante la partita un momento no?

"A me dicono che mentalmente sono forte, ma io dico a me stesso che non sono forte. Perché ci sono state delle partite in cui potevo fare meglio. Devo accettare che c'è tantissimo lavoro da fare sotto questo aspetto. Faccio in modo che l'avversario non mi veda negativo, però capita che ogni tanto che mi butto giù. E quello che ne paga le conseguenze sono io, me ne rendo conto. Devo migliorare su queste cose per arrivare ad uno step più alto e credo che i migliori giocatori siano proprio questi. Quando la gente mi dice: "tu sei forte mentalmente”, penso che sono forte perché sono dentro i primi dieci però so che posso migliorare tanto. Quando ci sono delle cose che non so fare qualche volta mi abbatto. E invece è proprio lì che il campione fa la differenza. Magari non senti il rovescio e allora fai in modo di farti arrivare la palla sul dritto. Prendi per esempio la partita al Roland Garros contro Altmaier o quella contro Zverev agli US Open: so di aver sbagliato qualcosa, soprattutto mentalmente. Ho combattuto e ho dato il massimo, ma ho speso energie nei primi tre set e alla fine quello 0,01% a quel livello fa la differenza".

Hai una volontà continua nel mettere il miglioramento al centro e anche nell’auto analisi. Sei sempre stato uno che vuole fare meglio del giorno prima?

"Per me la priorità è giocare a tennis. Quando vado a dormire la sera penso cosa posso fare meglio in campo. Adesso faccio tanto lavoro in palestra, lavoro un po' sulla testa, mangio meglio, vado a dormire presto, uso meno il cellulare. Faccio tutte quelle cose che mi permettono di avere più energie in campo. Andando avanti, tutto questo prima o poi qualcosa ti dà. Io sono andato via da casa che avevo 13-14 anni. Ho investito davvero tanto e più vado avanti, più mi piace. Da noi c’è pressione, ma non quella pressione che può avere un dottore che ha in mano la vita di una persona. Noi perdiamo una partita, ma ti puoi rifare subito al prossimo torneo. E' abbastanza semplice come lavoro. Invece un dottore, se deve operare, non può fare errori. A me piace fare il tennista: posso viaggiare tanto, conoscere nuove culture, nuove persone. Mi sento davvero fortunato".

Usare meno il cellulare pensi sia una cosa che ti distrae di meno? Pensi che stare sui social possa distrarti?

"I social sono una cosa un po' particolare. Ci sono e li controllo, ma è un mondo un po' finto. Vedi tutte quelle persone che ridono, su una bella barca o una bella macchina, e dici: 'cavolo sono tutti felici tranne me'. Ma magari dopo aver postato quella foto non sono neanche felici... La realtà è un'altra cosa. La mattina ti svegli, vai a lavoro, la sera sei stanco e vai a dormire. È una routine. E poi, in generale, io vorrei utilizzare il cellulare solo per chiamare le persone a cui voglio bene e concentrarmi su altre cose. Quest’anno, per esempio, ho iniziato a giocare anche un po' a golf. Cerco di fare qualcosa che mi permetta di mettere via il cellulare che, alla fine, hai sempre addosso".

Torniamo alla sconfitta con Altmaier al Roland Garros. Dopo la partita hai parlato del sorridere. Il divertimento penso sia molto presente nel tuo approccio al tennis. È così? 

"Sì, è così. Ti deve piacere quello che fai. Qualche volta per noi tennisti è difficile, come agli US Open quando ho avuto crampi per quasi tre set. Non dico di essere felice in campo, però allegro sì. Nel senso che ti deve piacere quello che stai facendo. Dopo quella partita ho parlato con il mio team e mi hanno chiesto cosa non andasse. Neanche io ho capito perché stessi affrontando quel momento. Evidentemente è normale per un tennista avere dei momenti in cui fai più fatica, però lo devi accettare. Infatti dopo il Roland Garros non mi è più successo".

Il messaggio che uno sportivo professionista per rendere al meglio cerchi anche il sorriso, è un messaggio che secondo me può essere mandato a tutti quelli che si avvicinano allo sport, soprattutto i più giovani, no?

"Una persona che lo nota spesso è Darren Cahill (uno degli allenatori di Sinner, ndr). Anche Simone Vagnozzi, però Darren ha un pochettino più di esperienza da quel punto di vista dice: “quando fai un bel colpo sorridi”, perché alla fine è una cosa bella. Gli altri applaudono, ma tu devi essere felici che sei riuscito a fare questo colpo".

In un'intervista Cahill ha detto che non hai paura di sorridere. Forse anche quello che vuole lui, cioè che tu non abbia paura di sorridere.

"Fuori dal campo sorrido molto di più. Vorrei portare questo anche in campo. Ho scelto il tennis perché mi piace è il lavoro che mi piace di più, quindi... perché non ridere anche in campo? Ma lo farò in futuro, ne sono abbastanza sicuro".

Cahill ha detto anche che nei tuoi occhi si vede la fame di vincere. Quanto ti stimola l'aver fame, voglia di vincere?

"A me non piace perdere, anche quando giochiamo a carte. Ad esempio, quanto da piccolo camminavo con la mia famiglia, ero sempre il primo. Oppure quando si ordina a tavola o ci alziamo sono sempre il primo. Qualche volta cerco anche coi miei allenatori di avere questa competizione. Cioè, qualche volta facciamo dei giochi, dove se riesco a prendere il birillo col servizio, vinco 5 euro. Se non riesco a prenderlo, do io 5 euro. Così almeno diventa anche più divertente l’allenamento...".

Questa pressione che ti arriva dai giudizi degli altri ti provoca delle sensazioni negative? La gestisci o la ignori? 

"Le critiche sono normali. Io penso sempre positivo, perché vuol dire che sei a un livello alto. Se non ci fossero le critiche, vorrebbe dire che qualcosa è andato storto. A volte leggo cose che non condivido, ma lo facciamo tutti. Però in quei casi nella mia testa penso: 'Ok, ora ti faccio vedere che non è così". E prendo una parte di forza, di energia per dimostrare che non è così. Di contro, non voglio neanche sprecare tante energie per le cose negative che mi scrivono, perché io so quanto lavoro faccio... Nel complesso, insomma, le critiche non mi danno fastidio. Ma certo mi piace di più quando mi fanno i complimenti..."

Dopo Wimbledon, hai detto: "Attenzione perché non è tutto scontato". Cioè spesso si dà per scontato il risultato in campo, il percorso che c'è. Che cosa intendevi dire in particolare?

"Wimbledon è stato un torneo particolare. Se si guardano i giocatori contro cui ho giocato, sulla carta ero sempre favorito fino alla semifinale. Sembra tutto facile, ma non è così. In campo c'è un avversario che non ha niente da perdere. Poi sull'erba è diverso, è una superficie che non conosco ancora benissimo. Quando sei teso e metti male gli appoggi, non ti muovi e sei lento. La semifinale è andata come è andata, però prima ho fatto molto bene. Poi ci sono sempre critiche, chi dice che il tabellone era facile, che dovevo arrivare in semifinale... Ma questo mi spinge, soprattutto nei momenti importanti, a giocare un ottimo tennis".

Ti ha fatto più male il match point contro Alcaraz di un anno fa o i crampi di quest'anno contro Zverev?

"Come approccio io vorrei dimenticare quello che è già successo, anche se è impossibile. Il match point contro Alcaraz mi ha fatto veramente male e ci ho messo un po' di notti a recuperare. Quando senti che sei vicino, poi sbagli il rovescio di poco, ti guardi e dici: '"ma perché non sei andato con il rovescio lungolinea, piuttosto sbaglialo lì...'. E' difficile. I crampi di quest'anno erano più un problema di testa. Siamo degli atleti allenati, siamo tutti in forma e non ti può venire un crampo dopo un'ora e mezza... Per questo devo migliorare mentalmente. È un po' quello che è successo ad Alcaraz con Djokovic al Roland Garros". 

Se guardi al tuo percorso di questa stagione, di cosa ti senti più orgoglioso nei progressi che hai fatto?

"Credo di essere cresciuto in qualsiasi aspetto, sia in campo che fuori. Sono migliorato soprattutto sulla parte fisica. Mi sento più pronto. L'anno scorso mi sono detto che dovevo migliorare fisicamente, abbiamo fatto una programmazione un po' diversa. Quando arrivo a un torneo nella mia testa sono pronto per fare bene e vincere. Giochi, rientri e ti alleni di nuovo. Il mio corpo è così, ho 22 anni e ho appena smesso di crescere. Ora possiamo caricare di più e sarà così anche il prossimo anno. La programmazione deve essere perfetta. I migliori al mondo giocano meno per prepararsi ai tornei importanti. Essere un top 10 cambia perché devi programmare diversamente. L'anno scorso l'abbiamo fatto, ma quest'anno abbiamo fatto meglio".

Questo è anche un tema di prevenzione, di infortuni e di gestione del fisico.

"Sì, parliamo tanto della programmazione, forse è l’argomento di cui parliamo di più. Il corpo si deve sentire pronto per poter competere"

Ti senti comunque forte di giocare in Italia perché hai un amore incredibile da parte della gente?

"La connessione con il pubblico pubblico italiano è molto forte. Siamo molto legati. Abbiamo poche possibilità durante l'anno di giocare in Italia. Noi tennisti italiani abbiamo un po' più di pressione, ma proprio perché vogliamo far vedere cosa sappiamo fare. Ed è questa la cosa bella. Per me giocare a Roma, a Torino o la Davis è sempre bello. Ma durante un anno può servire un attimo di riposo, perché siamo tutti umani. Qualcuno sceglie di giocare alcuni tornei, poi però ne salta 2-3. Alcuni dicono che facciamo questa cosa qua per prepararci per il finale di stagione ed è un po' quello che ho fatto io. Giocare in Italia è la cosa più bella per me, perché sono nato in Italia e mi sento a casa".

Il tennis è uno sport individuale, ma tu e i tuoi colleghi spesso lo raccontate quasi come uno sport di squadra. Davvero voi lo vivete nella vostra quotidianità il concetto di team di squadra, quasi come sovrapposto all'aspetto dell'individualismo? 

"È un mix. Quando ti alleni, magari anche con un altro giocatore, questo ti spinge. Non giochi uno contro uno, ma ti alleni insieme. Quando conta, però, sei da solo in campo e devi essere pronto a mettere da parte tutti quegli allenamenti che hai fatto con il tuo avversario. Ad esempio, con Sonego quest'anno abbiamo giocato varie volte contro: devi mettere via l'amicizia e tutti gli allenamenti fatti assieme".

C'è un elemento estetico che ti esalta del tennis?

"La sensazione più bella da tennista è quando senti che è una bella partita e tu sei parte di quel match. Questo è proprio il top del top. Quando fai parte di una partita incredibile. Poi ovviamente ti godi il colpo bello, un vincente". 

Il tuo vincente ideale qual è?

"Mi piacciono i passanti, forse il passante di rovescio. Non sono un giocatore tanto di tocco per il momento, sto cercando di migliorarlo. Però per me ora in questo momento forse un passante di rovescio è un bel colpo".

 

È vero che hai cambiato un pò il servizio quest'anno? In che modo e come?

"Siamo partiti quest'anno con i piedi staccati, fermi, poi l’abbiamo cambiato prima di Wimbledon. Credo che per il momento stia andando meglio. Lo stiamo perfezionando nel tempo perché c'è sempre qualcosa anche di piccolo da migliorare e lo faremo in preparazione. Spero che in futuro mi dia tanto. Sul servizio faccio un po' fatica, ho tanto margine. Sono nei primi 10 con questo servizio che è buono, ma a volte mi limita. Sono convinto che dal prossimo anno diventerà stabile".

Cosa significa per te il valore del rispetto nel mondo dello sport?

"Per me il rispetto è il valore più importante. Io rispetto sia il n. 1 al mondo che il n. 2000. Il rispetto non si basa sulla classifica o sulla forza, ma su come sei cresciuto. La mia famiglia mi ha sempre detto di rispettare tutti, soprattutto me stesso e il lavoro che faccio perché se rispetti il tuo lavoro ti senti in pace nei momenti di difficoltà. Il rispetto è la cosa più importante".

C'è qualcosa dove ti senti ancora un ragazzo che magari è un pò imbranato su qualcosa o che non è ancora così maturo come dimostri in campo?

"Forse in campo sono più maturo rispetto a quanto non lo sia fuori. Per esempio, ci sono notti in cui fatico a dormire e al mattino, quando mi sveglio, sono un po' più nervoso e non parlo. Quando finisce la giornata mi chiedo 'perché non mi sono svegliato carico?'. Insomma ci sono cose su cui mi sento ancora un ragazzo normale". 

Nel 2024 se, come mi auguro, ci ritroveremo ancora una volta, sarai soddisfatto se?

"Sarei felice se riuscissi a fare un passo in più. Nel 2024 secondo me inizierò l'anno pronto fisicamente, mi aspetto una preparazione buona come lo scorso anno. Spero di fare uno step in più negli Slam. Ho fatto gli ottavi agli Australian Open, spero di fare un alto passo. Due anni fa ho fatto tre quarti di finale Slam, quest'anno ho faticato un po' di più, ma l'anno prossimo vorrei fare un altro step. Vediamo come andrà l'anno prossimo".