Le luci di Parigi e le penombre di Zverev

Parigi non è più grigia, adesso è azzurra. Nel cielo non si vedono più le nuvole, ma soltanto le scie lasciate dagli aerei che atterrano a Charles de Gaulle. Parigi è una sorpresa: uno pensa di dover affrontare il vento gelido e invece scopre che il basco non serve più, perché un leggero tepore riscalda le guance. Giornata perfetta per innamorarsi di questa città. Di fianco alla Defense Arena, le boulangerie sono gremite di turisti seduti per colazione. Sarebbe mainstream ordinare una fetta di red velvet o un souffle al cioccolato, se piuttosto è possibile “mangiare” una pallina da tennis, vale a dire un semifreddo all’ananas con striscia di cioccolato bianco che sicuramente non è di “gomma”. A Nanterre il tennis non è soltanto popolare, ma è anche pop, nel senso di attraente e “cool”, di evento da preferire il giovedì sera invece di andare a vedere un film al cinema o di andare a degustare formaggi durante l’aperitivo. A Nanterre il tennis è figo, o, meglio ancora, per dirla con un lessico giovane, è “instagrammabile”. Non importa se, nel frattempo, per la terza volta negli ultimi 10 anni la Francia non ha un proprio rappresentante agli ottavi di finale del Masters 1000 di casa. L’ultimo a lasciare il torneo è stato Corentin Moutet, sconfitto da Sascha Bublik con tanto di accessoria polemica post-partita tra taxi da prendere per tornare a casa, residenze spostate a Dubai e parole di troppo. Roba buona per i social, praticamente. Il tennis deve attendere perché la giornata è troppo bella per non respirare un po’ di Parigi. L’Arche de la Defense brilla di luce naturale che si infrange sul vetro e sul marmo trapassandoli e abbellendoli con giochi di luce naturali. Ad arrivarci vicino, vengono le vertigini davanti alle impalcature ancora montate, alle finestre quadrate e perfettamente simmetriche e agli uffici al cui interno si decide la finanza mondiale. Sedendosi sulla scalinata che porta verso il centro commerciale Westfield Les 4 Temps, il panorama è mozzafiato. Tra i grattacieli spunta di prepotenza un embrionale Marche de Noel, un villaggio di Natale segnalato dal cartello “cantiere interdetto al passaggio”, ma già addobbato con il vischio, in attesa che sia poi possibile comprare souvenir, cappelli di lana e carillon o regalare ai bambini una visita nella “Maison du Pan d’Epices”, la casa di Pan di Zenzero. Di fianco al villaggio, un chiosco di giornali promette di vendere in quantità industriale tutti i principali settimanali di moda, il che sembra quasi voler dire che anche dopo che Natale sarà finito, il quartiere rimarrà chic. In lontananza, per chi ha la vista buona e voglia di sognare, si staglia l’Arc du Triomphe, dal’aura inconfondibile. Tutto il mondo si siede a guardare: parigini al telefono, studenti che mangiano in pausa pranzo, turisti che assorbono i raggi di sole, amici che chiacchierano, coppie che si scattano selfie. Persino i piccioni si fermano qui, rapiti anche loro dalla bellezza di Parigi. Sulla strada pedonale che collega l’Arche de la Defense alla Defense Arena, sono raccontate le storie di chi ha cambiato il mondo grazie allo sport. La lista è breve, ma intensa, con nomi come Emil Zatopek, Cathy Freeman, Megan Rapinoe e, per il tennis, Arthur Ashe e, per spirito patriottico, Amelie Mauresmo, prima donna ad allenare un uomo, ossia Andy Murray, tra il 2014 e il 2015. Tra i virtuosi non manca Gino Bartali, il cui attivismo e umanità durante la Seconda Guerra Mondiale nell’aiutare tanti ebrei a salvarsi dalle persecuzioni, ha meritato il titolo di “La sua tappa più bella”. Il viaggio tra questi eroi che ci siamo meritati e di cui abbiamo bisogno finisce con due simboli di attivismo sociale come Muhammad Ali e Tommie Smith. Le loro sono storie di uguaglianza e di protesta giusta contro un potere sbagliato, attraverso gesti che diventano politica nel senso più etico di questo termine, quello che deriva dal greco “polis” e che inquadra le norme migliori che aiutano a definire la vita e il destino di una comunità. Sono 300, forse 400 metri di strada. Ma indimenticabili. Il pubblico francese ha già perdonato Valentin Vacherot per la lesa maestà di aver sconfitto il numero 1 di Francia, nonché cugino, Rinderknech. La pratica di adozione procede spedita e viene definitivamente firmata con due vincenti di dritto e un ace di seconda nell’ultimo game di una partita vinta da top player contro quel Norrie che aveva sconfitto Alcaraz. Gli Eurythmics cantano Sweet Dreams ed è proprio così: i sogni più dolci sono quelli che si vivono credendo davvero che una striscia di vittorie straordinaria possa iniziare in qualsiasi momento. Auger-Aliassime e Altmaier, invece, si sarebbero dovuti riscaldare sulle note di Billie Eilish, ma la canzone parte in ritardo e ormai è troppo tardi per lasciarla finire. Il canadese parte con il dritto inceppato, sull’ultima parità sbaglia goffamente uno smash, tradito non tanto dalle luci, ma da una scarsa coordinazione frutto di tensione e sulla successiva palla break la discesa a rete è avventata e tutt’altro che determinata. Il tedesco, al contrario, ha tirato a lucido il rovescio, come sempre a Parigi, non importa che sia Roland Garros, Bercy o Nanterre. Sul 4-1 per Altmaier nel primo set Walking on a dream è una canzone che rappresenta il fiato sospeso che tutta Italia ha per Musetti. Il secondo set, però, distrugge la speranza, perché Auger-Aliassime si convince di non dover avere paura di andare a rete a chiudere il punto con una volée, considerato che, comunque, ne ha già sbagliate di meno rispetto alla partita vinta al primo turno contro Comesana. A stupire e a deprimere, è soprattutto la reazione di Altmaier che, generalmente vocale e combattivo, smette di incoraggiarsi, se non con stanchi saltelli in risposta. Sfruttato il diritto a un toilet break che però non avrebbe potuto essere così lungo, come suggerisce il sarcastico sorriso di un Auger-Aliassime che inganna l’attesa con tanto stretching sulle anche, il tedesco avrebbe anche il vantaggio di partire con il servizio, ma subisce immediatamente un break accolto da un lancio di racchetta che avrebbe meritato sanzione. Nemmeno il medical timeout chiamato da Altmaier sul 2-1 e giustificato nei gesti con una fitta alla coscia destra che dà fastidio nei piegamenti e negli spostamenti laterali, serve a cambiare la partita, per quanto Auger-Aliassime, nel frattempo, non abbia la minima intenzione di sedersi, piuttosto preferendo sciogliere la spalla destra nel movimento al servizio e cercando di tenere attivi i piedi con leggeri esercizi di mobilità. Rimane il tempo per un incredibile passante di rovescio in corsa messo a segno dal canadese per andare 4-2, 40-0 in risposta, poi la vittoria è festeggiata con un saltello appena accennato, per non stressare ulteriormente il ginocchio destro. Per Torino ci sarà da soffrire – e pensare che al momento questa è anche la migliore tra le ipotesi. Per spostarsi sul campo 1, occupato dalla sfida tra Shelton e Rublev che avrebbe meritato collocazione sul Centrale per appeal e qualità di tennis, bisogna obbligatoriamente passare tra l’aroma di pop-corn al caramello e il profumo di fish and chips, salire una quantità infernale di scale e rassegnarsi a sedersi sulle tribune superiori. Chi viene dal Centrale arriva in tempo per vedere uno straordinario scambio in difesa vinto da Rublev sul 2-2, 40-40 nel secondo set, ma la partita è destinata a finire in fretta, complice l’atteggiamento di uno Shelton tanto umile nello scambio quanto prepotente con il dritto. Ben ha il piglio da showman e gioca con il pubblico francese con l’arroganza, ma buona, di chi riesce a far divertire e sa di essere bravo in questo. Nel frattempo, per lui arriva l’aritmetica qualificazione per le ATP Finals, le prime in carriera. Un ottavo di finale in un Masters 1000 tra De Minaur e Khachanov forse non finirebbe su un cartellone pubblicitario – tanto che infatti è finito sul campo 1 – ma è un saggio perfetto di tattica, umiltà e fairplay applicati al tennis. De Minaur ha bisogno anche lui di un’ultima vittoria per qualificarsi alle ATP Finals e nonostante appaia una frazione di secondo più lento nello spostamento laterale rispetto ai suoi demoniaci standard, ha lo sguardo che ricorda quello di Taz, il diavolo della Tazmania, personaggio dei Looney Tunes che girava come una trottola alla ricerca famelica di cibo, ma sempre con il sorriso. Khachanov, invece, ha in sé la magia di Parigi indoor, dove ha vinto il titolo nel 2018, in condizioni molto lente e dove avrebbe meritato almeno un’altra finale nel 2024, su un campo veloce come il ghiaccio. Al russo, però, sembra mancare la carica emotiva, comprensibilmente difficile da trovare in una stagione positiva per il ritorno in top ten, ma chiusa in chiaroscuro per la troppa stanchezza. Sul 4-1 per De Minaur nel secondo set un gruppo di ragazze inizia a intonare “Aussie, Aussie, Aussie” e dalla tribuna di fronte più di qualcuno risponde “Oi, oi, oi”. In un attimo sembra di essere sulla Rod Laver Arena e non a Parigi: De Minaur stacca così il settimo pass per Torino e la sua tifosa più scatenata festeggia sventolando un cartello homemade con sopra scritto: “Come on, Alex”. Entrando di nuovo sul Centrale, in anticipo per la sessione serale, Sascha Zverev si sta ancora riscaldando, sempre con lo stesso sparring partner di sempre. Il tedesco sembra meno lucido al servizio, ma dà anche la sensazione di riuscire a trovare più profondità e precisione soprattutto con la risposta di rovescio. E il dritto? Nonostante i tanti test e i consigli di papà di cercare un po’ più di spin, rimane un’incognita. Anzi, una Highway to Hell , come la canzone scelta per inaugurare la notte di Parigi. Il sorriso con cui Sinner entra in campo questa volta sembra tradire la sorpresa di ricevere così tanto affetto da un pubblico a volte così scorbutico come quello di Parigi. Francisco Cerundolo ha la capacità di distruggere gioco al tempo stesso offrendo ritmo, ma inizialmente Jannik non sembra influenzato, tanto che il break sul 3-1 nel primo set viene accolto in tribuna con un tipicamente francese “Oh, la la” seguito da un più sussurrato “incroyable”. In realtà il parziale finisce per complicarsi non poco e Sinner riesce a vincerlo soltanto con un azzardo tattico, vale a dire sfidare il dritto di Cerundolo per darsi il tempo di cambiare sul lungolinea. E infatti, quello che gli dà il break sul 2-0 nel secondo set è una meraviglia che stronca in anticipo il pathos generato dalla partita. Il punto vinto da Sinner sul 2-0, 30-0 viene definito un avere “la mano calda”, detto in un francese comprensibile anche a chi non sa parlarlo, mentre il serve and volley che gli permette di andare 3-0 è certezza. I fenomeni sono tali perché sanno “vincere male” . Nell’attesa di vedere entrare in campo Zverev e Davidovich Fokina, dal campo 1 arriva un’esultanza collettiva per la vittoria di Medvedev su Sonego, sorprendente vista la relazione turbolenta tra Daniil e il pubblico francese al quale a Bercy 2023 il russo dedicò un eloquente e inelegante dito medio. Sascha entra in campo con le cuffie al collo per il secondo torneo di fila, in quello che è un probabile tentativo di isolarsi da tutto e tutti. I tifosi che cercano il loro posto si fermano sui gradini e tributano il giusto rispetto a due parole sacre nello sport: “Champion Olympique”. Zverev è in total black, Davidovich Fokina in bianconero: il confronto cromatico è affascinante, ma vinto da Sascha, in versione cavaliere oscuro, mentre la sfida di decibel va ad Alejandro, nonostante il battibecco con il pubblico dopo la vittoria contro Cazaux e la polemica esultanza in cui invitava i tifosi più scalmanati ad andare a dormire. La partita, in realtà, racconta poco: le possibilità di Davidovich Fokina di qualificarsi per le ATP Finals sono troppo utopiche perché lo spagnolo possa andare oltre il proprio plateau fisico. Zverev, invece, non dà la sensazione di stare bene al servizio, tanto da chiudere con soltanto 4 ace e una velocità media di prima di servizio più sotto che sopra i 200 km/h. Negli occhi rimangono soltanto un passante di rovescio alla Zverev – sul 5-2 nel primo set e una insperata volée sempre di Sascha sul 2-1 nel secondo set definita da chi è in tribuna come “alla Paire”. “Le tenant du titre”, per usare un’altra affascinante espressione in francese, avrà disperato bisogno di queste magie contro Medvedev, non ci sono dubbi. DIARIO DA PARIGI GIORNO 3 DIARIO DA PARIGI GIORNO 2 DIARIO DA PARIGI GIORNO 1

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Michela Curcio