L'Italvolley ci ha ricordato, ancora una volta, la grande Bellezza dello sport italiano

La nazionale è la nazionale, rappresenta la nostra nazione, la patria, il territorio, ognuno di noi. E tutti noi ci sentiamo parte di quel gruppo, di quella squadra, di quel team. I colori sono prima quelli della bandiera, poi l’azzurro, dolce e celeste. L’inno lo cantiamo quando si vince, quando si sale sul podio: primi. Lo si canta prima dell’inizio di un match, di una partita, quasi timidamente all'inizio: è servita la nazionale di rugby per dare una svolta 'a squarciagola'. Persino Giorgio Armani, nelle divise londinesi per i Giochi del 2012, aveva fatto stampare all’interno delle giacche, parola per parola, le strofe di Mameli. Ecco, la nazionale, gli Azzurri, le Azzurre, il potere delle nostre emozioni e dei bellissimi ricordi. Lo spunto è dato da quello che il grande Julio Velasco, condottiero argentino del nostro volley, ha fatto rivivere a ognuno di noi. Lui e le sue ragazze, magistrali anche nel dopo Olimpiade, un altro sigillo da stampare nella nostra agenda del 'dove ero' quando hanno vinto contro il Brasile prima e la Turchia poi. Non può sfuggire alla memoria che proprio Julio aveva portato 30 anni prima a formare, sempre nel volley, la generazione dei fenomeni al maschile: vinsero tutto, tranne l’Olimpiade, comunque argento contro l’Olanda nel 1996 ad Atlanta. Altri Azzurri indimenticabili, con un Lorenzo Bernardi anche atleta del secolo. Il valore della nazionale è il concetto di squadra o singolo che diventa squadra? Tipo 'Valanga Azzurra' dello sci, la formazione azzurra ai primi 5 posti del gigante di Berchesgaden. Staffette vuol dire anche team, squadra, velocità? E allora eccoci a correre nella magia olimpica di Tokio 2021 con Patta, Jacobs, Desalu e Tortu. Oppure quella del fondo, sci nordico. Ricordo micidiale con Maurilio De Zolt, il 'Grillo del Cadore' in prima, poi Marco Albarello, Giorgio Vanzetta e chiusura con il 'Bocia', Silvio Fauner, il tutto con vittoria in volata per una 4x10 a Lillehammer 1994 contro una formazione casalinga norvegese considerata imbattibile soprattutto nella frazione conclusiva che poteva contare su uno dei fondisti più forti al mondo, Bjorn Dahlie. Qualche bandierina italiana fra centinaia di migliaia di vessilli norvegesi, in uno stadio gremito e urlante che si è azzittito quando Fauner ha passato il fenomeno di casa saltando sull’oro e sui compagni che lo aspettavano. Ecco la medaglia che ti rimane impressa ed è, per quanto mi riguarda, la più bella di una Olimpiade italiana. Sempre per il concetto di squadra e di singolo, come non citare la scherma, che nel gruppo ha fondato la sua forza innata, dove nell’individuale esistevano solo rivalità interne che si consolidavano in una straordinaria coesione di classe e determinazione, sia la maschile che al femminile. Di certo il nuoto e il tennis fanno da corollario alla disciplina più titolata del nostro medagliere olimpico, con dovuti distingui. La staffetta del nuoto non ha mai trovato continuità di primo posto, ma ha trovato una giusta collocazione tra i giganti della vasca come USA, Australia, Gran Bretagna e Cina. Epocali invece sono state le vittorie della Coppa Davis, dove scende in campo un senso diverso di amalgama tra doppio e singolare: 1976, il trionfo unico in Cile ma con alle spalle degli ottimi risultati, fino ad arrivare a oggi, con una generazione tanto forte da essere oramai considerata come la nazionale da battere. Discorso diverso quello del basket. La nostra nazionale ha sì regalato vittorie storiche, a cominciare dall'Europeo del 1983 a Nantes o dall’argento di Mosca 1980, ma di certo ha subìto divari stratosferici con il professionismo altrui e le naturalizzazioni ad ampio raggio, senza mai trovare, nonostante dei grandi personaggi, una vera continuità. Di solito, lo dice spesso Andrea Zorzi, lo 'Zorro' martello dell’era Velasco, la squadra è quella disciplina che esiste come gruppo e non come singolo. Ovvero: il basket, la pallavolo, il calcio, la pallanuoto non sono sport individuali e non possono essere giocati da soli, quindi sono la perfetta esistenza del concetto di formazione, sia al maschile che al femminile. Ora, è più facile tifare ed emozionarsi con la squadra Italia, intesa come quella dello sport più popolare: il calcio. Facile rivivere l’emozione della finale di Berlino del 2006. Fabio Caressa e Beppe Bergomi ci hanno raccontato un Mondiale dalle mille battaglie, quello di una formazione forte forgiata da Marcello Lippi. Emozioni e brividi che ci hanno riportato al 1982, una coppa molto complicata da vincere. La vittoria spagnola fu un successo contro tutto e tutti, contro lo scetticismo e le polemiche che hanno accompagnato la nazionale di Bearzot, fino all’apoteosi di Madrid davanti a un incontenibile Presidente Pertini. Due sigilli meravigliosi ma assai diversi per il loro cammino, con una conclusione da festa in piazza. E addio alle polemiche quando si arriva alla conclusione desiderata, quando sale la voglia di festeggiare, di stare insieme, dello scordiamoci il passato , il tutto condito da frasi e parole magiche che raccontano il cammino. Il valore dei telecronisti segna il nostro ricordo, le loro frasi iconiche stampano la nostra memoria in quel giorno magico. Esaltazioni che portano quasi a una sincope da microfono verso qualunque gesto sportivo. Ed ecco allora scendere in acqua con la pallanuoto del 1992: Barcellona, l’Olimpiade dove servì un maxi supplementare al nostro 'Settebello' per battere i padroni di casa. Nove a otto il punteggio finale, ma quell'ultima fu la rete di Gandolfi, necessaria per affondare la Spagna di Manuel Estiarte, il Maradona della pallanuoto. In quell'estate la panchina azzurra fu retta dal fuoriclasse Ratko Rudic, l’uomo che riportò la pallanuoto italiana indietro nei ricordi: 1960, a Roma ma soprattutto nel 1948, a Londra, dove nacque la favola del 'Settebello'. Tre ori in tre edizioni dei giochi olimpici con quel nome, derivato dalla passione per le carte dei giocatori napoletani della Rari Nantes. "Chiamateci Settebello", dissero all’allora telecronista Niccolò Carosio. Arena, Buonocore e Bulgarelli come Pizzo, D’altrui e Lavoratori nel '60, così come Porzio Campagna e D’altrui nel '92. Ecco cosa vuol dire ricordarsi di qualcosa che magari abbiamo solo letto, paragonandola al vissuto. Come pure le prime vittorie della nostra nazionale calcistica guidata da Vittorio Pozzo, nel 1934 e nel 1938, difficile prima vincere, difficilissimo poi confermarsi. Pozzo e suoi ragazzi lo fecero, mettendoci dentro anche un successo olimpico a Berlino nel 1936 a Berlino. Lo stesso Vittorio Pozzo che si trovò sui tornanti dell’Izoard a incitare nel 1948 Gino Bartali, che con maglia Italia batteva i francesi di Bobet nelle terribili giornate dell’attentato a Palmiro Togliatti. Bartali vinse sotto la guida di Alfredo Binda, super corridore negli anni '30 e super Ct, che siglò parecchi altri successi riunendo il sopra citato Bartali con Fausto Coppi e Fiorenzo Magni. Trionfi azzurri, con maglia azzurra, quando ancora al Tour de France correvano solo squadre nazionali, contro equipe regionali di provenienza francese. Magie dei grandi campioni, gestiti da un grande campione . Vorrei chiudere con una delle vittorie italiane più 'costruite' in assoluto, da tutti per uno e uno per tutti. Quell’uno è Mario Cipollini, il più grande tra tutti i velocisti, il più forte nel momento giusto, un 'Re Leone' della volata. Zolder, Olanda, 2002, percorso piatto con arrivo sul circuito di Formula 1: una formazione azzurra fatta su misura per Cipollini da parte dell'indimenticabile Ct Franco Ballerini. Il treno rosso della Saeco, convocato in nazionale, per lanciare la locomotiva toscana mentre tutta la squadra Bettini e Di Luca in primis, pronti a stoppare ogni tentativo altrui. E poi via, per il volatone, con la forza dei azzurri: Sacchi prima, Petacchi poi, che vanno a tutta velocità per dare ruota al fido Scirea, che stronca ogni possibile rimonta di qualcuno e lascia la strada spianata per Lombardi, ultimo uomo ideale, una saetta dritta e precisa che si toglie al momento giusto per la cavalcata di pochi, reali, metri di Mario Cipollini. Una corsa perfetta, nel giorno perfetto, per l’uomo perfetto del Paese con una storia ciclistica perfetta. E pensate a chi ha visto questo spettacolo di tecnica, forza e sincronismo. Gioia, lacrime, urla, salti, battiti di mani e abbracci senza fine. Tutto questo e molto altro lo regalò il colore azzurro. Guardatevi accanto, fissate qualcosa o qualcuno, perché ricorderete quel momento. Ecco cosa vuol dire La Nazionale . Grazie ragazze del volley azzurro, ci avete riportato indietro nella storia della Bellezza.

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L'Italvolley ci ha ricordato, ancora una volta, la grande Bellezza dello sport italiano

Giovanni Bruno