Dimmi cosa ascolti, ti dirò chi sei: Velasco, Sofri e la strategia delle canzoni

Julio e le canzoni, di questo parliamo. Perché Julio è dentro tante canzoni. Può essere La Felicidad di Palito Ortega ma anche l’Inno d’Italia, l’arpeggio di una chitarra classica e il dum di un tamburo in un palazzetto dello sport, un attimo prima che un servizio passi dall’altra parte della rete. In Italia nessun nome ha il suono della vittoria come il suo, e per costruire gli ultimi successi, Julio Velasco, ha chiesto aiuto anche alla musica. D’altronde non si diventa l’allenatore più vincente del nostro sport, e non per quantità di trofei alzati quanto per varietà, se non si venera il dettaglio, se non lo si cura come il più prezioso dei germogli, se non lo si accarezza con la delicatezza che si riserva ai tasti di un pianoforte. Fra i tanti modi possibili per conoscere le sue ragazze, Velasco ha scelto anche il percorso della musica, chiedendo loro di condividere con lui le canzoni che amano, una playlist digitale che raccontasse “le parole che ascoltano”. Le parole, i ritmi, l’energia. Dopo qualche piccola ricerca abbiamo potuto sentire anche noi quella playlist e ai più curiosi diciamo che comincia con La culpa di Alleh e finisce con WELTiTA di Bud Bunny. In mezzo nulla di spiazzante. Tanto reggaeton, niente di diverso da quello che ci si poteva aspettare. Quella lista di canzoni sembra davvero una fotografia delle sue ragazze e così come accade per qualunque cosa dica o faccia il gigante Julio, il primo pensiero è stato “che grande idea”. Il secondo invece: “Ma quale idea?” per citare il mitico Pino d’Angiò che non ci sognavamo di trovare. È davvero così? I nostri passaporti musicali raccontano chi siamo o a loro affidiamo i nostri spigoli affinché la musica li smussi, i nostri lati più oscuri perché le note li svelino, aspetti marginali che invece un ritornello amplifichi? Lati trash che ovunque ci farebbero arrossire, ma non quando li sentiamo con quelle orecchie che ciascuno nasconde nella propria pancia? Il dubbio lo abbiamo girato all’interlocutore più adatto, che di canzoni scrive ogni giorno e che, coincidenza, è stato tra gli ultimi a farsi una intensa e brillante chiacchierata con Julio Velasco, ovvero Luca Sofri, direttore artistico de Il Post che ha ospitato il C.t. in occasione del Talk organizzato proprio da Il Post a Napoli, qualche giorno prima che il 5 novembre uscisse nelle librerie la versione aggiornata di Playlist. Cos’è? Un libro preziosissimo in cui Sofri racconta 3485 canzoni, una sorta di raccolta della newsletter che si chiama proprio Le canzoni e che gli abbonati hanno il piacere di ricevere ogni giorno. A lui il compito di confermare o smentire Velasco. Facile, no? "Non sono sicuro che le canzoni che ascoltiamo ci raccontino, perché la musica attinge alla sfera più irrazionale di noi, che è solo una parte, non ci rappresenta totalmente", dice Sofri. "Io, ad esempio, mi rendo conto di essere poco indulgente verso chi ha visioni del mondo diverse dalle mie, cosa che invece non mi capita con le sensibilità musicali, anche se sono molto distanti da me, perché ciascuno di noi innesca delle relazioni emotive con le canzoni, meccanismi che non descrivono le persone quanto piuttosto il loro vissuto". Giudicare l’altro dai gusti musicali quindi potrebbe essere fuorviante. C’è chi si abbandona ad ascolti non sofisticati perché in quel contesto trova relax e conforto per poi essere, nella vita di tutti i giorni, una personalità molto più complessa delle canzoni che ascolta. "Quello che mi colpisce non è la qualità della musica ascoltata ma più la quantità, il livello di coinvolgimento. Quando mi capita di incrociare chi dice di non ascoltarla rimango colpito, straniato, forse perché io ho un rapporto estremo con la musica". La dimensione musicale può essere totalizzante quanto lo sport, diventare lo sfondo sul quale proiettare ogni azione quotidiana, oppure rappresentare solo un momento di evasione. "Certamente la musica è un ottimo spunto di conversazione, specie quando non ci si conosce aiuta nell’approccio. Parlarne è naturale, offre sempre degli spunti. Ecco, parlare di musica è un ottimo modo per iniziare a scoprirsi. Quello che certamente fa la musica è coinvolgere, aiuta a creare il clima emotivo di un ambiente. In più - aggiunge Sofri - ha la capacità di andare oltre le divisioni, nulla è potente come la musica. Nei concerti si crea un sentimento di condivisione unico. Penso a Sweet Carolina suonata negli stadi di baseball negli Stati Uniti: è la fine del mondo". E allora perché qualunque cosa faccia Velasco, compreso chiedere una playlist alle sue ragazze, ci pare la trovata più geniale del mondo? "Perché Julio ha un fascino trasversale e a Napoli ce ne siamo accorti. Nessun alto ospite dei nostri Talk ha suscitato tanto entusiasmo. Velasco mostra sempre una dota rara: un livello di curiosità altissima. Velasco sta dentro il campionato delle persone speciali". Velasco è stato ospite al Teatro Bellini di Napoli e in un lungo dialogo con il direttore editoriale de Il Post, Francesco Costa, ci ha ricordato perché lo amiamo tanto, a cominciare dalla sua celebre teoria degli alibi, per cui chi schiaccia e sbaglia dice che è colpa di come gli è stata alzata la palla, chi alza la palla se la prende con chi ha ricevuto e così via, in uno scarico di responsabilità che non è sbagliato per ragioni etiche ma per ragioni pratiche, perché non permette di imparare dagli errori. "La cultura degli alibi è un meccanismo umano, il problema è quando diventa sistemico", dice Velasco. L’amabile chiacchierata con Francesco Costa si può riascoltare nel podcast Wilson, un contenuto per gli abbonati che merita 52 minuti del tempo di chiunque. "Sport e musica sono i più grandi spettacoli del mondo, per questo capaci di creare personaggi come nessun altro contesto", dice Velasco, anche se "non c’è niente di più effimero di una vittoria". Anche certe canzoni lo sono, altre invece attraversano l’universo. Ma anche certe sconfitte possono, nel loro essere leggendarie, resistere al tempo, divorarsi lo spazio e restare impresse più di tanti successi. Sofri, ad esempio, ha sempre fatto il tifo per il Napoli per via di Ruud Krol, capitano dell’Arancia meccanica, mitico difensore dell’Olanda che nel ’74 e nel ’78 perse due finali Mondiali consecutive, sempre contro la Nazionale del Paese ospitante: "Vissi quelle partite come il simbolo di un sopruso, soprattutto quella persa in casa dell’Argentina della dittatura e così mi innamorai dell’Olanda, anche per la qualità straordinaria del gioco che esprimeva. Poco dopo accade che il calcio italiano riaprì le frontiere agli stranieri e Krol fu tra i primi ad arrivare, a Napoli, e così scelsi quella squadra. Direi che mi è andata bene, visto che da lì a poco avrei vissuto gli anni straordinari di Maradona". Benedetti argentini. Anche Diego è musica, infondo, una canzone in particolare. Quella Life is Life che ovunque inizi a suonare ci sbatte in campo, al riscaldamento di Diego: è quel brano ad aver reso memorabili quei palleggi, ma è quel gesto tecnico ad aver reso universale quella canzone. Ai tempi di Maradona la musica era ascolto condiviso, negli spogliatoi, nei pullman delle trasferte. È sempre stato così. È noto, ad esempio, che nei viaggi del Cagliari dello scudetto fosse Gigi Riva a sedersi nelle prime file, vicino all’autista, per scegliere quali canzoni mettere nell’autoradio, ed è altrettanto noto che quel Cagliari raggiungesse gli stadi, e vincesse, ascoltando Fabrizio De André. Oggi invece gli atleti si muovono con gli auricolari affondati nelle orecchie, isolati da qualunque altro suono, compresa la voce di compagni che a loro volta saranno immersi in un ascolto individuale della musica. La fruizione delle canzoni è cambiata, anche nello sport. "Eppure, resiste la forma canzone e questo è l’aspetto che più mi affascina - aggiunge Sofri - sono cambiate e scomparse tante cose, a cominciare dai supporti per sentirle, ma le canzoni no. Non solo resistono ma sono sempre più centrali nella nostra vita. Questo perché erano già adatte ai nostri tempi quando sono nate: la loro forma atomizzata era già pronta per questa società". Un’epoca in cui tutto è diviso in piccole parti, in contenuti sempre più brevi, scomposto in minimi termini. Le canzoni erano già adatte a quel futuro che stiamo vivendo oggi e sapranno adattarsi al futuro che vivremo domani. Adatte a qualunque tempo, proprio come Velasco. E se Julio fosse una canzone? "Il didascalismo prevederebbe un brano argentino ma sarebbe banale", chiude Sofri. "Io Io associo a Ivano Fossati. Julio non può che essere Italiani di Argentina". Trasmettiamo da una casa d'Argentina Illuminata nella notte che va La distanza atlantica La memoria più vicina E nessuna fotografia ci basterà Una, forse, ci può bastare. Osservatela bene, sembra quasi di sentirle cantare.

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Veronica Baldaccini