Jacobs re d’Europa. Dal padre ritrovato alla rivalità con Tortu: "Ha scommesso 100€..."
AtleticaIl nuovo campione europeo dei 60 metri si racconta a 360 gradi. Si sente italiano, l’inglese non lo parla nemmeno benissimo, grazie ad un profondo lavoro psicologico ha consapevolezza in gara ma pure il padre che aveva sempre considerato un estraneo. L’obiettivo ora è proiettare il gran tempo di Torun nei 100 metri. Con Tortu una rivalità d’amicizia: “Aveva scommesso sulla mia vittoria, gli ho fatto guadagnare 100 euro”
Ha ancora gli occhi stropicciati di chi non ha dormito nemmeno un minuto il 26enne bresciano neo campione europeo dei 60 metri. Il giorno dopo l’impresa Marcell Jacobs deve ancora realizzare tutto ciò che gli è accaduto ma con grande disponibilità accetta di ripercorrere la sua gara, di svelare curiosità private e sportive. Prima però vuole godersi sugli spalti la finale del salto in alto di Gianmarco Tamberi, il capitano azzurro merita il tifo di tutto il gruppo.
“Non ho più quasi voce perché ho fatto un tifo sfegatato per Gimbo. E’ stata una gara pazzesca, pure molto veloce perché saltavano uno dopo l’altro quasi senza pause. Il bielorusso Nedasekau ha avuto coraggio e se l’è meritato l’oro per l’azzardo di provare l’ultimo salto a disposizione a 2.37. E’ riuscito a giocarsi un jolly che se magari ci riprova altre 100 volte non gli riesce più. Gimbo ha dato tutto quello che aveva, ovvio che sia dispiaciuto per l’argento, ma questo è solo un grande inizio per lui dopo tutto quello che ha passato. Sono sicuro che arriverà alle Olimpiadi di Tokyo nel migliore dei modi”.
L’unica medaglia d’oro di questi Euroindoor di Torun resta quella di… Jacobs
“Non ho chiuso occhio stanotte, mi sono messo a leggere un po’ di messaggi ma avevo il telefono intasato. Più che altro mi sono tornati alla mente mille ricordi, i tanti momenti difficili che abbiamo passato io e il mio coach Paolo Camossi (campione mondiale indoor di salto triplo a Lisbona 2001). Da due anni stiamo facendo un percorso ben definito e strutturato. Sapevamo di valere questi tempi, si trattava però di metterli in pratica in gara. In questa stagione indoor partivo da 6”63 e mi sono migliorato di 16 centesimi, se ora sono salito sul tetto d’Europa è grazie a Paolo che ha sempre creduto in me, ha voluto circondarmi di un team personalizzato con fisioterapista, nutrizionista e da alcuni mesi l’inserimento di una mental coach. All’inizio ero scettico ed invece la mossa si è dimostrata decisiva”.
La vittoria è arrivata con pure un tempo sensazionale, 6"47 è il nuovo record italiano e la miglior prestazione mondiale stagionale. È vero che dall’altra parte dell’Oceano sei sotto osservazione da un po’ di tempo?
“Vero. Nelle prime gare di questa stagione sono rimasto sorpreso di conoscere un manager americano, che poi è lo stesso di Mike Rodgers (velocista oro ai Giochi Panamericani 2019 in 10”13). Si è avvicinato a me dicendomi: guarda che di te negli Stati Uniti si parla molto bene quindi fai vedere quello che vali. Questa frase mi è tornata in mente subito dopo la mia gara mentre guardavo la sigla WL (World Leading) accanto al mio crono. Mi sono detto, vedi che adesso sapranno bene chi sono! In verità sono arrivato a Torun senza pensare troppo al tempo, avevo l’obiettivo di essere davanti a tutti nei tre turni (batterie, semifinali e finale) e l’ho fatto. Poi è arrivato questo super crono e ne sono contentissimo”.
È un oro frutto delle tante batoste ricevute, come l’hai definito tu, ma è anche il frutto di questo nuovo lavoro mentale.
“Sì, assolutamente. Anche prima della finale sono stato al telefono mezzora con Nicoletta Romanazzi (mental coach) per alleggerire la tensione, visualizzare la gara. Il lavoro psicologico mi è servito come atleta, ho finalmente acquisito consapevolezza, adesso so quanto valgo e non ho più i vecchi dubbi di quando magari non mi sentivo all’altezza. A livello umano mi è pure servito per ricostruire il mio passato, mi ha aiutato a ritrovare mio padre che ho sempre considerato assente nella mia vita”.
Tuo padre, appunto. Era militare alla base USA di Vicenza quando ha conosciuto tua madre, bresciana. Insieme si sono trasferiti a El Paso (Texas) dove sei nato, poi però quando hanno divorziato lei è tornata in Italia a Desenzano sul Garda insieme a te che avevi meno di due anni.
“Infatti io mi considero italiano perché lo sono al 99,9%. Di americano ho metà del sangue e pure le fibre muscolari ereditate da mio padre. Quando sono tornato a Desenzano, piccolissimo, parlavo solo italiano, ho imparato il dialetto bresciano e adesso parlo pure un po’ romanesco. L’inglese non lo sapevo nemmeno fino a poco tempo fa, l’ho migliorato solo da poco, adesso me la so cavare diciamo…”.
Da allora in poi i rapporti con tuo padre quali sono stati?
“Praticamente inesistenti. Quando mi chiedevano: chi è tuo padre? Io rispondevo: Boh, io non ce l’ho un padre. Ed era vero. La prima volta che l’ho visto era il 2008, io avevo 13 anni, per me quell’uomo rappresentava un estraneo. Siamo rimasti insieme 2 giorni ma poi nulla più. Ci siamo ritrovati qualche anno dopo tramite social, su Facebook, ma io gli rispondevo poco, non lo calcolavo, per me non faceva parte del mio mondo familiare. Il lavoro mentale che ho iniziato lo scorso settembre è stato anche un lavoro intimo alla ricerca delle mie radici, mi ha aiutato. Negli ultimi mesi abbiamo ripreso a sentirci più spesso, si è creato un rapporto che non c’era mai stato in tutti questi anni. Era anche colpa mia, lo riconosco, ero io che avevo una chiusura nei suoi confronti, non avevo voglia di interagire con lui. Adesso invece so che la prossima volta che andrò negli Stati Uniti lo andrò a trovare, mi ha scritto anche prima della finale dei 60 metri”.
E tu che padre sei con i tuoi tre figli, Jeremy, Anthony e Meghan?
“Come padre mi devo tirare le orecchie perché con il mio primo figlio Jeremy, che ha sei anni, ho costruito con il tempo un bel rapporto. E’ nato quando io avevo 19 anni, ero ancora molto immaturo, con sua madre non andavo d’accordo e quando ci siamo lasciati è stato tutto più complicato. Anche a causa della distanza, loro vivono a Desenzano e io nel frattempo mi ero trasferito prima a Gorizia e adesso da 3 anni vivo a Roma. Invece con Anthony e Meghan, gli altri due figli avuti con la mia compagna Nicole, è completamente diverso anche solo per il fatto che ci vivo insieme, me li posso godere. Con loro mi considero il papà più bravo del mondo”.
Sembri un duro, anche per via dei tantissimi tatuaggi, invece di te raccontano che sei un pezzo di pane, umile, con una grande etica del lavoro.
“Il mio coach mi definisce ancora uno scavezzacollo, forse perché mi ha conosciuto nel 2015 quando ero ancora un ragazzetto come testa. Sono una persona molto semplice, faccio una vita tranquilla proprio perché ho bisogno di recuperare dalle fatiche degli allenamenti. I miei tatuaggi mi raccontano, ho inciso le date di nascita dei miei figli, dei miei fratelli e di mia madre, ho un tatuaggio che rappresenta l’amicizia perché l’ho fatto insieme ai miei amici storici, poi ho un mappamondo, la scritta Carpe Diem, un'àncora incisa insieme a Nicole. Forse l’unico di cui sono pentito è la scritta sui pettorali con il soprannome CrazyLongJumper, che è pure il mio account su Instagram, magari non lo rifarei più…”
Dal punto di vista tecnico quanto vale il 6"47 di Torun in ottica 100 metri?
"Chiaro che tra due mesi bisognerà proiettare questo tempo dei 60 anche nei 100, questo è il vero obiettivo. Parto con un personale di 10”03 (del 2019) e con l’ambizione di scendere sotto i 10 secondi. Diciamo che due calcoli li abbiamo fatti, come anche molti altri esperti a giudicare dai commenti che ho letto. Se l’anno scorso con 6"63 nei 60 ho poi corso i 100 metri in 10”10, conti alla mano questo mio tempo di Torun potrebbe valere un 9”94. Ci vogliamo lavorare”.
Già lo sai che da qui ai prossimi mesi vivrai con due tormentoni. Le domande per te verteranno quasi esclusivamente sul tuo tempo nei 100 metri e sulla tua rivalità con Filippo Tortu
“Grazie alla mia vittoria ho fatto pure vincere 100 euro a Tortu! Me lo ha rivelato lui ieri dopo la finale, mi ha scritto che aveva scommesso su di me, lui conosce le mie potenzialità. E’ chiaro che in gara siamo rivali, ognuno vorrebbe arrivare davanti all’altro, ma con Filippo siamo davvero amici. La nostra rivalità ci stimola a vicenda per fare meglio, serve anche a tutto il nostro movimento affinché si parli di atletica sempre di più. Anzi, non vedo l’ora di ritrovarlo insieme a tutti gli azzurri tra due settimane al raduno della staffetta 4x100. Dobbiamo preparare i Mondiali di Staffetta a maggio, sempre qui in Polonia. Sarà fondamentale perché un posto in finale varrà la qualificazione per Tokyo. Due anni fa a Yokohama (World Relays 2019) arrivammo in finale ma poi ci fu un contatto tra l’americano Lyles e Davide Manenti e sfumò la medaglia, adesso siamo ancor più agguerriti. Alla staffetta veloce ci teniamo tantissimo”.
Il motto "testa bassa e lavorare" quindi non cambia
“Testa bassissima e sotto con il lavoro, sempre. Ancora prima di vincere l’oro nei 60 in questi Europei avevamo programmato con Paolo Camossi di tornare a casa lunedì e di riprendere gli allenamenti già da martedì. La stagione olimpica è troppo importante, non c’è tempo da perdere e noi abbiamo ancora tanto lavoro da fare”.