Ibrahimovic: "Vi racconto il mio primo incontro con Mino Raiola..."
Premier LeagueL'attaccante svedese racconta in esclusiva le sue umili origini a "I Signori del Calcio": "Mio padre non pagava l'affitto pur di farmi giocare a calcio, poi è arrivato quell'incontro con Mino Raiola...". L'intervista disponibile su Sky On Demand: tutti i passaggi in tv
Dopo la rottura del crociato nei quarti di finale di Europa League contro l’Anderlecht – il 20 aprile scorso – in molti avevano pensato che quella sarebbe stata l’ultima partita della sua carriera. E invece a 36 anni Zlatan Ibrahimovic ha sorpreso ancora tutti, non con una delle sue solite magie in campo, ma con un recupero incredibile. Il 18 novembre è tornato a giocare a 7 mesi dall’infortunio e adesso si racconta in esclusiva a "I Signori del calcio".
I passaggi tv dell'intervista disponibile sempre su Sky On Demand:
Sabato 2 dicembre alle 13:15 su Sky Sport 1
20:30 su Sky Sport 3
23:15 su Sky Super Calcio
23:45 su Sky Sport Mix
Il rapporto col padre e le difficoltà economiche
Per comprendere fino in fondo il talento di Ibra, è necessario conoscere il contesto in cui è vissuto. Un ambiente di grandi difficoltà che lui ricorda così: “Sono cresciuto con mio papà. Lui lavorava tanto per permetterci di vivere. Il nostro frigorifero non era mai pieno, non avevamo tanto da mangiare – spiega l’attaccante dello United - Per esempio, quando andavamo a giocare i tornei giovanili in Germania con la squadra primavera del Malmoe dovevo chiedere 3000 corone a mio papà. Allora lui cosa faceva? Mi lasciava questi soldi e non pagava l’affitto per un mese, e mi mandava per giocare questi tornei, perché lui faceva tutto quello che poteva e mi dava tutte le alternative che c’erano”.
Dall’inizio duro al Malmoe all’incontro con Roland Anderson
Dopo averlo visto segnare e sovrastare gli avversari sui campi di tutta Europa, sembra quasi impossibile immaginarlo ai margini della squadra, confinato in panchina senza la fiducia del suo allenatore. E invece, nei suoi inizi al Malmoe, Ibrahimovic si ritrovò proprio in una situazione del genere: “Quando sono arrivato non sono stato accettato dai compagni e dall’ambiente, perché avevo un nome straniero. Poi la squadra è retrocessa nella seconda divisione svedese e tanti giocatori andarono via – racconta - La società era quindi obbligata a usare i giovani, che erano forti, perché avevano vinto tutto nei campionati giovanili svedesi. Io non ero titolare, entravo dalla panchina, ma ancora non ero accettato e benvenuto”. Il momento della svolta per lui arrivò quando Roland Anderson, allenatore della prima squadra, lo vide giocare in una partita del Under 20: “Dalla società mi hanno detto che Anderson mi voleva vedere – ricorda Ibrahimovic - Io ho pensato di aver fatto qualcosa di grave, di aver commesso qualche errore. Invece Anderson mi ha detto: Basta giocare con giovani, adesso devi misurarti con i grandi. Finalmente avevo trovato una persona che credeva in me. Allora ho colto l’opportunità, l’ho sfruttata e sono arrivato a dominare totalmente”.
Le motivazioni
Oltre all’incredibile talento e alle eccezionali qualità tecniche, l’attaccante dello United ha sempre dimostrato un carattere e una determinazione fuori dal comune: “In Svezia, quando ero nello spogliatoio con gli altri calciatori, sapevo di essere percepito diversamente, di essere straniero. Per cui, per avere una possibilità in Svezia, mi ero convinto di dover essere dieci volte più forte di chi avevo seduto accanto a me – racconta Ibrahimovic - Dovevo lavorare dieci volte più di quello, dovevo dimostrare i miei mezzi dieci volte più di tutti gli altri. Perciò, quando ho vinto il mio decimo pallone d’oro di Svezia, ho detto: Adesso mi sento più forte di tutti, perché ho vinto dieci volte questo pallone d’oro. Questa era la mia mentalità”.
Il rifiuto all’Arsenal: "Ibra non fa provini"
Cultura del lavoro, cattiveria agonistica, ma anche grande consapevolezza dei propri mezzi. Tutte qualità che spiegano il suo no all’Arsenal: “ Sono andato a Londra per un appuntamento con Wenger, che mi ha chiesto di fare un provino per i Gunners. Gli ho detto: Io non faccio trial: o mi prendi o no, non sono qua per perdere tempo. – ricorda Ibrahimovic - Avevo già quel tipo di fiducia, perché nella mia testa ero il più forte di tutti anche da giovane. Ho incontrato Wenger perché mi aspettavo che mi dicesse di iniziare subito con loro. Ma Ibra non fa prove”.
L'arrivo all'Ajax: dai fischi alla fiducia di Koeman
Niente Arsenal quindi nel destino di Ibra. A puntare su di lui fu l’Ajax: “Era in trattativa per il mio cartellino. Dopo avermi seguito durante il ritiro estivo in Spagna, mi hanno contattato dalla squadra olandese e abbiamo chiuso il mio trasferimento in un’ora – spiega - Quando è uscita la notizia, mia mamma mi ha chiamato con voce triste ed era convinta fosse successo qualcosa di brutto, perché, da dove veniamo noi, quando esce la tua foto in televisione è successo qualcosa di grave o hai subito un infortunio serio. Anche se tu sei diverso, o arrivi da brutte zone, tutto è possibile: basta lavorare e credere in se stessi”. Così come al Malmoe, l’inizio in Olanda non fu facile per lui: “All’Ajax non avevo nessuno. In quella fase della mia carriera non facevo tanti gol, quindi mi fischiavano molto. Questo è stato l’unico momento in cui mi sono sentito strano, perché oggi quando mi fischiano, mi sento stimolato. Mi dà adrenalina, mi dà motivazione”. Anche ad Amsterdam la svolta arrivò grazie ad un allenatore: “Dopo un po’, all’Ajax è arrivato Ronald Koeman, che ha iniziato a parlare con me. Finalmente ho trovato un allenatore che mi parlava, che mi aiutava, non solo uno che mi dava ordini, che mi diceva quello che devo fare senza fornirmi alcun feedback. Quando ho fatto gol nella finale di Coppa Nazionale Olandese, ricordo che lui è venuto da me e mi ha ringraziato”.