I 7 gol più belli dello Scudetto della Juventus

Calcio

Daniele Manusia

La grande stagione della Juventus è stata suggellata da diversi gol bellissimi, che raccontano dell'eccezionalità della squadra di Allegri

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Probabilmente quando tra qualche anno ci volteremo indietro e guarderemo ai sette Scudetti consecutivi della Juventus non ricorderemo la fatica che ognuno di loro ha richiesto. Sarà facile sorvolare su questo settimo campionato considerandolo come una conseguenza naturale di una superiorità troppo manifesta, che confondendo le sette stagioni in un unico grande periodo ci sembrerà magari scontata e noiosa. La stagione 2017-18 perderà per forza di cose un pò della sua unicità, e anzi la sta già perdendo se persino Allegri, che ricorda spesso quanto vincere sia un evento raro nel calcio, dice che questo Scudetto è “il più bello e difficile” ma, al tempo stesso, aggiunge che “ogni anno che passa è così”.

Eppure mai come quest’anno la Juventus è andata vicina a non vincerlo. Il rischio è quello di sminuire la portata di quest’altra impresa, dimenticando non solo le difficoltà affrontate e superate - esempio: nella prima metà della stagione la Juventus ha concesso il 30% di occasioni in più rispetto a quella precedente, da dopo la sconfitta con la Sampdoria ha subito 1 gol in 16 partite di Serie A - e la competitività del Napoli di Maurizio Sarri, ma anche tutti quei dettagli più o meno piccoli necessari per vincere davvero ogni anno che passa.

Restituire il senso di una stagione solo attraverso i gol sarebbe un tentativo fallimentare, scegliere i gol più belli e riguardarli oggi, però, ci può far guardare più da vicino all’eccezionalità della stagione appena trascorsa.

Paulo Dybala ha vissuto una stagione complicata, non solo per via dell’infortunio che gli ha fatto saltare più di un mese, ma in realtà era cominciata alla grande. Dodici gol nelle prime otto partite ufficiali, con due doppiette e due triplette: la prima contro il Genoa e la seconda contro il Sassuolo. Nella Juventus più brillante in fase offensiva di inizio stagione, Dybala sembrava poter giocare al proprio meglio, cucendo la manovra con i suoi frequenti spostamenti sulla destra (muovendosi dal centro, dietro a Higuain) e finendo l’azione negli ultimi venti metri di campo. Anche senza grande aiuto, o se preferite del tutto da solo.

Per segnare il primo gol contro il Sassuolo a Dybala è bastato un passaggio orizzontale di Mandzukic, qualche metro fuori dall’area di rigore, per calciare in porta prendendo di sorpresa i centrali difensivi avversari. La palla veniva da sinistra e Dybala l’ha colpita di sinistro, di collo interno, dandole un effetto a incrociare sul secondo palo che la fa entrare in rete con una traiettoria lunga. Il capitano del Sassuolo, Magnanelli, ha commentato silenziosamente la prodezza mulinando la mano come si fa di fronte a qualcosa di stupefacente.

Poi Dybala ha segnato questo secondo gol, dopo aver ricevuto palla da Cuadrado a destra. Il passaggio è sui piedi, rasoterra, con il controllo Dybala si trova un metro dentro l’area di rigore ma con un centrale davanti, Paolo Cannavaro, e un altro subito a destra, Letschert, pronto a chiuderlo in caso avesse provato a rientrare sul sinistro. Non c’è neanche Higuain a portargli via un uomo e in una frazione di secondo il cervello di Dybala calcola (1) la posizione di Consigli, che probabilmente si aspettava/temeva comunque il tiro di sinistro sul secondo palo, (2) lo spazio disponibile tra la gamba sinistra di Cannavaro e il primo palo. Quindi decide di calciare di punta. Quello di Dybala è un pensiero, come lo è quello di un grande felino che pensa quale preda attaccare nel branco in fuga, il suo corpo risponde immediatamente e la gamba scatta prima che chiunque altro a parte lui si renda conto di quello che sta per succedere.

L’esplosione, quasi letterale, di Douglas Costa nella seconda parte finale di stagione, ha messo inevitabilmente in ombra l’importanza del contributo di Federico Bernardeschi, anche in questo caso, come per Dybala, ostacolato da un infortunio che da febbraio ad aprile lo ha allontanato dal campo. Contro la SPAL, a ottobre, ha giocato una delle sue migliori partite, partendo da titolare e dimostrando un’ottima intesa con il 10 argentino. Ad esempio, anche se il gol che ha sbloccato la partita è uno di quei gesti individuali che sembrano esistere da soli, senza nessun presupposto, in realtà è nato dalla lettura di Bernardeschi che (seguendo le indicazioni di Allegri, ovviamente), vedendo che Dybala si è allargato a destra, incrocia la sua traiettoria puntando in diagonale l’area di rigore.

La tecnica fenomenale di Bernardeschi, poi, gli permette di controllare con il destro, la sponda alta e forte di Douglas Costa, in modo da sistemarsela per calciare al volo di sinistro. La palla, colpita leggermente di esterno, esce dal suo piede come un sasso dalla fionda, troppo potente e precisa perché Gomis, il portiere della SPAL, pensi anche solo di potersi lanciare sul secondo palo. Uno di quei gol che non ti fa pensare: “Ma come ha fatto?”, quanto piuttosto: “Ma come gli è venuto in mente?”. Un gol, però, che riassume anche ottimamente la trasformazione di Bernardeschi dal giocatore che era alla Fiorentina (uomo-squadra in senso individualista, con troppe responsabilità rispetto a quanto era maturo il suo talento) a quello che è diventato alla Juventus (uomo-squadra nel senso che gioca per la squadra, che occupa il suo posto senza strafare ma senza neanche nascondersi dietro ai compagni più maturi).  

Sembra una vita fa. La Juventus doveva ancora subire la sua seconda sconfitta in campionato contro la Sampdoria (la seconda delle tre totali, per rendere ancora una volta l’idea del cammino eccezionale della squadra di Allegri) e sulla panchina del Milan c’era l’ex allenatore del Siviglia, Vincenzo Montella. Le esagerazioni mediatiche successive alla campagna acquisti si erano già spente e l’effettiva competitività dei rossoneri con le prime della classe era stata seriamente minata dalle sconfitte con Samp, Lazio, Roma e Inter. Certo, vincere in casa con la Juventus sarebbe stato più di una consolazione e avrebbe magari fornito la fiducia necessaria all’ambiente rossonero per affrontare la partita con il Napoli due settimane dopo (sarà un’altra sconfitta, invece). Per questo la squadra di Montella ha cominciato la partita con un pressing offensivo molto aggressivo che ha anche messo in difficoltà la costruzione bassa della Juventus.

Poi però è venuta fuori tutta la qualità e la pazienza della Juventus, che ha costruito con calma l’azione del primo gol, proprio di Gonzalo Higuain. Se nel primo gol l’argentino è abile a muoversi da un marcatore all’altro, sfruttando la lentezza di Romagnoli nel chiudergli il tiro (comunque abbastanza eccezionale), il suo secondo gol (che chiude la partita) è un saggio di tutta la sua sensibilità. Metà gol è di Dybala, del movimento che tiene impegnato Romagnoli e del velo che spacca la difesa del Milan, presa in controtempo. Ma della metà di Higuain, diciamo che almeno il 75% è merito della sua finta, di coma schiaccia il piede sinistro a terra facendo pensare a Ricardo Rodriguez che andrà da quella parte. Una volta fatta scorrere la palla sul destro non ha comunque molto tempo per calciare, ma il tiro è così rapido e secco e preciso sul primo palo che neanche Donnarumma (al netto del solito saltello prima che l’attaccante avversario scocchi il tiro, che gli è costato già parecchi gol) ci può arrivare.

Fabio Barcellona, riflettendo sul luogo comune secondo cui “la Juventus vince ma non gioca bene”, distingue tra due strade possibili per giocare un bel calcio: quella dei gesti tecnici individuali e quella del sistema, del movimento di squadra. E giustamente nota che se dal punto di vista tattico, magari, non tutti si sono sentiti appagati quest’anno dalla squadra di Allegri, al tempo stesso è “difficile sostenere che i giocatori della Juventus siano giocatori poco belli. Le doti balistiche di Pjanic, quelle realizzative di Higuain, la tecnica e la fantasia di Dybala, l’esuberanza dei tackle di Chiellini. Guardando la Juventus non è difficile trovare gesti tecnici capaci di soddisfare il piacere estetico dello spettatore”.

Ed è ironico che a decidere la partita di andata con il Napoli, la squadra che viene usata come metro di paragone della Juventus nel discorso sul “bel gioco”, sia stata proprio una serie di gesti tecnici individuali capaci di sbriciolare il sistema difensivo di Sarri. Il pressing del Napoli per recuperare palla appena dopo averla persa, con i tentativi di Allan e Jorginho disperati, spezzato da Douglas Costa come un bastoncino del gelato nella mano di un culturista. L’assenza di un’organizzazione per i contropiedi della Juventus, colmata dalla qualità del controllo orientato di Dybala e da quello di Higuain, che trasformano i metri a disposizione in chilometri per il primo, che porta palla ed esegue l’assist, e dilata i pochi secondi a disposizione del secondo per permettergli di coordinarsi per il tiro. La corsa all’indietro di una squadra intera annullata dalla singola corsa di Douglas Costa, che comincia l’azione e la finisce strappando Albiol e Koulibaly verso il fondo del campo, con un movimento senza palla che libera Higuain.

Se non esiste reale conflitto tra tattica collettiva e tecnica individuale, è ancora più immaginaria e pericolosa l’idea secondo cui i risultati non si ottengono con il bel gioco. In quest’azione c’è solo parte dell’eccezionalità tecnica di questa Juventus, che fa sembrare facile segnare un gol con tre giocatori che coprono tre quarti di campo da soli e con due passaggi arrivano in porta, sabotando i meccanismi di pressing e la coordinazione collettiva della difesa della loro principale avversaria stagionale, a lungo inseguita.

Forse il lampo di genio più luminoso della stagione di Paulo Dybala è quello fuoriuscito dal cielo grigio degli ultimi secondi della partita con la Lazio, con cui la Juventus aveva perso già due volte (tra l’andata e la Supercoppa), al termine di novanta minuti in cui la squadra di Allegri era stata attenta, e brava, a neutralizzare la qualità offensiva di quella di Inzaghi ma in cui aveva faticato tremendamente a costruire azioni pericolose. Una partita che in un certo senso è il manifesto della capacità della Juventus di piegare a proprio favore i momenti decisivi della partita, dopo averla messa sui binari che Allegri ha disegnato e che le permettono di controllarla.

Basta un passaggio di Rugani neanche troppo preciso, che controlla un campanile nato da un tiro di Alex Sandro ribattuto dalla difesa della Lazio, affinché Dybala trovi l’intuizione decisiva. I giocatori come Dybala hanno la tendenza a raccogliere frutti in quantità maggiore rispetto a quanto ci sarebbe da aspettarsi da un giocatore normale, in questa stagione ha segnato 19 gol (esclusi i rigori) da appena 13,1 Expected Goals, e questo gol è perfetto per spiegare in che modo un calciatore eccezionale riesca a trasformare una palla di rame in un’occasione d’oro.

Non ci sono solo la capacità di Dybala di utilizzare il proprio corpo per resistere al recupero di Parolo, e la sua abilità tecnica straordinaria che gli permette di coordinarsi cadendo e colpire la palla forse meglio di come l’avrebbe colpita restando in piedi; ma la genialità di Dybala sta soprattutto nel gesto improvviso, gratuito, immotivato, con cui sterza improvvisamente verso la porta dopo aver controllato il passaggio di Rugani. Non vede neanche la posizione del difensore laziale che lo marca, Luiz Felipe, che gli copre con il piede destro lo spazio in diagonale, prima di sterzare. Lo “sente”, si dice in questi casi, e gli fa passare la palla sotto le gambe.

Esprimersi a livelli così eccezionali con continuità, contro tutte le squadre e tutte le difese, ogni settimana, più volte a settimana anzi, riesce solo a pochissimi giocatori. È indubbio che a Dybala manchi ancora qualcosa per confrontarsi con i più grandi di questi anni, ma ciò non dovrebbe impedirci di celebrare uno dei talenti più puri e originali del nostro campionato. Questo è il gol del sorpasso della Juve sul Napoli, per via della successiva vittoria della Roma al San Paolo, in una giornata che, in teoria, poteva segnare al contrario l’allungo definitivo della squadra di Sarri. A volte un campionato si decide in pochissimi secondi.

La Juventus di Allegri ha segnato molti gol di testa sul secondo palo e per poco non ha costruito una rimonta, quella con il Real Madrid, che sarebbe stata ricordata per anni a venire, su due gol di questo tipo di Mandzukic, che si è fatto trovare alle spalle di Carvajal al momento giusto. Il cross è un tipo di passaggio con una bassa percentuale di pericolosità media, che difficilmente arriva a destinazione e ancora più difficilmente viene trasformato in gol. Ovviamente dipende dal tipo di cross. Il gol di Cuadrado contro il Milan, al termine di una fase offensiva lunga e insistita della Juventus, con la palla che da destra è andata più volte a sinistra, e che è già stata messa sul secondo palo più volte cercando di scavalcare la difesa del Milan, molto compatta centralmente. Douglas Costa salta il suo avversario diretto, Calabria, verso l’interno del campo e il Milan è costretto a scalare su Khedira che nel frattempo si è inserito. La coperta è davvero troppo corta, Bonucci deve uscire su Khedira, Romagnoli resta in mezzo tra Dybala e Higuain, su cui stringe Rodriguez. Alle spalle di tutti arriva Cuadrado, visto da Calhanoglu ma posizionato in maniera migliore. Una giocata cercata in continuazione dalla Juve quest’anno, anche se sempre in modo diverso, che Cuadrado conclude con un tuffo intelligente che schiaccia la palla a terra e prende in controtempo Donnarumma, ormai lanciato verso il primo palo.

Uno Scudetto si vince e si perde in moltissimi momenti. È una questione di infiniti dettagli e momenti decisivi. Se la retorica sarriana dello Scudetto perso in albergo non sembra considerare i molti passi falsi del Napoli, è vero anche che ci sono vittorie che oltre ai 3 punti si portano dietro un messaggio psicologico con effetti duraturi. Dopo il gol di Koulibaly che era costato la sconfitta in casa e che aveva riportato il Napoli più vicino di quanto avrebbero desiderato, la Juventus ha giocato 70 minuti con l’uomo in più senza riuscire a controllare né tanto meno ad avere la meglio dell’Inter, arrivando sotto nel punteggio a pochi minuti dal termine. Poteva essere la giornata del nuovo sorpasso del Napoli, che qualche ora dopo avrebbe giocato contro la Fiorentina con - possiamo immaginare - il fuoco dentro. E però, ancora una volta, la squadra di Allegri ha piegato un momento decisivo a proprio favore.

Della partita con l’Inter qualcuno ricorderà a lungo gli errori di Orsato, qualcun altro magari ci terrà a sottolineare anche tra qualche anno il cambio di Spalletti che ha tolto Icardi e inserito Santon, in marcatura su Higuain proprio nel gol del 3-2; ma la coincidenza più importante alla fine è quella tra la delicatezza del piede sinistro di Dybala e il fiuto di Higuain che lo spinge a seguire la traiettoria del pallone, come un cane poliziotto è sopraffatto dagli odori che è educato a cercare e non potrebbe cambiare direzione neanche se gli venisse offerto un bocconcino prelibato.

Adesso che è tutto finito, adesso che non c’è più niente da fare, guardate questo gol e chiedetevi: quanto è semplice sbagliare palloni così importanti? Quanti giocatori al posto di Dybala avrebbero colpito male, mandando la palla troppo in là, o troppo indietro? Quanti centravanti sarebbero arrivati sulla palla sbilanciati, colpendola magari di striscio, o sbagliando completamente il colpo di testa?

Il taglio di Higuain sul secondo palo, la forza con cui passa davanti a Santon (che timidamente allunga una mano provando a fermare quella che ormai è una locomotiva lanciata), l’incontro con la traiettoria a spiovere di Dybala e la conclusione che prende Handanovic in controtempo, sono la rappresentazione di una squadra che sa bene che gli Scudetti si vincono con i dettagli.