Sono le rimonte che accendono la mente e che aprono la strada verso il sogno. Imprevedibili, non le puoi costruire a tavolino: ma una spiegazione psicologica c'è
Sono le vittorie-trampolino: un passaggio del turno, o sarebbe meglio dire salto?, si trasforma in qualcosa di più. Energia nuova, il morale vola alle stelle. La cosa bella è che non le puoi prevedere. Dopo, puoi provare a spiegarle. Nessun allenatore risolleverà mai la propria squadra studiando a tavolino una bella vittoria-trampolino. Capitano per magia. Sono sicuramente frutto di forza di volontà, orgoglio e sentimenti nobili che ne preparano il terreno, ma la crescita avviene poi spontanea, rapida e imprevedibile. Merito di situazioni che vanno a incastrarsi nella maniera giusta: esiste quell’unica combinazione e quella si verifica. Dzeko che segna immediatamente, Messi che spara a salve su punizione, i gol di De Rossi e Manolas, proprio-quelli-degli-autogol-dell’andata. Tanto che inizi a vederci anche qualcosa di mistico, dei segnali: perché è successo nell’anniversario di una delle serate di Champions più terribili della storia giallorossa (7-1 contro il Manchester United); perché i protagonisti sono due che il mercato aveva praticamente già portato via (e un terzo che è il simbolo dell’alta fedeltà); perché Di Francesco cambia tutto per la partita più importante come farebbe solo uno che ha avuto una visione e la vuole assecondare.
Come Neo quando schiva le pallottole
In serate del genere si entra in quella bolla magica che la psicologia ha etichettato come flow, e che tutti – non per forza i professionisti, non per forza gli sportivi – hanno sperimentato almeno una volta nella vita: tutto ti riesce semplice, la percezione del tempo alterata (a volte scorre velocissimo; altre scorgi tutto come se fossi in un eterno rallenty). Le trame del Barcellona, invisibili ai comuni mortali, improvvisamente diventano chiarissime come a Neo quando imparava a decifrare il linguaggio di Matrix e poteva schivare le pallottole. Il dribbling di Messi non è più etereo, le illusioni di Iniesta sono svelate.
La teoria del pugno
Sempre loro, gli psicologi, individuano 5 qualità in grado di fare grande una squadra. O meglio: di trasformare un “gruppo” in una vera squadra. «Il gruppo, per me, è quello che si forma alla fermata dell’autobus», ripeteva l’allenatore-psicologo Sandro Gamba ai suoi, «per questo io voglio fare di voi una squadra». E snocciolava le 5 caratteristiche, aprendo un dito alla volta: comunicazione, fiducia, responsabilità collettiva, attenzione e orgoglio. Poi chiudeva la mano a pugno e, citando un altro coach di basket, Mike Krzyzewski, il mitico Coach K., concludeva: «Ognuna singolarmente è importante. Ma è quando si stringono tutte insieme a pugno, che diventano imbattibili». Le cinque dita della Roma, chiuse a pugno, hanno steso i marziani.
La Roma che “comunica”, e in campo lo si può fare anche senza parlarsi, con una corsa in più per il compagno o un raddoppio che significano “ci sono anch’io”, “ti aiuto”; la Roma che ha fiducia, innanzitutto nel mister che sembra pazzo a mandarli in campo in quel modo; la Roma che diffonde la responsabilità tra tutti i suoi uomini, senza eleggerne uno in particolare a Messia, con o senza a finale; la Roma attenta a ogni dettaglio, sempre concentrata, sempre sul pezzo; la Roma orgogliosa, e qui c’è poco da spiegare.
Genesi del sogno
La strada del sogno si apre così, i precedenti di chi ha vissuto emozioni del genere non mancano. Il Chelsea che capovolse il Napoli nel 2012, agli ottavi (3-1 a Napoli annullato a Londra con un 4-1 ai supplementari), fece di quella rimonta la scintilla per accendere il motore e arrivare in finale (vinta ai rigori contro il Bayern). Ma siccome il calcio insegna che esistono anche le favole senza lieto fine, va citato anche il Monaco che nel 2004 fece fuori il Real Madrid agli ottavi (ribaltando il 4-2 del Bernabeu con un 3-1) e poi volò fino alla finale, persa contro il Porto di Mourinho. Ciò che ci interessa, qui, è la genesi del sogno: spalancare le porte alla sua possibile realizzazione non significa per forza realizzarlo. Ma non per questo ci priveremmo di serate come quella che la Roma ci ha appena regalato.