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Heysel, 35 anni fa la tragedia allo stadio di Bruxelles

Champions League

Massimo Tecca

Il 29 maggio del 1985, allo stadio di Bruxelles, va in scena la finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool. Circa un'ora prima del fischio di inizio, dopo diverse cariche dei tifosi inglesi verso un settore dell'impianto nel quale erano assiepati diversi tifosi juventini, 39 persone - di cui 32 italiane - persero la vita e oltre 600 vennero ferite dalla calca e dalla confusione di chi provava a fuggire. Una tragedia immane, che non bisognerà mai dimenticare

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Trentacinque anni, ma la ferita ancora brucia. Prepararsi per commentare una partita di calcio e ritrovarsi a stilare un bollettino di guerra, la conta dei morti fra le sirene delle ambulanze. Quella sera siamo precipitati all'improvviso in un film dell'orrore, un incubo in diretta tv. Tutti insieme, chi lo raccontava e chi semplicemente vi assisteva, gli uni più stupiti e impotenti degli altri. Davanti alle immagini della tragedia non aveva più senso niente: una partita giocata quasi a forza, per evitare altri incidenti e altri morti si disse all'epoca, il rigore di Platini, il capitano Scirea che alza la prima Coppa dei Campioni della storia juventina. Non aveva più senso neanche lo scaricabarile delle colpe col senno di poi: uno stadio fatiscente e inadeguato… sono stati i tifosi inglesi ubriachi a caricare gli italiani… li divideva solo una rete da pollaio… è stata la polizia belga che è intervenuta tardi… è stata l'organizzazione che non ha previsto la separazione completa delle due tifoserie.  

L'importanza di non dimenticare

A cosa serve tutto questo? A niente. Anzi, una vergogna in più: nessuno ha mai presentato scuse ufficiali ai parenti delle vittime per quella tragedia annunciata. Ci resta la memoria. Quella di Giuseppina Conti, una delle più giovani con i suoi 16 anni, che si era impegnata a sostenere le ultime interrogazioni di scuola per essere libera di volare a Bruxelles senza altri pensieri; quella di Roberto Lorentini, un giovane medico di Arezzo insignito della medaglia d'argento al valor civile perché, già in salvo, era tornato indietro per soccorrere un bambino ferito, restando poi anche lui nella calca mortale; e quella delle altre 37 vittime. Ci resta la memoria, ed è quella che non dobbiamo tradire. Mai.