Inter in finale di Champions 2023, confronto con la squadra del 2010 che vinse il Triplete
Epoche diverse, giocatori completamente cambiati e una serie di differenze tra l'Inter del 2010 e quella attuale, tornata in finale di Champions. Ma c'è un punto in comune tra la squadra allenata allora da José Mourinho e quella in mano a Simone Inzaghi...
- Il 2 giugno 2008 l’Inter, esonerato Roberto Mancini dopo un altro fallimento in Champions, ufficializza l’arrivo dello Special One. È un altro tentativo, forse l’ultimo, per alzare il livello della squadra e raggiungere quell’obiettivo bramato da decenni dalla presidenza Moratti: conquistare la Coppa dalle grandi orecchie. Diventati dominanti in Italia, manca uno step ai nerazzurri per trionfare in Europa e la scelta ricade sul portoghese, già vincitore del torneo col Porto e reduce dagli anni al Chelsea
- L’ufficialità del passaggio di Inzaghi dalla panchina della Lazio a quella dell’Inter arriva il 3 giugno 2021. La decisione arriva dopo l’addio di Conte che, vinto lo scudetto, non crede più di ricevere i mezzi necessari per ambire al trionfo in Europa. La dirigenza medita, dunque, su chi puntare per scegliere la strada della continuità – il 3-5-2 dell’allenatore salentino e non solo – e la scelta ricade su Inzaghi, reduce da ottime annate in biancoceleste ma con un curriculum inferiore al suo predecessore
- Acquistata l’Inter nel febbraio 1995, l’ambizione di Massimo Moratti è stata sempre quella di riportare il club nerazzurro ai fasti di un tempo, quando con il papà Angelo patron la squadra aveva trionfato in Coppa dei Campioni in due anni consecutivi. Per farlo ha investito una considerevole quantità di denaro, tra grandi acquisti di mercato e aumenti di capitale, ma per veder realizzato il suo sogno ha dovuto aspettare 15 anni
- È innegabile che la proprietà dei Zhang, al momento del suo insediamento, abbia messo tra i propri obiettivi il ritorno sul tetto d’Europa. Le complicanze economiche arrivate nel frattempo, tuttavia, hanno ridimensionato i tempi necessari per raggiungerlo. E invece, in uno dei momenti meno facili a livello societario, i nerazzurri sono tornati all’ultimo atto della principale competizione continentale. La squadra guidata dalla proprietà straniera ha impiegato sette anni per farcela, metà del tempo
- Anche la strada di Mourinho verso la vittoria è stata in crescendo. Dopo anni di avare soddisfazioni il presidente è riuscito a vincere in Italia e poi in Europa, così come il biennio del portoghese: una prima stagione culminata con l’uscita agli ottavi dalla Champions, poi un secondo anno dove l’ambizione di vincere la Coppa dalle grandi orecchie è stata chiara fin da subito. La squadra ha puntato subito a raggiungere questo traguardo, senza per questo tralasciare le altre competizioni. Con Mou capo-popolo e mai in discussione
- Diverso è stato il tragitto dell’attuale allenatore. Nella stagione del suo arrivo all’Inter gli era stato chiesto di confermare lo scudetto dell’anno precedente, obiettivo sfumato dopo la rimonta subita dal Milan. Quest’anno il campionato è stato ricco di alti e bassi per la squadra di Inzaghi, mai seriamente in grado di contendere il titolo al Napoli. Dopo le tante sconfitte la posizione del mister era vacillata e anche tra i tifosi circolava con insistenza l’hashtag #InzaghiOut, opinione cambiata grazie ai risultati in Europa
- Il cammino di Mourinho fu piuttosto agevole – sulla carta – nella fase a gironi, completato dal Barcellona, da Rubin Kazan e Dinamo Kiev. Agevole sulla carta ma durissimo alla resa dei conti, visto che servì una clamorosa rimonta in Ucraina per indirizzare la qualificazione agli ottavi. Le avversarie di spessore si presentarono nella fase a eliminazione diretta: gli ottavi contro il Chelsea, la sfida al Cska ai quarti e poi la doppia semifinale contro il Barça prima dell’ultimo atto contro il Bayern
- Al momento dei sorteggi a inizio stagione, in pochi avrebbero scommesso sul passaggio del turno dei nerazzurri. L’urna di Nyon li aveva infatti inseriti nel gruppo con Barcellona, Bayern Monaco e Viktoria Plzen. E proprio contro le big l’Inter ha espresso il meglio, piazzandosi seconda nel girone con 10 punti e facendo ‘fuori’ i blaugrana. Poi ottavi e quarti contro squadre – nonostante l’ottimo rendimento – non candidate al successo finale: Porto e Benfica, prima dell’euroderby in semifinale contro il Milan
- Difficile a credersi se si legge ora la carriera dello Special One e di quanto in passato (ma anche nel presente) abbia fatto lungo ricorso alla schiera dei suoi fedelissimi, giocatori precedentemente allenati e poi acquistati nella nuova squadra (Matic l’ultimo dei tanti casi). All’Inter, tuttavia, non fu così: nei due anni a Milano, infatti, non poté contare su alcun elemento che aveva già allenato. Era una rosa totalmente nuova e solo dopo il suo addio ai nerazzurri ritrovò alcuni dei protagonisti in maglia diversa
- Inzaghi, al contrario, si è costruito il suo percorso anche con l’apporto di sue vecchie conoscenze. Ha ritrovato a Milano De Vrij, acquistato dall’Inter tre anni prima, mentre portano la sua firma gli arrivi di Correa e Acerbi dalla Lazio (oltre a Caicedo): El Tucu, pur con un rendimento diverso dai suoi compagni, è stato voluto dall’allenatore per far rifiatare gli altri attaccanti e offrire una soluzione tattica in più. Acerbi è diventato un punto fermo della squadra riuscendo a scalzare i precedenti titolari
- La ‘pretesa’ di vincere la Champions è stata accompagnata anche dalla promessa di un budget alto a disposizione dell’allenatore: nel primo anno in nerazzurro infatti, oltre a colpi minori, arrivarono Luis Jimenez per 11 milioni, Mancini per 13, Muntari per 14 e soprattutto Quaresma dal Porto, acquistato last minute per quasi 25 milioni a fronte di 10 milioni totali incassati dalle operazioni in uscita
- Il patto con Inzaghi, invece, è stato chiaro fin da subito: cercare di continuare a vincere senza andare in rosso nel bilancio. E così le uniche grosse spese sono state riservate ai colpi Correa (pagato 33.3 milioni tra prestito e riscatto) e Dumfries (pagato 14.25 milioni) nonostante l’enorme incasso arrivato dalle cessioni di Lukaku e Hakimi su tutti che hanno fruttato insieme 183 milioni
- E dai colpi in entrata e in uscita arriva quello che si può definire l’unico punto in comune tra le due esperienze: le intuizioni di mercato. Se è vero che nel 2008/09 le uscite ammontarono a circa 70 milioni, nell’anno del Triplete i nerazzurri riuscirono addirittura a chiudere col bilancio in attivo. Tutto ciò in particolare grazie allo scambio capolavoro Ibrahimovic-Eto’o che fruttò alle casse della società una plusvalenza di 50 milioni, usata per finanziare altri acquisti come Milito e Thiago Motta
- Ma non solo: Lucio arrivò per 7 milioni, gli stessi spesi precedentemente per Maicon. E la squadra si poggiò anche sugli acquisti avvenuti a parametri zero come Cambiasso e Pandev, oltre a Stankovic – fatto arrivare in anticipo rispetto alla scadenza contrattuale in cambio di un indennizzo da 4 milioni
- Inzaghi, come scritto, ha dovuto subito fare i conti con le partenze di Lukaku e Hakimi, volti principali dello scudetto targato Conte. Il belga, oltre che da Correa, è stato ‘rimpiazzato’ da Edin Dzeko, costato solo un indennizzo da 2.8 milioni e che ha saputo non farlo rimpiangere. Poi c’è stata l’operazione Gosens, diluita a livello economico fino al riscatto definitivo che arriverà a luglio di quest’anno, e l’investimento sulla linea verde, rappresentata da Asllani e Bellanova, avvenuto la scorsa estate
- Gli acquisti a costo zero e low cost sono parte dello zoccolo duro di questa Inter: a partire dalla porta con Onana, proseguendo con la difesa - dove gli unici investimenti pesanti portano a Skriniar e Bastoni – e il centrocampo che si è rinforzato senza spendere soldi per i cartellini di Calhanoglu e Mkhitaryan, per finire all’attacco che ha visto il ritorno in prestito oneroso di Lukaku. Quasi un paradosso di fronte anche alla campagna faraonica del City negli ultimi anni