De Bruyne e l'aneddoto con Mourinho ai tempi del Chelsea: "Abbiamo parlato solo due volte"

Premier League

Lunga intervista del belga al Players' Tribune. Tra i tanti temi il suo carattere, così introverso da essere per molti ostacolo al suo sogno. Poi l'esplosione e il Chelsea: "Con Mou sono finito fuori squadra senza avere una spiegazione". Rapporto diverso con Guardiola: "Vuole la perfezione, è un genio"

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Un fiume di parole, dietro la timidezza di un ragazzo che preferisce parlare col pallone da calcio ai piedi. La lunghissima lettera di Kevin De Bruyne al Players' Tribune si riassume nelle tre prestate al titolo: "Let me talk". Fatemi parlare, nonostante quel carattere così introverso visto, in passato, da tanti come un freno alla sua voglia di fare il calciatore. Si sbagliavano, tutti quanti: "Da quando ero ragazzo sono sempre stato estremamente silenzioso, estremamente timido. Non avevo una PlayStation. Non avevo molti amici intimi. Il modo in cui mi esprimevo era attraverso il calcio". Alla fine dei conti, non un brutto metodo per uno dal suo talento.

Il primo capitolo dell'intervista affonda allora le proprie radici nel KDB ragazzino, quello che nel Genk ci è arrivato nel 2005 e che, poi, lì è esploso. "Quando avevo 14 anni presi la decisione che cambiò la mia vita: decisi di andare alla scuola calcio del Genk. Ero a due ore da casa, feci le valigie e partii da una parte all'altra del Belgio. Ai tempi ero timido anche dove sono nato, figuriamoci lì. Ricordo che il primo anno l'ho passato in un piccolo albergo. Poi l'anno dopo sono stato con una famiglia affidataria, di quelle che il club paga per accogliere giovani giocatori. La scuola andava bene, il calcio andava bene, nessuna grana e nessun problema. Alla fine dell'anno feci le valigie, li salutai e la loro mi dissero: 'Ci vediamo dopo l'estate'; ma fu quando tornai a casa che mia mamma pronunciò davanti a me le parole che avrebbero per sempre cambiato il corso della mia vita". Continua De Bruyne al Players' Tribune: "Lei stava piangendo, subito ho pensato fosse morto qualcuno. Le chiesi quale fosse il problema. 'Non vogliono che torni - mi disse - la famiglia adottiva non ti vuole più'. 'Perché?' chiesi io. 'Per quello che sei - continuò lei - hanno detto che sei troppo tranquillo. Non riescono ad interagire con te. Hanno detto che sei un ragazzo difficile' ". Uno shock per uno già introverso come lui. "Pensai ore e ore a quella frase, calciando il pallone contro un muretto, 'per quello che sei'. Poi, dopo l'estate, tornai al Genk e fui promosso in seconda squadra. A quel punto ricordo l'esatto momento in cui tutto è cambiato per sempre. Giocavamo un venerdì sera, il primo tempo lo passai in panchina, poi entrai nel secondo: fui come impazzito. Primo gol: 'non ti vogliono più'. Secondo gol: 'sei troppo timido'. Terzo gol: 'sei un ragazzo difficile'. Quarto gol: 'non ti vogliono più'. Quinto gol: 'per quello che sei'. Cinque reti, in un tempo! Dopo quel giorno tutti cambiarono idea su di me".

Con Mourinho

Dunque per De Bruyne arriverà prima la consacrazione coi grandi del Genk, poi il passaggio al Chelsea nel 2012. Il primo anno è in prestito al Werder Brema ma, anche col suo ritorno dalle parti di Londra, KDB non entrerà mai veramente nei piani dei Blues, e del suo allenatore José Mourinho: "I giornalisti hanno scritto tanto del mio rapporto con José - prosegue il belga -, ma la verità è che ho parlato con lui soltanto due volte. Dopo la prima stagione in prestito al Werder, Klopp mi voleva al Borussia Dortmund. Altri club in Bundes erano interessati, ma Mourinho mi chiese di restare. Io pensai: 'Ok, sono nei suoi piani' ". Dunque i pochi minuti a disposizione sul campo, le presenze limitate: "Sono finito fuori squadra e non ho più avuto la possibilità di giocare. E non ho avuto nemmeno una spiegazione".

Chiarimenti

Poi il colloquio, con Mourinho, avvenne per davvero: "José mi chiamò nel suo ufficio a dicembre, penso che quello sia stato il secondo grande momento che mi ha cambiato la vita. 'Un assist, zero gol, dieci palloni recuperati'. Mi ci è voluto un po' per capire di cosa stesse parlando. Poi ha citato gli altri attaccanti - Willian, Oscar, Mata, Schürrle -, lì ho capito: erano le mie statistiche confrontate alle loro. Gli dissi che alcuni di questi ragazzi avevano giocato quindici o venti partite, mentre io solo tre: 'Sono diverse per forza' ". La conclusione di Mou di quel secondo incontro? Prosegue il belga nel suo racconto: "Mi disse: 'Se Mata parte allora diventerai la quinta scelta invece che la sesta'. A quel punto fui molto onesto, e chiesi la cessione".

Guardiola

In quella situazione, per De Bruyne, si profilò così il ritorno in Germania nel Wolfsburg, e l'immediato dietrofront in Premier, nel 2015 ma con la maglia del Manchester City. Nel frattempo, l'incontro con la futura moglie e, poi, l'arrivo dei figli, fu la vera svolta della vita del belga: "Quando abbiamo iniziato a creare la nostra famiglia e sono venuto a giocare per il City tutto è decollato. Soprattutto quando è arrivato Guardiola". Un rapporto completamente diverso per lui: "Pep e io condividiamo una mentalità simile. Siamo entrambi sempre sotto pressione, ma per quanto stress mentale possa avere un calciatore, penso che lui ne abbia il doppio. Pep non è solo interessato a vincere, lui vuole la perfezione". E ancora: "Al primo incontro mi disse: 'Kevin, ascoltami. Tu puoi diventare facilmente uno dei cinque migliori giocatori del mondo. Top five. Senza problemi'. Ero scioccato. Ma quando Pep lo ha detto con così tanta convinzione ha cambiato la mia mentalità. Il più delle volte il calcio riguarda negatività e paura, ma con Pep si tratta di estrema positività. Certo, è un maestro tattico, ma ciò che la gente all'esterno non vede è la pressione che esercita per cercare di raggiungere la perfezione. È una specie di genio".