Una Supercoppa italiana vinta e il ritorno in Europa League nella prima stagione. Un mercato faraonico e tante difficoltà nella seconda, quando l'asticella si è alzata senza esito: con un comunicato di ringraziamento sono finiti i 515 giorni di Montella sulla panchina rossonera. Dove nel frattempo è cambiato tutto: dirigenti, giocatori e obiettivi. Ma il Milan è ancora 7°
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I diciassette mesi di Vincenzo Montella sulla panchina del Milan sono finiti come erano cominciati: un comunicato della società, il 28 giugno 2016, ringraziava Cristian Brocchi, ex allenatore della Primavera e poi della prima squadra, e annunciava che l'Aeroplanino si sarebbe seduto sulla panchina rossonera per i due anni successivi. Diciassette mesi dopo, un altro comunicato della società – con gli stessi colori, ma dirigenti diversi – riaffida la panchina al tecnico della Primavera, stavolta Gennaro Gattuso, e saluta Montella per tentare di salvare la stagione: l'unico fondamentale obiettivo, il 4° posto che vale l'accesso alla Champions League, dopo il pareggio in casa col Torino è lontano 11 punti. Il tempo concesso al mister è davvero finito.
L'ingaggio: un milione alla Samp per liberarlo
Il 28 giugno 2016 il Milan era un altro mondo: c'erano ancora Berlusconi presidente, Galliani amministratore delegato, i cinesi in trattativa per l'acquisto e una squadra da risollevare dopo due stagioni molto grigie. Dopo l'esonero di Allegri gennaio 2014 a Milanello si sono alternati Seedorf, Inzaghi, Mihajlovic e Brocchi. Ma nessuno di loro è riuscito a portare il Milan neppure in Europa League. A fine anno però Berlusconi vorrebbe confermare Brocchi, finché Galliani non lo convince a scegliere l'allenatore della Sampdoria. Il club paga un milione di euro di clausola per liberarlo e lo porta a Milano con un contratto da 2,3 milioni l'anno e un obiettivo: tornare in Europa.
La prima stagione: la Supercoppa e il ritorno in Europa
Il primo Milan ereditato da Montella non ha grandi qualità tecniche, ma l'allenatore è bravo (e fortunato) a infilare una serie di risultati positivi nel girone d'andata: con un 4-3-3 basato sul possesso palla e sulle invenzioni di Bonaventura e Suso, ma con un Bacca tutt'altro che ispirato, il Milan al giro di boa della stagione è terzo in classifica, due punti dietro alla Roma e uno davanti al Napoli. E soprattutto ha grinta, entusiasmo e voglia di stupire: tutte le qualità con cui a ottobre batte la Juventus a Milano con un gol di Locatelli e si ripete a Doha, il 23 dicembre, ai rigori. Il miracolo di Donnarumma, vero valore aggiunto della stagione, su Dybala consegna a Montella la Supercoppa italiana e al Milan il primo trofeo dopo 6 anni di digiuno.
Ma lì dove la squadra sembra destinata a decollare comincia la fisiologica picchiata: a gennaio arrivano tre ko di fila (Napoli, Udinese, Sampdoria). A febbraio e marzo si registra un colpo di coda e d'orgoglio prima del finale di stagione a rallentatore, in cui nessuno – Milan, Inter, Fiorentina – sembra voler andare in Europa League. Eppure, con una sola vittoria nelle ultime 7 giornate, in questa “corsa del gambero” alla fine la spunta il Milan di Montella, portato in trionfo dai suoi giocatori per aver centrato il 6° posto a fine stagione, che significa preliminari di Europa League.
La rivoluzione e il mercato milionario
L'estate 2017 è l'anno zero. La nuova dirigenza di Fassone e Mirabelli decide di rinnovare il contratto di Montella per un'altra stagione e investe quasi 250 milioni di euro per dargli il materiale necessario a rifare un grande Milan: arrivano 11 giocatori e un nuovo capitano, Leonardo Bonucci, caldeggiato proprio da Vincenzo (con cui l'ex juventino condivide il procuratore Alessandro Lucci) e accolto a Milano da migliaia di tifosi. A Casa Milan si respira un'aria nuova. Con la società c'è totale sintonia, anche nelle strategie di mercato: il tecnico campano è decisivo nella complicatissima trattativa del rinnovo di Gigio Donnarumma, convinto a restare in rossonero pure da un blitz di Vincenzo in famiglia. Con l'arrivo di Nikola Kalinic si chiude la campagna acquisti faraonica dei rossoneri: mai nessuno aveva speso tanto in una sola sessione di mercato. Ora sta a Montella costruire una squadra e riportarla tra le migliori quattro, obiettivo fondamentale per la dirigenza.
Gli esperimenti e la difficoltà con le big
Ma il lavoro di Montella non porta i risultati attesi e i suoi detrattori aumentano di partita in partita. Lo accusano di non aver dato un'identità alla squadra: in 23 gare non conferma mai gli stessi 11, alternando tre sistemi di gioco diversi, dal 4-3-3 iniziale al 3-4-2-1, passando per il 3-5-2. La squadra perde tutti gli scontri diretti con chi le sta davanti: zero punti tra Lazio, Sampdoria, Roma, Inter, Juventus e Napoli. Nonostante questo a metà ottobre l'ad Marco Fassone lo conferma nuovamente: “Siamo indietro sul programma, ma abbiamo piena fiducia in lui”. Sa che per costruire quasi da zero una squadra vincente ci vuole tempo. Con un monito: “Non ci sono più margini di errore”. Eppure la scossa non arriva, neppure dopo che Montella manda via il preparatore atletico Emanuele Marra, suo storico collaboratore: “Mi dispiace tantissimo, ma dobbiamo alzare l'asticella”. Che però rimane dov'è.
La svolta non arriva: fine della corsa
Quelli che dovrebbero essere i pilastri della squadra, su tutti Bonucci e Biglia, risultano spesso tra i peggiori in campo, ma anche altri acquisti – da Kessié a Musacchio, da Kalinic a Chalanoglu – deludono puntualmente le aspettative. L'attaccante più pagato, André Silva (38 milioni di euro), gioca e segna solo in Europa League, e Kalinic finisce per essere fischiato dal pubblico di San Siro. La panchina di Vincenzo traballa già prima della sosta dopo lo scialbo 0-0 in casa con l'Aek Atene, ma la vittoria di Reggio Emilia contro il Sassuolo garantisce una tregua di quasi un mese. Fino al pareggio casalingo col Torino che porta alla decisione drastica dell'esonero. Montella lascia il Milan al 7° posto in classifica, lì dove lo aveva trovato. Diciassette mesi dopo, sulla panchina del Milan torna a sedersi l'allenatore della Primavera.