Juventus, lo scudetto di Kean e della generazione millennial

Serie A

Marco Salami

Cosa faceva il piccolo Moise quando i bianconeri infilavano il primo di otto tricolori consecutivi? La storia del ragazzo del destino, col numero 8 nel destino. Dall'oratorio Don Bosco all'incontro con Del Piero. Aneddoti e statistiche da urlo. E chi sono gli altri millennial su cui la Juve punterà in futuro?

JUVE SCUDETTO, LO SPECIALE

I LUOGHI SIMBOLO DEL 2000 DEI RECORD

Chiamatelo guerriero. Chiamatelo predestinato. Oppure semplicemente Moise Kean. Un nome scritto nel futuro e ora già nel presente bianconero. L'otto, come gli scudetti vinti di fila, l'ha scritto anche sulla schiena, sotto le spalle larghe di chi brucia record e segna a valanga in Serie A. 1+8. L'uno è lui, l'otto quello della Juve, ancora campione; un numero che ritorna sempre nel suo incrocio del destino coi colori bianconeri. Otto come i tricolori consecutivi e otto come gli anni passati dal suo arrivo in quel di Vinovo. Le due strade si sono intersecate nel lontano luglio del 2011, quando lo Stadium era nuovo di zecca e pronto per la prima stagione con Antonio Conte in panchina. Dopo i settimi posti, e prima ancora l'inferno della Serie B. Moise di anni ne aveva appena undici ed era un bambino, con tanti sogni e, come tutti, una squadra del cuore: il Milan, come detto dal fratello Giovanni a Un Giorno da Pecora su Rai Radio1. Destino, ancora una volta: perché il gol segnato contro i rossoneri non sarà stato quello dello scudetto, ma è comunque arrivato in un finale di stagione segnato dalla sua esplosione.

La clessidra allora si ribalta, e il viaggio di Kean in bianconero parte proprio da quell'estate. Cosa faceva il piccolo Moise quando la Juve infilava la prima di otto marce tricolore? Risposta semplice: era già bianconero. O meglio, era appena diventato bianconero. L'infanzia ad Asti, l'oratorio Don Bosco e quel muretto dove lui calciava il pallone mentre il fratello Giovanni giocava coi grandi. Ogni tanto lo faceva anche il "piccolo" Kean, che già faceva vedere qualcosa di diverso: era il più forte. Moise, Momo, Mosè. Lo chiamavano un po' in tutti i modi, fino alle altre chiamate: prima quella dell'Asti calcio dove gioca coi '98, e poi quella del Toro. Kean fa avanti e indietro su un pulmino con gli amici, e quando la Juve chiama - proprio in quel luglio del 2011 quando Conte progettava una squadra basata sulle geometrie di Andrea Pirlo - lui non sa se accettare o meno.

Kean in gol con la Juve Under 15 (foto Twitter @JuventusFCYouth)

La "tattica" la mettono in pratica i dirigenti bianconeri, che sanno bene chi sia quel classe Duemila e non vogliono farselo scappare. Questione di pianificazione e di futuro. In gioco entra lo zio, osservatore della Juventus. L'idea è semplice, un dolce tranello: la Juve organizza una "gita" a Vinovo per convincerlo a scegliere il bianconero, indipendentemente dalla fede milanista, dalla maglia granata e dagli amici da cui proprio non vuole separarsi. La sorpresa è enorme, e quando Kean "il bambino" si trova davanti Marotta, Del Piero e Nedved non crede ai suoi occhi. Obiettivo: farlo innamorare della Juve. Poi la struttura. L'ambiente. La magia. Obiettivo centrato. E così Kean decide di vestire il bianconero per la prima volta.

Numeri

Il resto della sua storia a Torino - iniziata proprio mentre la Juve di Conte, della BBC, di Pirlo e di Marchisio, di Vucinic e Quagliarella infilava uno scudetto senza conoscere la sconfitta - è scritta nelle statistiche. Le trafila con le giovanili, il nome che circola insistente, la finale scudetto persa con la Primavera di Fabio Grosso ai rigori. E ancora: l'esordio il 19 novembre 2016 che ne fa il primo millennial a giocare in Serie A, il primo gol (il primo per uno nato nel nuovo secolo nei top5 campionati) nel maggio del 2017. Poi altri numeri, in costante aggiornamento; perché Kean sembra non riuscire a smettere di fare gol in un finale di stagione da urlo. Sei reti in nove partite di A, una ogni 53 minuti e col 46% di precisione al tiro. I gol che diventano sette (in 446 minuti totali) contando anche le coppe, e nove contando anche la Nazionale, dove è diventato il secondo più giovane della storia a segnare in azzurro, meglio anche di Rivera e di Meazza. Mica male.

Kean e il primo gol in Serie A in Juve-Bologna, nel maggio 2017 (foto Getty)

Gli altri Kean

Come lui ce ne sono altri? Difficile dirlo ora, ma con Max in panchina i tifosi possono restare Allegri, lui che anche in passato ha lanciato i giovani e sa come farli crescere. Kean forse è la sorpresa più bella, dopo che aveva fatto esordire in passato gente come De Sciglio, ritrovato a Torino, Cristante, Petagna oppure El Shaarawy, che in A aveva già giocato qualche minuto ma che esplose proprio sotto la sua gestione. E nell'elenco appuntato in qualche taccuino gli altri wonderkid bianconeri sono diversi. "Vedere giocare a calcio quel ragazzo è un piacere" ha detto di Nicolò Fagioli, classe 2001 col passaporto da trequartista moderno. Hans Nicolussi Caviglia, della stessa classe di Kean, ha già esordito in A contro l'Udinese. Centrocampista con Cruijff come idolo, Pjanic come maestro e De Bruyne come fonte d'ispirazione. Pablo Moreno è invece nato nel 2002, scuola Barça, di mestiere ala, è arrivato a Torino con la leggenda di oltre 200 gol segnati nella Masia. Il nuovo colpo? Si chiama Wesley David de Oliveira Andrade, meglio noto come Wesley, talentuoso terzino brasiliano classe 2000 auto annunciatosi juventino sui social.

E ancora: contro la Spal il classe 1998 Grigoris Kastanos - fantasista, esterno e playmaker - è diventato il primo calciatore cipriota della storia a giocare con la maglia bianconera. Mentre l'altro al debutto risponde al nome di Paolo Gozzi, difensore centrale classe 2001, paragonato a Juan Jesus ma che studia Chiellini. Altri, come Luca Coccolo e Stephy Mavididi, di anni ne hanno qualcuno in più. Sono entrambi classe 1998, il primo è un difensore centrale che si è fatto le ossa in C col Prato. Il secondo è stato pagato ben due milioni all'Arsenal: è una punta e ama far gol. Esattamente come Kean: il ragazzo del destino col numero 8 nel destino. Simbolo di una Juve che si rigenera e di un ciclo che si autoalimenta. Perché, colpi alla Cristiano Ronaldo a parte, è anche così che i bianconeri continuano a vincere.