Lukaku, cosa ho imparato intervistando il nuovo attaccante dell'Inter

Serie A

Massimo Marianella

Lavoro, umiltà e forza, ma anche voglia, fisico e serietà: questo è il Romelu Lukaku che Massimo Marianella ha conosciuto incontrandolo per un'intervista de "I Signori del Calcio". Con una passione particolare per l'Italia e qualche parola in italiano, senza mai nascondere la sua voglia di confrontarsi con il nostro Paese e di lavorare con Antonio Conte

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Milano sullo sfondo, una maglia nerazzurra addosso e tanti sorrisi. Romelu Lukaku con quella foto ha coronato un suo sogno e ha iniziato ad alimentare quelli di tutti gli interisti. Arriva con un carico di positività naturale, una fisicità imponente, una borsa piena di gol e record, ma soprattutto con l’entusiasmo di aver scelto lui la sua nuova maglia e il tecnico che lo guiderà. Un privilegio non da tutti. Voleva il campionato italiano e l’Inter ancora di più da quando è stato ufficiale che ad allenarla sarebbe stato Antonio Conte. Un allenatore con cui si sono sempre inseguiti e adesso finalmente trovati all’ombra della Madonnina. Quando mi ha regalato una splendida intervista per "I Signori del Calcio" (parere personale, una delle migliori di sempre) si è parlato molto di Premier, di Manchester United, di Chelsea, di nazionale e di vita privata, ma l’Italia in qualche modo tornava sempre. Ha anche risposto un po’ nella nostra lingua, gli accenni al fratello e il suo sguardo si accendeva ancora più del normale quando parlava del nostro campionato e di Conte. Non a caso alla fine mi ha chiesto quando avrebbe giocato l’Inter la prossima partita. Adesso quella voglia, quella curiosità potrà viverle da protagonista.

Quel giorno sono andato via da Carrington con la convinzione di aver intervistato il prossimo centravanti nerazzurro e così è stato, anche se la trattativa è stata poi più complicata di desideri e sensazioni. Mentre mi avvicinavo al centro di Manchester però era soprattutto forte anche un’altra sensazione, quella di aver conosciuto un ragazzo speciale. La sua storia sulle montagne russe della condizione economica e la forza degli insegnamenti familiari sono una lezione che debbono essere d’esempio, ma che certamente vanno ammirate soprattutto per come ha saputo trasformarle in positivo. Le difficoltà gli hanno paradossalmente dato forza e serenità e la famiglia ha fatto il resto. Il cibo a tavola per cena non era un’abitudine, il lavoro per i genitori una speranza eppure hanno rifiutato un assegno a sei zeri e due posti di lavoro che offriva il Chelsea quando lui aveva 14 anni perché “il calcio poteva attendere che il pupo finisse gli studi”. Quando me l’ha raccontato non l’ha fatto per far capire che aveva perso qualche anno o qualche gol, ma per sottolineare con orgoglio che lui il diploma lo aveva preso. Per vedere la competizione dei suoi sogni, la Champions League, ha dovuto giocarla perché a casa non c’era la televisione, ma questo e altri ostacoli o privazioni non lo hanno mai incattivito. È arrivato al vertice per talento e amore familiare, non per rabbia.

Valutando la realtà da cui è uscito, tutto questo è meraviglioso. Glielo leggi dallo sguardo, dal sorriso. Un percorso che gli ha insegnato anche quali sono le difficoltà e le amarezze, quelle vere non legate al rettangolo verde, rafforzando il suo spirito di squadra. Il concetto di gruppo. Quel bimbo che al posto di vedere la televisione sbirciava la mamma che era costretta ad allungare il latte con l’acqua e che viveva in un monolocale senza tapparelle con tutta la famiglia è diventato il recordman di gol della sua nazionale scalzando una leggenda come Paul Van Himst. Con voglia, fisico, serietà e sempre col sorriso.

Ha iniziato segnando 121 gol nelle giovanili del Lierse, poi 131 in quelle dell’Anderlecht e da lì non si è più fermato. Al momento il tassametro delle partite ufficiali dice 235 gol in totale, ma per essere considerato un grande Romelu è cosciente che numeri e record contano relativamente. Sa che deve contribuire a vincere titoli e trofei. Negli anni ha avuto anche la capacità di trasformarsi con il lavoro e l’umiltà. Ha una visione di gioco diversa rispetto ai tempi dell’Anderlecht, un tocco di palla differente e una mobilità offensiva trasformata. Più movimenti verso l’esterno per creare spazi agli inserimenti di quelli che hanno la sua stessa maglia e un piede destro molto più morbido rispetto agli inizi, anche per servire assist ai compagni.

Lavoro, umiltà, forza. Musica per le orecchie di Antonio Conte. L’abbraccio tra i due dopo la firma sembrava il ritrovo di due vecchi amici, anche se assieme non hanno in realtà mai lavorato. Si cercavano da anni perché sono umanamente e professionalmente simili. Stessa determinazione, stessa cultura del lavoro. Oggi che si sono finalmente trovato sarà bello vedere il prodotto finale. Il suo è stato un arrivo mediaticamente e finanziariamente molto importante, ma soprattutto Lukaku è un giocatore che, esattamente come Cristiano Ronaldo lo scorso anno, con la sua presenza innalza il valore di tutta la nostra Serie A. Da Manchester è arrivato un giocatore che può segnare valanghe di gol, ma che ancor prima va ammirato umanamente.  Ah, e ha portato anche un bel sorriso.