20 anni senza Peppino Prisco, "pazzo per l’Inter"
il ricordoIl 12 dicembre 2001, due giorni dopo il suo ottantesimo compleanno, moriva Peppino Prisco. Alpino, storico vice presidente nerazzurro, famoso per le sue battute ironiche e irreverenti, diventate ormai aforismi per i tifosi. Che lo ricordano ancora oggi, a 20 anni di distanza dalla sua morte
Quello che dopo 20 anni manca più di tutto, di Giuseppe Prisco detto Peppino, sono le sue battute fulminanti e irresistibili, che riuscivano a piegare anche l’avversario, che doveva riconoscerne quantomeno l’estro e la fantasia. L’Avvocato Prisco, vice presidente dell’Inter per quasi una vita, riusciva a dare leggerezza alle due grandi rivalità che si è portato orgogliosamente dietro per tutta la sua vita: quelle con Juventus e Milan. Una leggerezza che non era frutto di superficialità o di trivialità, ma era una condizione conquistata dopo aver vissuto la guerra, in prima linea, e averne visto gli effetti devastanti.
La guerra e gli Alpini
A vent'anni tenente nella sciagurata campagna di Russia, fu tra i pochi ufficiali del suo battaglione a tornare vivo. Un’esperienza che lo legò indissolubilmente al corpo degli Alpini, di cui non si perdeva un’adunata. Penna nera, anche se astemio, e bandiera nerazzurra, si arrabbiava seriamente solo quando al calcio venivano associate parole come "tragedia", perché, diceva, "so cosa sono le tragedie vere, non scherziamo"
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Meazza, Ronaldo e la partita della lattina
L’amore per l’Inter e su tutti per Meazza (“Il migliore di tutti”) e poi Ronaldo (“Mi perdonino i miei genitori, ma nel portafoglio in mezzo alle loro foto c’è quella di Ronnie”), un sentimento diventato ragione di una vita intera. Vice presidente dal 1963, accompagnò la grande Inter di Herrera e di Moratti sul tetto d’Europa e del mondo, e soprattutto riuscì a coronare il suo sogno, quello di vivere la sua squadra del cuore giorno per giorno, da dentro. Avvocato penalista, presidente dell’Ordine milanese, la sua arte forense è legata anche a storici successi nella giustizia sportiva, come quando nel 1971 riuscì a far ripetere il match contro il Borussia Moenchengladbach dopo la famosa "partita della lattina".
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Le battute
Ma soprattutto, entrò nel cuore dei tifosi nerazzurri, e fu rispettato dagli avversari, per quella sua particolare capacità di esprimersi attraverso l’ironia più che tagliente. Battute che oggi, in questi tempi di estrema suscettibilità e di ansia da social, forse sarebbero irripetibili e indicibili. Ma che dalla sua bocca non lasciavano trasparire rancori, odio o malvagità, ma soltanto il gusto un po’ guascone della provocazione, dello sfottò deliberato e liberatorio. Tempi in cui ci si prendeva in giro al bar dopo un derby e poi si brindava a Campari con il bianco. E infatti, un tempo si diceva "chiacchiere da bar", perché restavano lì senza diventare dramma quotidiano. Un "tifo contro" senza retropensieri o cattiveria gratuita, alimentato dal sano gusto di prendersi in giro e soprattutto dal non prendersi mai troppo sul serio. Andate su internet e leggetele le sue battute: non solo quelle su Milan e Juve, ma anche quelle autoironiche ("I festini a luci rosse dei giocatori dell’Inter? Non ne so niente, quando escono non mi chiamano mai").
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Peppino Prisco facci un gol
Peppino Prisco lo potevi trovare in Galleria Vittorio Emanuele o sotto la sede di via Durini a saltare con i tifosi. E per i tifosi Peppino Prisco era un simbolo: di quella milanesità (come quasi tutti i grandi milanesi, non era di origine milanese) un po’ bauscia che contraddistingue orgogliosamente il popolo nerazzurro. Tanto che a lui fu dedicato persino un coro come per i giocatori. Solitamente intonato quando le cose non andavano bene: "Peppino Prisco facci un gol", cantato da tutto lo stadio, quel Meazza in cui la sua presenza era spassosa e indispensabile. Il suo derby ideale era rappresentato da una vittoria al 90’ su autorete del Milan. L’inno nerazzurro "C’è solo l’Inter" si chiude con il suo celebre "La Serie A è il nostro DNA". Ancora oggi rappresenta l’immagine indelebile dell’”interismo”. Quando morì, il 12 dicembre 2001, il Club lo volle ricordare così: "Le sue grandi passioni: gli Alpini, l’avversario del Milan, l’avversario della Juve". Sì, quella sua leggerezza manca, anche a distanza di 20 anni.