Conte come Trap, vincere a Torino e Milano

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Matteo Marani

Matteo Marani

Il grande commediografo del calcio ha voluto che l’uomo che 10 anni fa aprì il ciclo della Juve, il più lungo nella storia italiana, fosse lo stesso che oggi lo chiude. Antonio Conte è l’inizio e la fine di un decennio di pallone, alfa e omega del campionato. In due anni ha mangiato più di 30 punti alla sua ex squadra e ha rivoluzionato la gerarchia. L’Inter, che prima di lui registrava distacchi siderali, è adesso campione d’Italia per la diciannovesima volta.

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Vincere non sarà mai una gioia

La costante, da Torino a Milano, è l’approccio, il metodo Conte: impegno, sacrificio, applicazione, pedagogia della fatica. Vincere non sarà mai una gioia per l’uomo, solo momentaneo sollievo prima di una nuova sfida. Nella risalita dal basso, da Lecce a Torino, dalla Serie B alla A, da Arezzo al quinto scudetto personale della carriera, c’è la maggiore forza di Conte. Ancora più della classifica, è la mimica del corpo a parlare: i giocatori teleguidati in campo, le braccia in perenne movimento, le esultanze, la cravatta snodata, il volto spesso stremato a fine partita. Il temperamento del Feroce Salentino ha fatto la differenza e riscritto la classifica.

Foto Piero Cruciatti / LaPresse
25/04/21 - Milano, Italia
Sport, Calcio
Inter vs Hellas Verona - Campionato italiano di calcio Serie A TIM 2020-2021 - San Siro
Nella foto: Antonio Conte esultanza 
Foto Piero Cruciatti / LaPresse
25/04/21 - Milan, Italy
Sport, Soccer
Inter vs Hellas Verona - Italian Football Championship League A Tim 2020 2021
In the photo: Antonio Conte celebrating

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Conte ha vinto quando ha deciso di fare Conte

Dopo le imbarcate prese nelle prime otto giornate, alla ricerca del calcio estetico caro ai critici, è passato al centrocampo roccioso e alla difesa coperta, non a caso diventata la migliore del campionato. Ha vinto anche perché la Juve non è stata davvero mai in corsa e perché il Milan ha evidenti limiti di rosa, peraltro peggiorati dagli infortuni, ma nulla può essere tolto ai meriti enormi dell’Inter, che ha messo fine a un interminabile digiuno di 11 anni. Alla Pinetina non ha vinto una scuola di pensiero, piuttosto una pratica di lavoro. Antonio Conte ha lottato e sofferto come se fosse una sfida personale contro le fragilità nerazzurre. Troppa debolezza, troppa pazzia, troppa instabilità. Così ha cambiato abitudini, usi, regole, personalizzando l’ambiente ed estendendo il rinnovamento già cominciato da Spalletti. Passione bruciante e un assillo costante nelle cose lo hanno portato sul tetto del campionato.

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Vincita e rivincita

Contava soltanto vincere. Per questo, due anni fa, Beppe Marotta si è rivolto allo specialista delle corse lunghe da 38 giornate. Presentare all’Inter il conoscitore della formula magica per la vittoria è stato un azzardo che sapeva di provocazione ricordando il Lippi di Milano. Se fosse andata male, il passato sarebbe riemerso certamente. Conte e il pubblico nerazzurro hanno però trovato un unico, possibile patto nel successo di oggi, dimenticandosi del reciproco trascorso, delle distanze antiche e cercando infine di vincere insieme contro quello che era diventato un rivale comune: la Juve. Per gli uni vincita, per lui la rivincita.

L’Inter delle contraddizioni

È stata un’Inter strana, forte e piena di contraddizioni. Ha difeso meglio di tutti, ma dopo essere stata tra le peggiori retroguardie fino alla sfida di Reggio Emilia contro il Sassuolo. Non ha giocato bene, a detta dei seguaci del bel calcio, ma ha segnato una quantità di gol che non si vedevano da mezzo secolo nella Milano nerazzurra. Ha subito l’umiliazione della Champions, ma è proprio lì che ha iniziato a vincere lo scudetto, mentre le concorrenti si inabissavano sotto i filotti interisti, tra le 8 vittorie consecutive dell’andata e le 11 del ritorno. È stata un’Inter ricchissima di energia. La potenza di Lukaku, l’infinita corsa di Barella, i tre di difesa divenuti reparto insuperabile, i lampi di Lautaro Martinez, gli affondi in fascia di Hakimi o Perisic. Il denominatore comune, però, è stato Antonio Conte. Ha spronato il gruppo a resistere e a soffrire, senza accontentarsi mai. Ha giocato da provinciale e sfonderà il muro dei 90 punti, altra meravigliosa contraddizione.

Il merito più grande

Conte un anno fa arrivò a un punto dalla Juve di Sarri. A Bergamo, in quell’ultima gara, attaccò i dirigenti e rischiò di tirare giù tutto. Poi c’è stata la finale di Europa League, Villa Bellini e questo campionato, dove Antonio ha saputo mantenere motivati i calciatori malgrado gli stipendi bloccati, senza mai sbottare nelle conferenze. Non era né facile, né scontato. Del tanto fatto, questo è stato il piccolo capolavoro della stagione. Conte ha portato a sé nel piano comune, con vista scudetto, sia i titolarissimi – più facili da convincere – che le riserve, altrettanto coinvolte. L’ultimo Darmian ne è la prova migliore di questo.

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Champions e seconda stella

Ora bisogna guardare al futuro. All’orizzonte c’è il tentativo di aprire un ciclo nerazzurro, firmando la seconda stella. Ma pure di prepararsi ad affrontare in maniera decisamente diversa la Champions. Solo Trapattoni, in oltre un secolo di calcio, era riuscito a vincere sulla panchina di Juventus e Inter, cosa in cui aveva fallito persino un campione del mondo come Lippi. Conte ci è riuscito al secondo anno, uno meno del Trap, altro motivo che lo consegna alla storia del nostro calcio.