Estate 2009, Ibrahimovic vuole vincere la Champions e punta i piedi per andare al Barcellona. Una telenovela di mercato - a lieto fine per l'Inter - che riviviamo dal punto di vista di Zlatan. Ecco i due mesi dalla promessa di Moratti al bacio alla nuova maglia
"Andai da Moratti. «Ascolti» gli dissi, «sono stati anni incredibili e io rimango volentieri, non mi interessa se vengono a cercarmi lo United o l’Arsenal o altri. Però se dovesse farsi vivo il Barça…». «Sì?» disse lui. «Allora vorrei che almeno lei ci parlasse. Non che mi venda per questa o quella cifra, no, veramente. Questo sta a lei. Ma mi prometta che parlerà con loro» continuai. Allora lui mi guardò da dietro gli occhiali e con i suoi capelli arruffati e certamente lo capiva, c’era da guadagnarci dei soldi, ma non mi avrebbe lasciato andare volentieri. «Ok» disse . «Prometto.»"
Dal Vangelo secondo Zlatan, l’autobiografia di Ibrahimovic venduta in mezzo mondo, ecco come andarono i fatti all’inizio dell’estate 2009, quella caratterizzata dal primo mal di pancia dello svedese e dal superscambio con Eto’o che muterà le sorti dell’Inter.
Maxwell, che invidia
Siamo ai primi di giugno, Ibra è reduce dalla sua terza stagione in nerazzurro culminata con il terzo scudetto di fila, ma alla sua carriera chiede di più. Il sogno (ossessione, direbbe Mourinho) è sempre quello, la Champions; la strada più semplice per raggiungerla, il Barcellona. È lì, nella squadra campione d’Europa in carica, che giocano tutti i migliori – da Messi a Iniesta a Xavi – orchestrati a meraviglia da Guardiola. Ma certo: è lì che bisogna andare per vincere la Champions.
Al colloquio con Moratti, naturalmente, fa seguito la chiamata al fido Mino Raiola, che in quei giorni sta già perfezionando il trasferimento di Maxwell, grande amico dello svedese, proprio dall’Inter al Barcellona. “Lui non riusciva a dormire – racconta Ibra parlando del terzino brasiliano – era sempre attaccato al telefono: «È tutto a posto? È fatta?». Lo avrei ammazzato. Parlava senza interruzione. Era tutto un Barça di qua, Barça di là. Andava avanti giorno e notte, o almeno questa era la mia impressione, mentre io non sapevo niente della mia situazione, non molto per lo meno. Rischiavo di impazzire. Ribaltai Mino al telefono, maledetto Mino, sistemare le cose per Maxwell e non per me!”.
20 luglio 2009, Inter in ritiro a Los Angeles. L'addio di Zlatan è nell'aria, confermato dal ghigno dello svedese e dall'espressione di Mourinho che pare non averla presa benissimo
Il piano di Raiola
In realtà Raiola sta tessendo alla sua maniera: parla con Laporta, che non ha mai nascosto l’interesse del Barcellona per Ibra, poi con Moratti e, appena fiuta un’apertura da parte del presidente interista, mette in atto il suo piano. Telefona a Begiristain, che stava rientrando con Laporta dall’Ucraina dopo aver trattato Chygrynskiy, e gli suggerisce di fare scalo a Milano e presentarsi a casa di Moratti. “Se bussate, credo che potrete trovare un accordo su Ibrahimovic”. Il ds del Barça segue il consiglio e, alla sera, i due presidenti si sono stretti la mano. Fine del tormentone.
Nel frattempo, l’Inter è in tournée a Los Angeles e tutto lascia pensare che Zlatan non si muoverà: il club ha già in mente di affidargli la maglia numero 10 per la stagione che verrà, Mourinho studia i nuovi schemi. Lui, però, risponde con il mal di pancia. Fisicamente è lì, con i compagni, ma con la testa è già al Barcellona. Quando Raiola chiama per dirgli che è fatta, Ibrahimovic si sente improvvisamente più leggero: con la maglia numero 10 sulle spalle trascorrerà soltanto 90’ in panchina durante un’amichevole con una squadra messicana, a Los Angeles (Mourinho è stato informato dell’imminente cessione e non lo fa giocare per non correre rischi).
Il profeta José
Il 23 luglio, quasi due mesi dopo quella chiacchierata con Moratti, Ibra lascia il ritiro e l’Inter. Partenza per Malmoe, dove incontra la famiglia, in attesa della presentazione ufficiale del 27 luglio, quella del bacio allo stemma del Barcellona, del “nessuno è più felice di me in questo momento”, del “è il terzo giorno più bello della mia vita dopo la nascita delle mie due figlie”. Ci penserà il filosofo Guardiola a fargli rimangiare tutte quelle parole al miele, con un anno di silenziosa guerra fredda che culminerà con un divorzio che fa felici tutti.
Riguardo allo scambio con Eto’o, che il Barça mette sul piatto aggiungendoci altri 46 milioni di euro (il camerunense era valutato 20), il tempo e i trofei daranno ragione a Moratti, la cui unica richiesta al momento della stretta di mano con Laporta era stata quella di poter dare uno smacco al Milan, che aveva appena venduto Kakà al Real Madrid per 65 milioni.46+20=66, uno in più dei cugini rossoneri.
Il resto della storia è noto, forse lo è meno l’ultimo dialogo tra Ibrahimovic e Mourinho, ricostruito sempre nel “vangelo di Zlatan”:
«Ehi, Ibra!»
«Sì?»
«Tu vai al Barça per vincere la Champions, vero?»
«Sì, un po’ forse anche per quello»
«Ma sai, saremo noi a portarcela a casa, non dimenticarlo. Saremo noi» mi disse, e poi ci congedammo.