Una ne fa e mille ne pensa: Bernie, deus ex machina della F1

Formula 1
Bernie Ecclestone con la moglie Fabiana Flosi (Foto Getty)
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Ecclestone, l'uomo che non deve chiedere mai. Chiunque se lo sia trovato davanti si è fatto un’idea del personaggio che ha trasformato in oro il grasso che colava dalle monoposto fascinose e pericolose sopravvissute al mito

di Lucio Rizzica

Di Bernie Ecclestone si può dire e raccontare di tutto. Assistente di laboratorio, pilota motociclista, piccolo imprenditore, affarista, traffichino, team owner, super manager, accentratore, ex malandrino e corruttore, innovatore, politico e diplomatico, dittatore.
Chiunque se lo sia trovato davanti, a seconda della situazione o del motivo del contendere, si è fatto un’idea tutta sua del piccolo grande uomo della Formula Uno. E tutte le definizioni, per dato di fatto o per leggenda metropolitana, corrispondono ad identificare lo stesso personaggio. Un uomo dal cervello in servizio permanente effettivo 24 ore su 24. Capace, pur di rendere più appetibile sul mercato e monetizzabile la Formula Uno, di sfornare una provocazione dietro l’altra. Pur di sorprendere o avviare il dibattito. Illudendo su nuove frontiere, mettendo alla porta chi non sa allinearsi alle sue logiche, convincendo capi di stato e patrocinatori a pagare pur di potere ospitare il suo circo itinerante, promuovendo nuovi impianti (a patto però di rivolgersi al suo architetto di fiducia, Hermann Tilke), investendo nei diritti televisivi e nel mercato collaterale che deriva dall’uso di immagini e marchi registrati.

Da quando ha preso il comando, Bernie Ecclestone ha trasformato in oro il grasso che colava dalle monoposto fascinose e pericolose sopravvissute al mito. Negli ultimi dieci anni Bernie Ecclestone ha buttato lì, quasi per caso, decine di idee e provocazioni. Alcune poi tradotte in pratica: come le corse in notturna, i nuovi circuiti permanenti e non, la mega esposizione mediatica, i nuovi punteggi, le nuove ripartizioni economiche, i patti fra team, le modifiche regolamentari. E in ogni suo passo ha tenuto sempre ben presente il focus del suo agire: ipervalutare il prodotto da vendere e rendere sempre più prezioso il suo gioiello. Badando bene che ogni conseguenza dei suoi atti finisse comunque e sempre per condurre in parte o in toto evidenti benefici e potere alla Fom, a sé stesso e alle società familiari (Slec Holdings e PeTara).

Ogni mossa sempre finalizzata a intuire, dopo aver lanciato il sasso nello stagno, da quale parte sarebbero scappati i pesci, per poi tirare su la rete più ricca di prede possibile. La sua rivoluzione continua è passata attraverso bracci di ferro con le scuderie, prove di forza con i proprietari di squadre e i piloti, confronti accesi con gommisti e fornitori. Spingendo la ricerca ad andare al di là dei limiti noti e promuovendo l’utilità e l’utilizzo dei collari Hans, dei recuperi di energia Kers, delle ali mobili e dei futuri bolidi turbo dotati di Ers. Passando per paddock sempre più vuoti di gente comune e sempre più pieni di palazzi ambulanti. Fra divieti, pass e barriere creati per custodire segreti di Pulcinella che tuttavia alimentano la fantasia e il desiderio dei comuni mortali di poter accedere in qualunque forma a uno show esclusivo e costoso. Anche per il pubblico. Indipendentemente dal fatto che la pista sia cittadina, nel deserto o in mezzo all’acqua.

Cercando di mantenere alta la credibilità di uno sport le cui radici sono ancorate nella leggenda e nelle storie più o meno fortunate di eroi antichi e contemporanei. In alcuni casi Bernie Ecclestone ha compreso in anticipo che la strada da battere non avrebbe prodotto altro che confusione e disaffezione ed ha rinunciato a insistere: come nel caso delle proposte strampalate e male accolte di premiare i piloti con le medaglie, ridurre le scuderie a dieci, far correre tre macchine, assegnare il titolo a chi vince di più, bagnare la pista e simulare finta pioggia per rimettere in discussione il risultato di gare noiose e senza colpi di scena.

Ora, l’ultimo parto della prolifica mente del boss è l’ipotesi di copiare la MotoGp e attribuire ai piloti una numerazione fissa (salvo il numero uno che contraddistingue il campione del mondo) per rendere riconoscibili e sfruttabili in ottica di marketing anche i protagonisti della F1. A patto, aggiungiamo noi, che questi benedetti numeri (via via diventati sempre più piccoli, invisibili e inutili) siano evidenziati in maniera chiara e inconfondibile sulle coloratissime e a volte kitsch monoposto dell’era formulistica 2.0. Legare il pilota al numero per tutta la carriera, modificando anche l’attuale regolamento che prevede -nel caso di impossibilità ad effettuare giri di qualifica- che la griglia di partenza si stabilisca in base ai numeri sulle monoposto, a patto di rinunciare a qualche spazio commerciale. Un passivo da recuperare con gli interessi grazie al merchandising e all’indotto derivante dai numeri di cui sopra. Con tanto di ovvio copyright. L’ultima crociata in ordine di tempo di Bernie Ecclestone, l’uomo che non deve chiedere mai. Sempre più preoccupato che il difetto della democrazia stia nel dover rendere conto a troppi elettori. E in questo caso a un mondo sul quale ancora esercita tutto il suo potere e che al volere del suo scettro non riesce proprio a non obbedire, ma che già pensa a un futuro fisiologicamente privo di lui.