Barry Sheene, la leggenda dell’uomo d’acciaio

MotoGp

Stefano Valsecchi

Barry Sheene, nel 1980 con la Yamaha (Foto Getty)
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Non è solo un due volte campione del mondo con la doppietta ’76-’77 in 500, ma un’icona del motosport. Ha portato ai massimi livelli il simbolismo legato allo sport delle due ruote, è l’anello di congiunzione tra l’epopea di Hailwood e Agostini e la modernità che arriva ad oggi, nell'era Rossi

Londinese, classe 1950 si è preso tutto dalla vita, ogni attimo, cosi come di 15 anni di corse – tra il ‘70 e l’84 - si è goduto tutto, dalla fama immensa al dolore senza vie di fuga. L’istantanea della sua carriera, fissata negli occhi di chi ha i motori dentro, è presto delineata: Suzuki RG 500 Gamma sotto il sedere, uomo e macchina in una simbiosi totale, il numero 7 sulla carena anche da campione del mondo (il primo e l’unico a farlo per anni, perché chi vinceva prima di Valentino reclamava il numero 1), il Paperino di Disney sul casco per la buona sorte e una senza-filtro appesa alle labbra in griglia con addosso la tuta di pelle colorata e sponsorizzata (un pioniere dopo i tempi del “tutto nero” dei cavalieri del rischio) perché piacere e soldi vanno spesso d’accordo.

Una vita a gas spalancato
- “Bazza” – come lo chiamavano in patria - nella seconda metà degli anni ‘70 può scegliere se arrivare in circuito in Rolls (targata “BS7”) oppure in elicottero. Si accompagna stabilmente (almeno in pubblico) con Stephanie, ex coniglietta di Penthouse, che dire splendida è quantomeno riduttivo e con lei condivide un maniero nella campagna del Surrey ma soprattutto due bimbi. Negli anni ’70 Sheene è per le moto quello che James Hunt “the shunt” (lo schianto) è per la F1. I due sono amici e formano inevitabilmente una coppia esplosiva che manifesta tutto il suo potenziale durante la trasferta in Giappone del mondiale ’76 di Formula 1, quella dell’epica sfida Lauda-Hunt (di “Rush”). La leggenda vuole che la preparazione per gara decisiva del biondo della McLaren non sia delle piu’ convenzionali: pare che i due compari ricevano in albergo la cortese visita di una trentina di hostess della British Airways e di un numero imprecisato di tifose locali nel corso della loro permanenza giapponese. Per la cronaca quel mondiale termina con il titolo a “the shunt” e il ritiro del ferrarista sotto il diluvio del Fuji. Ma si sa, sono gli anni dei capelli lunghi, della fame di velocità e di amore e se tra i tuoi amici puoi contare anche sui Beatles, come te “Baronetti” dell’impero di Elisabetta II, tutto questo è quasi normale. Altri tempi, altri piloti, altra storia.

Più fratture di chiunque
- Daytona, Florida, test della 200 miglia del 1975 per le “big bikes” da 750cc. A 170 miglia all’ora (siamo a oltre 270) in pieno curvone sopraelevato il pneumatico posteriore della Suzuki esplode. E’ l’high side piu’ terribile della storia del motociclismo. Risultato: polso, braccio, costole, vertebre, caviglia, femore tutto in pezzi. Ci vogliono oltre 30 placche e viti per rimettere tutto insieme. “Se fossi un cavallo da corsa, mi abbatterebbero” racconta Sheene con la solita ironia dal letto d’ospedale dove è immobilizzato. Quel giorno del ’75 una troupe televisiva della BBC è presente sul tracciato della Florida per tracciare un profilo del talento emergente del motociclismo inglese. Dall’incidente al ricovero tutto viene ripreso come in un “the Truman Show” degli anni ’70. Sheene, da gran comunicatore qual è, lascia fare, perché capisce che quello può essere un gran colpo, che certamente non rende meno duro l’asfalto a 270 ma lo consegna all’Inghilterra intera e al mondo del motorsport come una superstar. Dopo Daytona ci sono tante vittorie e altri schianti (Paul Ricard ‘80 e Silverstone ’82 su tutti), con altre placche e altre viti, ma Sheene ritorna sempre in sella contro tutti e tutti, fino al 1984 anno dell’ultimo podio e del ritiro dalle corse. Quindici anni di corse gli hanno lasciato tanta di quella ferraglia in corpo che per lui è impossibile passare un metal detector aeroportuale senza farlo impazzire (gira il mondo con le radiografie in borsa!). Del resto lui nell’immaginario popolare è “l’uomo d’acciaio”.

Adottato dall’Australia per non arrugginire
- “Bazza” se ne è andato presto, quando aveva solo 53 anni. Si era trasferito in Australia dove il clima lo aiutava a patire meno per le ossa sbriciolate rispetto all’umida Inghilterra. Faceva il commentatore del motomondiale per la TV australiana e gli veniva facile e bene, conoscendo tre lingue e la tecnica dei motori. Era rimasto nell’ambiente che gli aveva dato tutto e preso molto. Sempre con il sorriso e la voglia di scherzare. Barry Sheene è stato un gigante della moto.