MotoGP, GP Australia. L'editoriale di Guido Meda: "Yamaha per uno, Ducati per tutti"

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Guido Meda

Vinales vince a Phillip Island con un bel margine. La Yamaha vede mezza luce, mentre Rossi soffre ancora un posteriore scivoloso. La Ducati 2018 trova invece Bautista per confermare che la moto nuova forse è davvero la migliore di tutte, la moto per tutti

IL TRIONFO DI VINALES

È incredibile come certe piste abbiano il potere di trasformare persone, situazioni, valori. Phillip Island, Australia, è da sempre una storia a sé. Una pista con sole due frenate e molte curve di percorrenza. Una pista per la Yamaha; anche per la Yamaha in difficoltà di questi tempi. Perso da subito Zarco in un botto da paura con Marquez e perso Syahrin, restano in pista Vinales e Rossi. Uno vince, l’altro perde. Ecco, Vinales interrompe un digiuno raccapricciante per la Yamaha durato più di un anno. Si rilancia, è felice, il team ha risposto alla sua richiesta di assetto e di affetto. Va. Qui va, di brutto, ma sarebbe delittuoso - anche nei suoi confronti - fermarsi a godere e pensare che sia tutto risolto. Anche la gomma di Vinales arriva finita al traguardo, un po’ come tutti, ma un po’ meno di quella di Rossi, che torna a fare un garone finché può, finché ce n’è e poi scivola giù, fino al sesto. Come si spiega? Non molto per la verità. Vinales ha combinato meglio guida, gomme e risparmio in una gara meravigliosamente isterica per quanti sorpassi ha contenuto in sé; mentre Rossi è partito fiducioso in un posteriore stracollaudato che gli è venuto a mancare al primo giro, alla fine di un weekend in cui qualche confusione lui e il suo team l’hanno fatta. Ma ha la maturità per capire che se vince Vinales c’è qualcosa che migliora nel pacchetto e che farà bene a tutti. C’è urgenza che sia così, perché, senza nessuna Honda in pista, la Ducati ha dimostrato un passo avanti clamoroso. Su una pista che era una maledizione e con la moto di Lorenzo infortunato, Bautista ha lottato per il podio, ha giocato con Dovizioso, con Vinales, con tutti, chiudendo quarto ed entusiasta per un motore che spinge da matti, inserito in una moto che si lascia guidare. Era la risposta che serviva. Perdere Lorenzo sarà pesantissimo, ma forse un po’ meno stando alla luce negli occhi del Bautista di fine gara. È la stessa moto di cui continua ad avere nostalgia Iannone, che partiva favorito con una Suzuki dal motore ancora debolino eppure secondo. Perché Phillip Island è, da sempre, una storia a sé.