Superbike 2019, Bautista e Melandri: le due facce dell’unicità

MotoGp

Rosario Triolo

Nel mondiale Superbike è stata nuovamente affermata l'importanza del pilota rispetto alla moto. Gli esempi più chiari sono stati Bautista e Melandri, ma in modo diverso

La nuova Panigale V4 R è un missile. Sì, tutto vero, ma solo sotto il sedere di Álvaro Bautista. Perché alle spalle del pilota spagnolo non c’è mai stata una Ducati sul podio, o anche solo vicina alla lotta per i restanti due posti nel parc fermé, almeno nelle prime sei gare del Mondiale Superbike 2019. Riconoscere i meriti del Campione del Mondo 125cc del 2006 è il primo passo per capire che il cosiddetto balance of performance, ossia la limitazione delle prestazioni della moto attraverso il taglio dei giri motore, potrebbe non avere effetti sulle sue prestazioni. D’altronde, in passato è già successo: prima dell’inizio del Mondiale 2018 era stata presa una misura di questo tipo per arginare il dominio Kawasaki, nella persona di Jonathan Rea. Il risultato? 17 vittorie del britannico, di cui 11 consecutive e un vantaggio finale in classifica sul primo inseguitore, Davies, di quasi 200 punti. È vero, ogni moto ha la sua anima, e quindi non si può prevedere come cambierebbero le prestazioni della Ducati se venisse sottoposta a un piccolo stravolgimento tecnico. Ma così come è stato dimostrato dai risultati che la Kawasaki andava così forte solo grazie alle straordinarie doti di Rea, allo stesso modo è ipotizzabile che Bautista non risenta minimamente di un qualsivoglia handicap tecnico, se non in un ridimensionamento dell’enorme vantaggio che ha dimostrato di saper accumulare in gara sui rivali. Unico, Bautista, come Marco Melandri. Ma l’italiano, suo malgrado, lo è in modo diverso. Le terribili sbacchettate della sua R1 sul dritto sono un problema riscontrato a Buriram solo da lui. Nessuno tra i suoi compagni di marca ha sofferto il rischio di essere costantemente disarcionato dalla Yamaha. E a ben vedere, tornando un po’ indietro nel tempo negli archivi delle corse, un Melandri alle prese con l’instabilità della propria moto lo si ritrova anche con altre marche. Un esempio per tutti il suo “combattimento” con la vecchia Ducati bicilindrica a Donington 2017, un Gp funestato per Macho dalle vibrazioni della Panigale V2. Non una novità, insomma, queste difficoltà. Forse dovute al suo stile di guida, e per questo risolvibili, come lo stesso Marco ha dichiarato al termine del secondo round del Mondiale 2019, fiducioso di poter riportare la situazione alla normalità con la sua R1 già da Aragón. Questo forse è ciò che ci fa amare maledettamente il motociclismo. La ricerca della perfezione tecnica del mezzo non può mai camminare slegata dal feeling di chi lo domina. Il motociclismo ci fa sentire umani. Ci fa sentire che non c’è limite raggiungibile senza passione, senza testa e senza equilibrio fisico. E ci restituisce la certezza dell’unicità, nel bene e nel male.