Se fosse una rubrica, il "Chi l’ha visto?" di Aragon avrebbe dentro più storie. Il primo a non essersi visto, scomparso dai radar e dalle inquadrature, è Marquez. Per manifesta, atomica, megagalattica superiorità. Poi ci sono gli altri scomparsi, quelli che fanno notizia perché tradiscono le aspettative
Non si è mai vista una cosa del genere, soprattutto perché dal quinto minuto esatto del primo turno di venerdì mattina Marquez era già padrone del passo che gli ha consentito di vincere la gara. La sua gara, come fosse un’altra gara, alternativa a quella degli altri. Seria A contro Serie B. Così. Bella la rimonta del Dovi sì, inattesa, agevolata dalla sua guida morbida e dal gran motore Ducati che spinge in rettilineo.
Significativo pure il terzo posto di Miller con la Ducati clienti del team Pramac. Che infatti non fanno parte di "Chi l’ha visto". Ci entrano invece Vinales e Quartararo. Il primo magari un po’ meno, perché di lui sappiamo già tutto. Quartararo, quinto, è invece un "Chi l’ha visto" per le aspettative di cui lo abbiamo caricato, dopo averci fatto vedere cosa sa fare. E stavolta no. La Yamaha soffre meno dello scorso anno, ma soffre ancora, come dimostra il "Chi l’ha visto" Valentino Rossi, settimo, quindici secondi dopo il compagno. Il proprio problema un pilota lo misura sul compagno ed è quello che certamente farà Rossi, per capire come mai la sua gomma dietro cominci a scivolare prima delle altre Yamaha.
Anche Rins rientra nel "Chi l’ha visto". E chi l’ha visto? Morbidelli. Si sono visti tra loro, Rins ha falciato al primo giro Morbidelli e ciao. Fuori Morbido, nono Rins. Chi l’ha visto Petrucci? Ecco, è un altro problema. Quello che sistema Dovizioso a pari moto non lo sistema un Petrucci un po’ goffo e demotivato, dodicesimo, troppo per essere ducatista ufficiale. Ma può consolarsi guardando Lorenzo, uno che nessuno ha proprio visto, nonostante la moto ufficiale che con Marquez stravince. Per lui servirebbe un "Chi l’ha visto" speciale. Non per affossarlo, ma perché un campione come lui che gira per non fare ultimo è uno spreco troppo grande per non avere dentro un male estremo, che per forza comporterà un estremo rimedio.