Coronavirus: dottor Michele Zasa, dalla Clinica Mobile della MotoGP al 118. L'intervista

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Vera Spadini

Vera Spadini

“Spero che tutti capiscano l’importanza di stare a casa, e che non sia troppo tardi”, dice Michele Zasa, responsabile della Clinica Mobile. "Fare sport all’aperto adesso comporta rischi per la salute"

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Il Dott. Michele Zasa, specialista in anestesia e rianimazione, è il responsabile della Clinica Mobile che viaggia con il motomondiale. Ma in questi giorni così difficili per l’Italia fa parte di quelle persone che rischiano quotidianamente la vita per salvare gli altri, impegnato a tempo pieno con il 118 di Parma nella lotta al coronavirus.

 

Sei in prima linea in questa emergenza. Ci racconti cosa fai, cosa vedi, come si svolgono le tue giornate?

Sto lavorando con il 118 di Parma, è un’attività che svolgo anche durante l’anno, e a maggior ragione in questo momento in cui c’è molto bisogno di copertura da parte di medici specialisti in anestesia e rianimazione come me. Le giornate sono sempre molto simili, vedo cose molto brutte. Veniamo attivati da una centrale operativa e ci rechiamo a casa dei pazienti, che sono quasi tutti casi da infezione Covid-19: cerchiamo di sostenerne le funzioni vitali e di portarli vivi in ospedale.

 

Non hai mai paura? Siete continuamente esposti al rischio e molti medici purtroppo sono deceduti…

Secondo me siamo stati molto più esposti al pericolo un mese, un mese e mezzo fa, perché allora non si sapeva granché, non si adottavano ancora tutte le misure di protezione che si stanno usando adesso. In quella fase molti miei colleghi si sono ammalati e anche io ho rischiato. Adesso, anche se i presidi sono un po’ scarsi, cerchiamo di tutelarci, ci sono procedure precise di vestizione. Conosciamo quantomeno il nemico e sappiamo che dobbiamo difenderci da questo nemico. La paura c’è, è inutile negarlo. Chi non ha paura è uno stolto, però è proprio quando c’è la paura che si fanno le cose migliori nella vita: bisogna trovare a forza di superarla e credo che noi medici in questo momento la stiamo trovando.

 

Di solito ci appassioniamo alle imprese spesso definite ‘eroiche’ degli sportivi. Adesso sono gli sportivi, e tutto il popolo italiano, a tifare per voi, i veri eroi. Come percepite questo ‘tifo’?

Sì, sentiamo tutto questo ‘tifo’ e tanto affetto a parte delle persone: noi medici, gli infermieri, e tutto il personale sanitario, perché siamo tutti sulla stessa barca ad affrontare questa battaglia. Ci fa molto piacere e probabilmente ce ne accorgeremo ancora di più dopo, guardandoci indietro. Non ci ritemiamo degli eroi, siamo persone che hanno studiato per fare questo mestiere, ognuno con il proprio ruolo, e facciamo il nostro lavoro, che poi è una missione, per aiutare il prossimo. Non siamo eroi, ma vorremmo d’ora in avanti più rispetto, che troppo spesso è mancato verso tutte le professioni sanitarie.

 

So che avete anche messo a disposizione della Protezione Civile le strutture della Clinica Mobile…

Sì, oltre alla mia attività ci sono tanti collaboratori medici e tecnici radiologi che in questo momento stanno operando all’interno di reparti Covid. In più, come Clinica Mobile abbiamo messo a disposizione le nostre strutture e con le Autorità sanitarie stiamo discutendo del loro utilizzo a beneficio della popolazione.

 

È stata vietata l’attività fisica all’aperto, o comunque ci sono una serie di limitazioni. Immagino tu sia d’accordo, perché questo comporta meno gente in giro e meno rischi che qualcuno si faccia male sovraccaricando ulteriormente il sistema sanitario. Ma anche perché fare sport in questo periodo espone a maggiori rischi per la salute. Ci spieghi come?

Fare sport in assoluto fa innegabilmente bene alla salute. In questa fase però fare sport può portar ad assembramenti e questo può essere pericoloso. In più in questa fase, persone che abitualmente non fanno sport si potrebbero ritrovare a essere tentate di farlo facendo sforzi anche importanti per quelle che sono le loro condizioni di base, e questo può essere deleterio, perché abbassa le difese immunitarie, e quindi favorisce la replicazione virale di fronte a un’eventuale infezione. In più fare sport stimola sempre la produzione di citochine pro infiammatorie, tra cui interleuchina-6 che abbiamo visto essere una delle citochine maggiormente implicate nello sviluppo di questa polmonite interstiziale da coronavirus. Quindi in questa fase credo si possa fare un’attività più contenuta, e farla in casa, senza uscire. 

 

In base all’andamento del contagio nel resto del mondo, quando credi sia verosimile ripartire con il motomondiale?

E’ una domanda molto difficile. Dipenderà molto dall’evoluzione della pandemia e da quelle che saranno le scelte dei governi in tutto il mondo. Quindi dovendo dare una stima, assolutamente non vincolante, potrei dire metà estate. Però mi riservo di vedere come va l’evoluzione della pandemia in tutto il mondo.

 

Quando finirà tutto questo, quali saranno le conseguenze fisiche e psicologiche nel riprendere la vita normale, parlo di sportivi e di persone comuni?

Sicuramente ci saranno delle conseguenze a livello psicologico, soprattutto per il personale sanitario, perché in questo momento stiamo facendo delle scelte importanti, molto difficili da fare in certe situazioni, e quando sarà tutto finito e calerà l’adrenalina dovremo porci di fronte alla nostra coscienza per quello che

è successo, e qualcuno di noi avrà anche bisogno di supporto psicologico. E’ anche difficile per la popolazione stare chiusi in casa, quindi potrebbe verificarsi uno stress post-traumatico. Per gli atleti, i motociclisti, credo sarà minore questo trauma perché loro avranno la fortuna di poter tornare rapidamente a fare una attività che per loro è gioia, che produce adrenalina, e quindi questo permetterà loro, se non di

dimenticare, di mettere da parte rapidamente questo periodo difficile.

 

È incredibile che qualcuno ancora non abbia capito che deve stare a casa. Cosa vuoi dire a queste persone?

Sono d’accordo. È incredibile che alcune persone ancora non capiscano la gravità della situazione, non capiscano che se escono devono usare la mascherina, includendo il naso: tutte cose ampiamente ripetute ma da qualcuno ancora disattese. Ho fatto una proposta, che è una provocazione, perché ovviamente non

è possibile: porterei queste persone con noi a vedere i morti, per capire che c’è veramente un’emergenza in atto. Io spero che prima o poi lo capiscano, e che non sia troppo tardi.

 

Grazie per l’intervista e grazie a nome di tutti per quello che fai.

Grazie a tutti voi, per noi tutti del sistema sanitario questo sostegno è molto importante.