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NBA, Rockets eliminati: le responsabilità di Harden e D’Antoni

NBA

Dopo la convincente vittoria in gara-1 e gli infortuni di Tony Parker e Kawhi Leonard, i Rockets avevano buone possibilità di conquistare la finale di conference a Ovest: James Harden e Mike D’Antoni però, hanno tradito le aspettative di Houston sul più bello

Fallire nella partita più importante dell’anno porta inevitabilmente  a puntare il dito contro chi avrebbe dovuto fare un passo in avanti in una situazione complicata e invece si è ritrovato a farne due indietro e non per tentare una conclusione in step-back. La partita di James Harden infatti è finita nel momento stesso in cui quel tiro che tutti aspettavano è finalmente partito: con 6 minuti e 19 secondi sul cronometro del secondo quarto, il numero 13 dei Rockets tenta e realizza la prima conclusione della sua partita. Un tiro da tre punti che riporta Houston soltanto sul -18, senza che fino a quel momento il Barba avesse mai alzato la mano per cercare il fondo della retina. Un atteggiamento in parte inspiegabile e certamente complesso da digerire per una squadra che si è affidata in toto a lui sin dal training camp di ottobre. “Tutte le responsabilità per questa sconfitta sono sulle mie spalle. Mi assumo la colpa per quanto successo, su entrambi i lati del campo. È dura da accettare, soprattutto per come abbiamo perso in casa gara-6. Ma sono cose che succedono; dobbiamo andare avanti”. No, James. Stavolta no. Difficile a distanza di soli 20 minuti dal verdetto che manda gli Spurs alle finali di conference contro Golden State, prendere il risultato come dato di fatto e andare avanti. No, soprattutto dopo un -39 subìto in casa contro avversari rimaneggiati e orfani dei loro due migliori giocatori in questa post-season. Se ti chiami James Harden, dopo una stagione sotto molti aspetti da record, non puoi pensare che tutto scivoli via così.

Harden, scomparso nel momento del bisogno

Il candidato MVP non poteva scegliere momento meno adatto per giocare la peggior partita della sua stagione: un primo tempo da 5 punti e 5 palle perse in un match chiuso a quota 10, il minimo realizzato in una partita negli ultimi sei mesi da Harden. Il 2/11 al tiro è un dato che racconta molto più di mille parole quanto successo sul parquet: è il minimo di conclusioni tentate in una sfida di playoff da quando è arrivato a Houston, lo stesso che il Barba mise a referto nell’elimination game delle semifinali di conference contro Golden State nel 2015. Quella volta i punti furono 14 con 12 palle perse; stavolta il fatto che abbia buttato via la metà dei palloni non cambia di molto l’assunto. “Non riuscivo a mettermi in ritmo a inizio gara. Ho provato a fare dei passaggi per i compagni, senza che la squadra trovasse il modo di mettere a segno qualche canestro. Sia come squadra che come singoli, non abbiamo avuto la solita resa offensiva in partita”. Alla sirena non c’è neanche un bersaglio da due punti nel referto di Harden, in una sfida conclusa con soli nove canestri arrivati nel pitturato. Una carestia non giustificabile soltanto con l’assenza causa infortunio di Nenè: “Sono stati molto bravi a riempire l’area, a mettere tanti corpi a protezione del ferro. Pau Gasol ha fatto un lavoro eccezionale sfruttando la sua altezza: giù il cappello davanti alla loro capacità di renderci la vita difficile”. Dopo il pessimo finale di gara-5 e  la stoppata subìta da Ginobili allo scadere, il numero 13 pensava di aver già toccato il fondo. I soli 75 punti di squadra realizzati e il -39 incassato aggiornano di certo la sua triste classifica.

D’Antoni e le contromosse mancate

Una squadra tradita dunque sul più bello non solo da Harden, ma dall’attacco così sapientemente orchestrato per settimane da coach Mike D’Antoni, incapace di trovare delle contromosse agli adattamenti fatti dagli Spurs, attenti sulle linea di passaggio, attivi sul lato debole, “casualmente” venuti a conoscenza dell’antidoto per disinnescare Harden: Jonathon Simmons, finito sulle tracce del Barba più che altro per necessità e diventato già dopo pochi possessi di gara-5 la sua nemesi. Una combinazione di meriti da una parte e demeriti dall’altro che hanno portato i Rockets a mettere a referto la miseria di 75 punti, di gran lunga il minimo stagionale, molto distante rispetto al record negativo precedente - i 92 punti arrivati in gara-3 sempre contro San Antonio. Il preludio alla quinta serie di playoff persa da Mike D’Antoni in altrettanti incroci in post-season contro Gregg Popovich. “Quello che è successo, è successo – commenta l’ex giocatore dell’Olimpia Milano -. Negli spogliatoi ho soltanto ricordato ai ragazzi quanto straordinaria sia stata la stagione che ci lasciamo alle spalle questa sera. Sono andati oltre ogni più rosea aspettativa. Hanno combattuto all’ultimo sangue, ma questa volta non abbiamo avuto l’energia necessaria per farlo. Dobbiamo renderci conto di cosa è andato storto, lavorarci su in estate e ripresentarci qui più forti e convinti di prima”. La sintesi migliore è quella in chiusura di conferenza fatta dallo stesso Harden: “Ci hanno dominato”. Un dato di fatto nudo e crudo con cui bisognerà fare i conti nei prossimi mesi. Lo sa bene Houston e soprattutto lo sa bene D’Antoni.