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NBA, la guerra dei podcast tra Richard Jefferson e Draymond Green

NBA

Dario Vismara

Richard Jefferson e Draymond Green, rivali in campo e nelle classifiche su iTunes (Foto Getty)

Cleveland contro Golden State significa anche “Road Trippin’” contro “Dray Day”, i due podcast gestiti dai giocatori delle due squadre. Ecco come la loro rivalità si è trasferita anche nelle cuffie degli ascoltatori di tutto il mondo

In un mondo in cui lo sport non si esaurisce mai solamente all’interno delle quattro linee che delimitano il campo da gioco, era inevitabile che una rivalità accesa come quella che si è creata tra Golden State Warriors e Cleveland Cavaliers traboccasse anche al di fuori del parquet. Ma trovandoci nel terzo millennio, le parole dei protagonisti delle due squadre non si sono rincorse solamente attraverso i media “tradizionali”, ma anche attraverso i social network e – in piano stile 2017 – anche con un media nuovo come quello dei podcast. Le due squadre finaliste di questa stagione, infatti, sono le uniche due squadre della NBA ad avere al loro interno un podcast gestito direttamente dai giocatori: da una parte i Cavs schierano “Road Trippin’” con Richard Jefferson, Channing Frye e la bordocampista Allie Clifton; dall’altra gli Warriors rispondono con “Dray Day”, condotto da Draymond Green in compagna del giornalista Marcus Thompson II del Mercury News. Il risultato è stato esplosivo: il podcast dei Cavs ha avuto immediatamente successo grazie alla spinta delle deliranti dichiarazioni di Kyrie Irving sulla forma della Terra (che hanno provocato una reazione perfino di Adam Silver) ed ha raggiunto perfino Tim Duncan, da sempre restìo a concedere lunghe interviste esclusive che invece si è intrattenuto con loro per un’ora. Nello scorso febbraio, però, Draymond Green ha lanciato il suo podcast personale, e il modo in cui lo ha comunicato ai suoi diretti concorrenti è stato in piano stile Draymond Green. “Ho ricevuto un messaggio da un numero che non avevo in rubrica e dopo un po’ mi ha scritto ‘Yo, sono Draymond’” ha rivelato Jefferson in una puntata con LeBron James. “Gli ho detto ‘Ok, come va Dray, come stai?’. Mi ha risposto dicendo: ‘Voglio farti sapere che fott*******e distruggeremo il vostro podcast’”. Jefferson rispose a tono al trash talking del rivale (“‘Fino a quando non arriverai al numero 1 in classifica non possiamo nemmeno parlarne. Sappiamo entrambi che arrivare al secondo posto non è un risultato… IN NESSUN CAMPO”), condividendo poi tutta la conversazione sull’account Instagram del programma. Nei mesi successivi, “RJ” non ha mancato di lanciare altre frecciate a Green, visto che a Sports Illustrated ha dichiarato: “Abbiamo dei podcast molto diversi: noi siamo quelli che ascolti in macchina facendoti una risata; il suo è più uno di quelli che ti ascolti prima di andare a letto per addormentarti”.

Un nuovo modo di comunicare

L’esperimento dei “podcast dei giocatori” in realtà non è del tutto nuovo, visto che già nella scorsa stagione J.J. Redick degli L.A. Clippers conduceva un eccellente programma settimanale su The Vertical con ospiti sempre diversi, poi abbandonato all’inizio di quest’anno un po’ per la free agency incombente (il rinnovo di Redick è uno dei punti cardine dell’estate dei Clippers) e un po’ per il futuro passaggio di Adrian Wojnarowski a ESPN, che inevitabilmente “svuoterà” la copertura NBA su Yahoo.com. Il resto della lega però ha preso nota del successo di Redick e ha provato a replicarlo: Jefferson e Frye, amici da sempre essendo cresciuti a 10 minuti di distanza a Phoenix, hanno approfittato di condividere per la prima volta in carriera lo stesso spogliatoio per traportare le loro conversazioni a cena in un setting più appropriato, condividendole poi con i tifosi e gli appassionati. Per riuscirci si sono avvalsi dell’aiuto di Allie Clifton, che da cinque anni segue i Cavs come bordocampista e ha creato un ottimo rapporto con tutti i giocatori, occupandosi della realizzazione editoriale e della post-produzione del programma. “Road Trippin” si differenzia dagli altri tentativi per il carattere decisamente scanzonato dei suoi protagonisti (Redick invece era molto più professionale e “tradizionale”) e la qualità degli ospiti, viste le continue visite dei membri dei Cavs a partire dai “Big Three” LeBron James, Kyrie Irving e Kevin Love. Una voglia di partecipare che ha costretto i tre conduttori a smettere di registrare sugli aerei che li portavano da una parte all’altra degli Stati Uniti (da cui il titolo del podcast), visto i giocatori dei Cavs continuavano a inserirsi e a disturbare la fluidità della conversazione. Ciò nonostante, anche questi piccoli contrattempi hanno aiutato a creare un nuovo canale di comunicazione dallo spogliatoio dei campioni in carica verso l’esterno, prendendosi in prima persona l’onere di parlare direttamente verso l’esterno senza passare da una mediazione tradizionale – basti pensare a un esperimento come The Players’ Tribune lanciato da Derek Jeter.

Tutti sotto l’ombrello di LeBron

A lanciare una piccola ma decisiva ombra sulla veridicità della “faida” tra Jefferson e Green su quale sia il podcast migliore c’è però il fatto che entrambi i programmi ricadono sotto il cappello di Uninterrupted, la piattaforma audio-video lanciata da LeBron James qualche anno fa per dare una voce autentica e indipendente ai suoi colleghi giocatori. Dopo il successo dei suoi compagni, James ha acquisito il podcast accollandosi i costi di produzione (“La miglior firma in free agency di Bron da diverso tempo” ha scherzato Jefferson in un lungo pezzo su The Ringer) e allo stesso tempo ha lanciato quello di Green, di cui è sostanzialmente un socio per quanto riguarda il sito. È quindi possibile che le schermaglie tra le due fazioni opposte siano abbastanza “pilotate” – anche perché Jefferson era il veterano di riferimento di Green quando quest’ultimo è entrato nella lega da rookie, e infatti a Sports Illustrated aveva anche aggiunto che “Draymond ha grande talento e ha dei messaggi da mandare, c’è una buona combinazione tra i nostri due podcast” a testimoniarne la “fratellanza” – e che abbiano fatto da cassa di risonanza l’un l’altra per dare maggiore visibilità ai propri programmi. Quello che è certo è che per le prossime tre settimane le due parti manterranno un netto distacco, perché si può anche essere tutti amici, ma quando ci sono di mezzo le Finali NBA non si guarda in faccia nessuno, come dimostra il fatto che Green ha con ogni probabilità perso un titolo NBA tirando un colpo nelle parti basse proprio al suo “socio” James in gara-4. “Grande competizione non significa rivalità” si legge in coda al messaggio su Instagram di “Road Trippin”, e nel corso del programma è spesso stato ripetuto come la competizione tra le due parti sia intesa per spingersi l’un l’altro a fare meglio. È solo una delle mille storie attorno al terzo episodio della trilogia tra Warriors e Cavaliers, in attesa della palla a due che vivremo insieme con lo streaming eccezionalmente aperto a tutti nella notte tra giovedì e venerdì alle 3 del mattino. E chissà come le Finals verranno raccontate dopo la loro conclusione…