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NBA Finals, l'eroe ombra di gara-1: Thompson decisivo senza segnare

NBA

Dario Vismara

Klay Thompson in marcatura su Kyrie Irving, tenuto a 1/6 al tiro in gara-1 (Foto Getty)
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In una delle peggiori serate al tiro della carriera, Klay Thompson è comunque riuscito a dare il suo contributo in gara-1 grazie a un'eccellente difesa. Un riassunto perfetto del suo ruolo nei Golden State Warriors da quando è arrivato Kevin Durant

Come per qualsiasi sport, ci sono tanti cliché che prosperano nel mondo della NBA. Uno di questi vuole che ci sia una divisione gerarchica netta tra chi è “stella” e chi è “giocatore di ruolo”, tra chi è “completo” e chi è “specialista”. Sono i primi a prendersi la maggior parte delle luci e degli onori da parte di tifosi e stampa, mentre i secondi devono sostenerli con il “lavoro sporco” in difesa, con alte percentuali dall’arco quando vengono chiamati in causa e con un ego tenuto costantemente sotto controllo. Perché devono essere le stelle, per definizione, a guadagnarsi i titoli e i premi, mentre ai secondi rimane la gratitudine degli allenatori e l’ammirazione degli appassionati. Negli ultimi anni si è però sviluppato un profilo ibrido tra queste due figure, quella del giocatore “3&D” – un esterno in grado di assicurare ottime percentuali da tre punti (“3”) e difesa di alto livello, meglio se su più ruoli (“D”), senza avere compiti di creazione dal palleggio o licenza di prendersi tiri al di fuori da ciò che viene concesso dagli avversari. Questi tipi di giocatori però sono talmente richiesti da essere pagati profumatamente sul mercato – basti pensare ai contratti di Wesley Matthews o di DeMarre Carroll –, guadagnandosi di fatto stupendi da stelle pur senza esserlo del tutto. Tra questo gruppo ibrido di giocatori, ce n’è uno che più di tutti gli altri spicca per la sua unicità, vale a dire Klay Thompson. Il numero 11 dei Golden State Warriors ha lo status di una stella – visto che in carriera si è guadagnato un titolo NBA, due inclusioni nel terzo quintetto All-NBA e tre All-Star Game, oltre a essere unanimemente riconosciuto come uno dei migliori tiratori del mondo – ma allo stesso tempo ha il gioco di un “3&D” – potendo vantare una percentuale da tre punti del 42% in carriera su quasi 7 tentativi a partita e una versatilità difensiva che lo ha reso una delle migliori guardie della lega nella propria metà campo. Una tendenza che si è accentuata ancora di più da quando Kevin Durant è entrato in squadra, facendo scalare gerarchicamente di un posto Thompson che da “secondo/terzo” si è ritrovato un posto più giù – senza però che il minor coinvolgimento offensivo abbia intaccato la sua efficacia in campo.

Le difficoltà al tiro

Da questo punto di vista, i suoi playoff finora – e in particolar modo gara-1 delle Finali – sono stati emblematici per quanto riguarda il “nuovo” ruolo di Thompson, che riesce a essere utilissimo nonostante stia attraversando il peggior “slump” al tiro da quando è entrato nella NBA. Nelle 13 partite – tutte vinte, e siamo a 29 in fila da quando ha firmato un tostapane… – giocate finora, Thompson sta tirando col 36.6% dal campo (67/183) e soprattutto col 33.8% da tre punti (24/71), per una percentuale effettiva del 43.2% che impallidisce davanti al 52% che normalmente ha tenuto nella sua carriera ai playoff. Andando più in profondità nei numeri, si scoprono cose interessanti: ad esempio Thompson non è in difficoltà nelle triple “aperte”, cioè quelle con il difensore oltre i due metri di distanza, che per la verità sta convertendo con percentuali migliori (55.6%) rispetto a quelle tenute in regular season (46.8%). Il problema sta nelle altre conclusioni, quelle con un difensore entro un metro (è calato dal 37% all’attuale 26%) e soprattutto in quelle contestate da un difensore tra uno e due metri di distanza (da 41.2% a un brutto 29%), che costituiscono la maggior parte delle sue triple visto che non viene mai lasciato libero di tirare dalle difese. Quello che rende realmente unico Thompson è che questo brutto momento al tiro non lo ha intaccato più di tanto a livello di fiducia e soprattutto il suo impegno difensivo non è sceso, anzi semmai è migliorato. Altri tiratori si sarebbero “depressi” e avrebbero smesso di essere utili per la propria squadra; Thompson invece è stato positivo per gli Warriors (+8 di plus-minus) anche in una giornata in cui ha tirato 3/16 dal campo (solo in gara-1 con San Antonio ha chiuso con 2/11, peggior prestazione della carriera), meritandosi di giocare per oltre 36 minuti, il secondo giocatore più utilizzato dopo Kevin Durant.

Versatilità difensiva

Anche senza segnare, Thompson è stato semplicemente spettacolare in gara-1 grazie alla sua difesa: già dal primissimo possesso, in cui si è ritrovato coinvolto in un mismatch teoricamente a suo sfavore contro il suo amico d’infanzia Kevin Love, Thompson non ha ceduto neanche un centimetro e ha costretto il lungo dei Cavs a un air ball, provocando un’ovazione da parte del pubblico di casa e riuscendo a imporre il “tono” difensivo alla partita. Poco dopo, Klay è passato a prendersi cura di un giocatore completamente diverso rispetto a Love come Kyrie Irving, eppure è riuscito comunque a forzare un tiro difficilissimo. Nel corso della sua partita Thompson è stato protagonista di close-out difensivi precisissimi (tra cui uno memorabile su J.R. Smith) e ha coperto benissimo il lato debole, togliendo quelle linee di passaggio così vitali per l’attacco di Cleveland, contribuendo così all’11/31 dall’arco di quelli che hanno tenuto il più alto rating offensivo nella storia dei playoff. I giocatori marcati direttamente da Thompson hanno chiuso con 1/12 al tiro contro di lui, ma è soprattutto la varietà e la qualità dei giocatori marcati a impressionare: Irving ha tirato 1/6, Love 0/3, e perfino LeBron James (0/2) e J.R. Smith (0/1) non sono riusciti a segnare contro Thompson, che in questi playoff tiene gli avversari al 36.7% al tiro, peggiorando le loro medie di quasi 9 punti percentuali (-8.7%). “In partita si va avanti possesso dopo possesso, perciò non mi sono reso conto del numero durante la gara” ha dichiarato Thompson in una conference call coi media internazionali a proposito dell’1/12 contro di lui. “Ero felice della mia prestazione difensiva: non importa chi marcassi, cercavo in tutti i modi di rendere loro la vita difficile costringendoli a brutti tiri”.

Mettere l’ego da parte

Thompson ha poi aggiunto una cosa interessante a proposito del proprio atteggiamento mentale nei confronti della gara: “Non mi interessa se non ho più molti tiri a disposizione: se segno 6 punti a partita ma riusciamo a vincere il titolo NBA, lo posso fare ogni singolo anno. Non mi interessa ammassare numeri, non mi importa avere statistiche scintillanti. Alla fine, se vinci l’ultima partita della stagione, hai avuto una grande annata. Quello è il nostro obiettivo, quello è ciò che ci aspettiamo anno dopo anno”. Potrebbero sembrare dichiarazioni di circostanza, ma Thompson ha anche i fatti ad accompagnare le parole: in questa stagione, e soprattutto in questi playoff, Klay ha dovuto mettere da parte il proprio ego per il bene della squadra e accontentarsi di un ruolo minore, di complemento a Curry e Durant, da “3&D” piuttosto che da stella, passando dai 19 tiri degli scorsi playoff ai 14 attuali e da una percentuale di “utilizzo” del 28% al 20.7%. Altri giocatori avrebbero potuto vivere male questo sacrificio, specialmente avendo da farsi “perdonare” le Finals dell’anno scorso. Invece Thompson è rimasto fedele alla sua personalità schiva e non ha mai fiatato, lasciando che fossero gli altri a sostenere la sua causa (Draymond Green ha dichiarato pubblicamente il suo disprezzo per la mancata inclusione nei quintetti All-NBA) e senza mai dare indicazioni sulla sua insoddisfazione. Eppure, nonostante tutto, il suo atteggiamento non ha impedito a C.J. McCollum di twittare che “Klay si prenderà un altro anello e si troverà la sua squadra: meglio che se lo godano fintanto che rimane”. Forse c’è un po’ di speranza nelle sue parole – visto che i suoi Blazers sono usciti due volte in fila contro gli Warriors… –, ma è idea comune che Thompson possa decidere di fare la prima opzione offensiva da un’altra parte (anche se non sarà free agent fino all’estate del 2019) e costruirsi la “sua” squadra. Eppure Thompson sa di trovarsi in una grande posizione per poter conquistare il titolo anno dopo anno in una franchigia che apprezza il suo contributo e dà grande valore al suo gioco, sostenendolo anche durante i periodi di difficoltà. Non è una cosa così comune in giro per la NBA, così come il suo profilo è unico in tutta la NBA. E se una cosa non è rotta, perché cercare di aggiustarla?