I Rockets conquistano in volata il terzo successo in fila e si rilanciano dopo un pessimo avvio, mentre i Raptors si confermano leader a Est rinunciando ancora una volta a Leonard. OKC vince la quinta consecutiva, ma trattiene il fiato per l'infortunio di Westbrook. Vittorie all'OT per Miami e Chicago, Orlando sulla sirena batte i Cavaliers
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Indiana Pacers-Houston Rockets 94-98
Ripartire dalle basi, soprattutto dalla difesa. Al resto poi, pensa l’MVP in carica. Questa la formula (non tanto magica) applicata da coach Mike D’Antoni ai suoi Rockets per uscire dall’angolo, vincere tre partite in fila in trasferta e rilanciare un avvio di regular season claudicante. James Harden è assoluto protagonista nel successo in volata contro i Pacers, autore della tripla che pareggia la gara a 36.1 secondi dal termine, seguita poi da quattro liberi consecutivi che hanno definitivamente messo al tappeto Indiana: “Stiamo facendo un ottimo lavoro nel fermare l’attacco avversario e rendere la vita difficile a chiunque quando si tratta di fare canestro contro di noi – il commento del Barba – dell’attacco non mi sono mai preoccupato”. Per Harden sono 28 punti alla sirena, conditi con sei assist, cinque triple e tre recuperi. D’Antoni riduce all’osso la rotazione (come spesso gli capita nei momenti complessi della stagione), lasciando fuori Chriss e Carter-Williams e prendendosi la seconda vittoria in fila realizzando meno di 100 punti. Ai Pacers resta il rammarico per una partita a lungo condotta – senza mai riuscire a fare il vuoto – a cui però è mancato lo spunto decisivo nel finale. Victor Oladipo chiude con 28 punti, tirando più del 50% dal campo, a cui si aggiungono i 17, otto rimbalzi e cinque assist di Domantas Sabonis, sesto uomo perfetto negli ingranaggi di Indiana. Quello che vorrebbe/dovrebbe diventare anche Carmelo Anthony per Houston, autore di otto punti in 24 minuti in altalena: se cercate il definitivo inserimento di Melo, tocca pazientare un altro po’ e ripassare un’altra volta.
Utah Jazz-Toronto Raptors 111-124
Questi Raptors iniziano a fare decisamente paura. Certo, è ancora presto e 11 partite restano un campione rappresentativo non del tutto affidabile, ma l’indicazione che arriva dai canadesi è forte. Vincere in trasferta in back-to-back a Salt Lake City è una cosa complicatissima all’interno della reticolare regular season NBA; farlo senza Kawhi Leonard rende tutto ancora più importante. Toronto si gode i 17 punti a testa dei quattro tasselli fondamentali della sfida, a partire da Kyle Lowry (che li condisce con 11 assist e un eloquente +29 di plus/minus), oltre a OG Anunoby, Fred VanVleet e Serge Ibaka. La rotazione e la gestione dei minuti è certosina, a partire dal lungo congolese che parte dalla panchina e concentra tutto il suo impatto in 14 minuti perfetti: 8/8 al tiro, cinque rimbalzi e poi un lungo riposo. Ognuno porta il suo mattoncino (sono 13 i giocatori utilizzati da coach Nurse), il modo migliore per gestire le forze e riuscire a fare il vuoto negli ultimi 20 minuti di partita. I Jazz restano ai margini del match, incapaci di andare oltre i 22 punti di Alec Burks in uscita dalla panchina, confermando soprattutto le difficoltà nella protezione del ferro (Toronto tira con il 57% dal campo di squadra). Senza quella si riducono di molto le possibilità di successo di Utah.
Oklahoma City Thunder-New Orleans Pelicans 122-116
Partita dalle due facce per i Thunder, felici di aver portato a casa il quinto successo consecutivo e in ansia per le condizioni fisiche di Russell Westbrook, uscito sul finire del terzo quarto a causa di quella che lo staff medico ha definito “una distorsione alla caviglia sinistra”. Saltando a rimbalzo il n°0 di OKC è crollato a terra una volta ritornato sul suolo, dolorante e incapace di proseguire la gara. A farne le veci ci hanno pensato Paul George (23 punti, otto assist, quattro recuperi) e Dennis Schroder, scarica d’energia nei 24 minuti in cui è rimasto sul parquet (22 punti e soprattutto 16 tiri). Loro due firmano le giocate per ricacciare definitivamente indietro i Pelicans nell’ultimo minuto, condannando New Orleans alla sesta sconfitta in fila e generando un minimo di apprensione nella squadra della Louisiana. Anthony Davis gioca una partita normale, senza acuti, da 20 punti e otto rimbalzi, lasciando lo scettro del miglior in campo tra gli ospiti a Julius Randle, perfetto in uscita dalla panchina: 28 minuti, 26 punti, 10/10 al tiro, 4/4 ai liberi, otto rimbalzi. Jrue Holiday ne aggiunge 22 con 14 assist, confermando che le individualità a questa squadra non sembrano mancare. Le vittorie invece è un bel po’ che non si vedono.
New York Knicks-Chicago Bulls 115-116 2OT
In una partita tra due squadre destinate ai bassifondi della Eastern Conference, se non altro al Madison Square Garden si sono potuti godere 10 minuti di pallacanestro NBA in più rispetto al normale. Sono serviti infatti due supplementari ai Chicago Bulls per avere ragione dei New York Knicks, e il protagonista non poteva che essere Zach LaVine: la guardia ha realizzato il suo massimo in carriera con 41 punti, tra cui tutti gli 8 segnati dai Bulls nel secondo overtime e il tiro libero della vittoria a 2 decimi dalla sirena, sbagliando volontariamente il secondo per impedire ai padroni di casa l’ultimo tiro della disperazione. Insieme a lui ci sono altri tre giocatori in doppia cifra (Antonio Blakeney 17, Jabari Parker 15 e WendeLl Carter 11+13), mentre in casa Knicks il leader sul tabellino è ancora una volta Enes Kanter, autore di una doppia doppia da 23+24, seguito dai 21 di Allonzo Trier e altri quattro giocatori in doppia cifra, pur essendocene due (Mitchell Robinson e Frank Ntilikina) a quota zero in quintetto. New York era riuscita a trovare la parità con un sottomano di Emmanuel Mudiay a 2.7 secondi dalla fine, ma lo stesso ex Nugget ha poi commesso fallo sulla penetrazione di LaVine, mandandolo in lunetta per il libero decisivo. “Mi è piaciuto come ha attaccato in quell’ultimo possesso” ha commentato coach Hoiberg sull’azione di LaVine. “I nostri ragazzi avevano bisogno di vincere una partita tirata: sono rimasti lì e hanno combattuto insieme, trovando un modo per portarla a casa”.
Detroit Pistons-Miami Heat 115-120 OT
Le voci su un possibile passaggio di Jimmy Butler a Miami si sono ormai quietate, ma chissà che le prestazioni di Josh Richardson non convincano finalmente Minnesota a cedere — oppure se, al contrario, Miami non ritenga che continuare con lui sia meglio che sacrificarlo per arrivare al 23 dei T’Wolves. Intanto, la guardia al quarto anno ha deciso la sfida contro i Detroit Pistons: i suoi 27 punti sono stati fondamentali per spingere i suoi alla vittoria, realizzando 9 dei 15 punti degli Heat nel supplementare di cui quattro liberi negli ultimi secondi per chiuderla. “È la prima volta che gli viene chiesto di fare il go-to guy, ma se l’è cavata alla grande” ha commentato uno che ne sa come Dwyane Wade, il migliore dalla panchina con 18 punti insieme ai 21 di Dragic. “Vogliamo che continui a prendersi quei tiri con fiducia e salga a un livello superiore, perché ne abbiamo bisogno”. Con Hassan Whiteside di nuovo assente per un infortunio al ginocchio, Andre Drummond ha potuto fare quello che ha voluto in area, chiudendo con 25 punti e 24 rimbalzi di cui 11 in attacco, tra cui il canestro a 0.5 dalla fine dei regolamentari che ha mandato la sfida all’overtime. Insieme alla sua doppia doppia non sono bastati i 25 punti di Reggie Jackson, i 24+15+7 di Blake Griffin e i 21 di Langston Galloway per impedire la quinta sconfitta consecutiva, scivolando sotto il 50% di vittorie dopo la partenza 4-0.
Orlando Magic-Cleveland Cavaliers 102-100
I Cavs non riescono a vincere neanche con due possessi di vantaggio nell’ultimo minuto di gioco. Con un cuscinetto di cinque punti a meno di 24 secondi dalla fine, i campioni in carica della Eastern Conference hanno commesso due palle perse e si sono visti stoppare un tiro, permettendo ai Magic di rimettersi in partita. A chiudere i giochi ci ha pensato poi Evan Fournier, che nonostante una prestazione da 5/15 al tiro per 15 punti ha mandato a segno il buzzer beater della vittoria, condannando Cleveland alla quinta sconfitta su cinque lontano da casa. Alla fine non sono serviti i 22 punti di George Hill (11 solo nell’ultimo quarto), i 19+16 di Tristan Thompson e i 14 a testa di Jordan Clarkson e JR Smith dalla panchina, sprecando un terzo quarto da 32-12 con cui avevano preso il controllo della gara. In casa Magic ci sono 23 punti per Aaron Gordon, 15 per Terrence Ross e 14+10 per Nikola Vucevic, decisivo con una stoppata su Hill per apparecchiare la tavola al canestro decisivo di Fournier. In casa Cavs non si può fare altro che guardare al bicchiere mezzo pieno: “È dura perdere così, ma se non altro abbiamo combattuto” ha detto JR Smith. “Abbiamo commesso errori, ma visto il modo in cui abbiamo difeso ed eseguito, c’è di che esserne ispirati”.
Golden State Warriors-Memphis Grizzlies 117-101
I campioni NBA in carica tornano alle vecchie abitudini e rispolverano un’arma mai utilizzata in questa stagione per sbarazzarsi dei Memphis Grizzlies: il parziale letale nel terzo quarto. Un 34-15 che spacca in due la partita, nonostante l’impreciso avvio al tiro di Steph Curry, che chiude con 19 punti e 6/17 al tiro (3/6 dall’arco), anche se il +26 di plus/minus non lascia dubbi sul suo impatto nella sfida. Il miglior realizzatore in casa Warriors è Klay Thompson, autore di 27 punti, a cui si aggiungono i 22 del solito efficace Kevin Durant: 7/11 al tiro, sei rimbalzi, sei assist e tante altre cose utili. Zitti zitti, gli Warriors mettono a segno così la seconda miglior partenza nella storia della franchigia (tre anni fa fecero 24-0 per aprire la stagione), portandosi sul 10-1 e lanciando un chiaro segnale a tutte le inseguitrici. Una gara sotto certi aspetti rassicurante anche per i Grizzlies, che restano come possono aggrappati al match, guidati da un Marc Gasol che sfiora la tripla doppia (otto punti, nove assist, dieci rimbalzi) e alla ricerca di una continuità realizzativa che potrebbe permettere a Memphis di essere meno peggio del previsto.