Dalla tensione all'allenamento del mattino al sereno dopo la batosta per mano di Houston passando per le parole di Draymond Green: il caos in casa Golden State Warriors sembra essersi placato, con un obiettivo in testa per tutti - il terzo titolo in fila
Nella NBA le cose cambiano molto in fretta. Un attimo ti ritrovi con un record di 10 vittorie e una sconfitta, quello dopo Steph Curry si fa male e la stagione improvvisamente cambia. Basti pensare a quanto successo nel finale della gara con i Clippers: a Steve Kerr sarebbe bastato chiamare timeout per evitare (o forse sarebbe meglio dire rimandare?) tutto quello che ha fatto seguito alla palla persa di Draymond Green, con il duro scontro con Kevin Durant che ha spostato gli occhi dell’intera lega sulla Baia dando vita a giorni frenetici. Anche la giornata di ieri, dalle ore precedenti alla gara con gli Houston Rockets alle battute dopo la batosta subita per mano dei Rockets, l’umore dei Golden State Warriors è passato da burrascoso a sereno nel giro di pochissimo tempo. E, come spesso accade, in maniera del tutto contro-intuitiva rispetto a come dovrebbero andare normalmente le cose.
Green davanti ai microfoni: “Io non cambierò, sono stati anni fantastici”
Allo shootaround mattutino, a 62 ore di distanza da quanto successo, Draymond Green ha finalmente parlato. Il focoso numero 23 degli Warriors ha aperto la sua attesissima chiacchierata con i giornalisti con una dichiarazione spontanea a cui non ha fatto seguito null’altro sulla vicenda con KD: “Dirò quello che devo dire una volta sola. Kevin e io abbiamo parlato di quello che è successo l’altra sera e abbiamo voltato pagina” ha cominciato Green. “Non è un segreto che io sia un giocatore emotivo: non ho mai nascosto quello che provo e in campo porto tutto quello che ho dentro. A volte queste emozioni prendono il sopravvento e non vanno in mio favore” ha continuato con il solito candore. “Continuerò a viverle in questo modo, perché vanno più volte in mio favore – il mio curriculum e quello della squadra lo testimoniano – piuttosto che il contrario. Non cambierò mai quello che sono: approccerò il gioco sempre alla stessa maniera”. Una presa di coscienza onesta, come ci si poteva aspettare da un personaggio del genere. Ma anche una mancanza di scuse per quanto successo, e anche questo era atteso – per quanto sarebbe stato auspicabile.
Poi però Green ha passato in rassegna anche la situazione della squadra, e le parole si sono fatte molto interessanti: “Ho letto molte cose del tipo: è la fine della loro corsa? L’ho rovinata io? O ho costretto Kevin ad andarsene?” ha continuato. “Alla fine di tutto, come ho sempre detto, qualsiasi cosa Kevin deciderà di fare, qualsiasi cosa Klay [Thompson, anche lui free agent, ndr] deciderà di fare, abbiamo vissuto dei grandi anni assieme. Io sostengo tutti con il mio cuore al 100 per cento, perché come uomo, come essere umano, penso che tutti abbiano il diritto di fare quello che vogliono. Questa è una cosa che non metterò mai in discussione”. Parole che sanno quasi di “benedizione” in caso di addio di KD, una possibilità che aleggia sulla stagione degli Warriors ormai da un anno abbondante.
“Però dovete sapere” ha proseguito Green nel suo flusso di coscienza, “che nessuno in questa organizzazione – non un giocatore, non io, non Kevin, nessuno – ci batterà. Perciò se le altre 29 squadre stanno ascoltando, sappiano che devono essere loro a batterci. Noi non ci batteremo da soli. Continueremo a fare quello che sappiamo fare. E mi dispiace se questo rovinerà i pezzi che state scrivendo, so che avete un lavoro da fare. Ma se quello che è successo renderà Kevin, me, e il resto della squadra più forte, sappiate già che non crolleremo per una discussione. Volteremo pagina, questo è quello che voglio dire. Adesso qualcuno vuole parlare di basket?”
L’ammissione di Kerr e l’importanza di Curry
Le parole di Green hanno fatto il paio con quelle di coach Steve Kerr, che prima della gara con Houston aveva definito con questi termini il momento della squadra: “Siamo ammaccati fisicamente e siamo ammaccati spiritualmente: non c’è bisogno di girarci attorno” ha ammesso. “Perciò dobbiamo ricaricare le batterie e ritrovare il nostro spirito, la nostra energia. Ed è quello che faremo. È una stagione molto lunga: stiamo affrontando un momento difficile, ma conosco i miei ragazzi”.
In favore di Kerr gioca sicuramente il ritorno in gruppo di Steph Curry, che nonostante sia già stato dichiarato fuori causa per le prossime cinque partite – i sintomi dell’infortunio all’inguine sono più gravi rispetto alla risonanza magnetica iniziale, che era stata definita, un po’ frettolosamente, come “incoraggiante” – ma che è comunque a seguito della squadra nella trasferta in Texas. Proprio la sua presenza potrebbe essere la forza calmante in grado di superare la tempesta: “È molto saggio: sa come tenerci assieme ed è uno su cui puoi contare per far girare le cose nel modo giusto. L’ho detto molte volte: Steph è la versione più piccola di Tim Duncan. Avendo giocato con Timmy e avendo affrontato cose di ogni tipo a San Antonio, anche coach Popovich vi direbbe – anzi, non ve lo direbbe, ma fa niente – quanto la presenza di uno del genere renda tutto molto più semplice”.
L’umore di KD e il disgelo in campo
Per tutto l’allenamento mattutino, però, Kevin Durant è rimasto sulle sue: è arrivato all’arena al fianco di Draymond Green mentre quest’ultimo continuava a parlare, e in un paio di occasioni si sono scambiati qualche sporadico cinque, ma per il resto non ha parlato quasi con nessuno ed è rimasto in disparte, ancora con un umore tutt’altro che buono. Poi è arrivata la partita, e qualcosa è cominciato a cambiare: Durant è andato a segno subito su un assist di Green in contropiede, indicandolo come fa normalmente per ringraziarlo del passaggio, e le cose sono sembrate tutto sommato… normali. Se non ci fosse stato l’incidente di Los Angeles, neanche quanto successo nel secondo tempo sarebbe stato di particolare interesse: in una situazione di contropiede e con Durant in posizione perfetta per andare a canestro, Green ha commesso una banale palla persa per infrazione di “palming”, vanificando due punti facili per il numero 35. Dopo il fischio i due sono rimasti per qualche secondo a parlare sotto il canestro avversario, ovviamente con gli occhi di tutti puntati su di loro: dopo essersi chiariti, però, KD ha dato una pacca sul petto a Green ed è tornato nella metà campo difensiva come se nulla fosse successo.
La calma dopo la tempesta
La partita è poi andata come è andata, ovverosia con la peggior prestazione stagionale dei campioni in carica, eppure – contrariamente a quanto sarebbe logico aspettarsi – il mood all’interno dello spogliatoio era tutt’altro rispetto alla tensione dello shootaround. Sarà stato per le parole di Green (che comunque non ha preso per nulla bene la sospensione della franchigia che gli è costata 120.000 dollari, tanto da pensare di chiedere al sindacato dei giocatori di supportarlo per riavere i suoi soldi) o sarà stato per l’atteggiamento conciliante tenuto da Durant sul parquet, ma l’ambiente dopo la partita era positivo. Certo, KD ha risposto male a un giornalista che ha provato a tornare sul suo rapporto con Green (“Non chiedermelo un’altra volta” sono state le parole del due volte MVP dopo qualche secondo di minaccioso silenzio), ma per il resto tutti sembravano pronti a lasciarsi quanto successo alle spalle.
Paradossalmente, aver passato tutto l’ultimo quarto di garbage time ha permesso a Steph Curry di tirare fuori tutto il suo savoir-faire nel gestire gli ego dei suoi compagni. Piazzato in mezzo tra Green, Durant e DeMarcus Cousins, il numero 30 ha coinvolto gli altri in una serie di battute, scherzi e risate che hanno rasserenato gli animi, almeno per qualche momento e – soprattutto – almeno in pubblico. Facendosi bonariamente prendere in giro dagli altri, Curry ha cominciato a rimettere assieme i cocci di quanto successo a L.A., come peraltro aveva già cominciato a fare nei giorni scorsi andando personalmente a casa di Green per sentire la sua versione dei fatti.
Anche coach Kerr dopo la partita ha sottolineato come, al di là del risultato e della pessima prestazione, ci siano cose da apprezzare. Ad esempio, proprio Draymond Green: “Potrà non aver avuto la sua miglior serata, anzi ha giocato proprio male” ha detto l’allenatore. “Ma mi è piaciuto il suo approccio: è stato genuino là fuori e si è dato da fare. Non gli riusciva niente, ma mi piace l’atteggiamento. Ora il resto della squadra deve risollevare il proprio umore e tornare in carreggiata, superando questo momento difficile. Stasera si vedeva chiaramente che non eravamo noi, che non c’eravamo di testa. Ma dobbiamo ricordarci quanto sia difficile vincere nella NBA”.
Green chiude la questione: “Sappiamo che vinceremo un altro titolo”
Aiuta il fatto che lo stesso Green abbia ammesso la sua serata terribile da zero punti, 5 rimbalzi, 5 assist e 5 palle perse in 24 minuti, con lo zero che rappresenta il minimo in carriera con così tanto tempo passato in campo. “Sono stato orribile, non riuscivo a fare nulla di quello che solitamente mi riesce” ha ammesso il difensore dell’anno 2017. “Stasera proprio non ne avevo: riuscivo a vedere cosa dovevo fare, ma non riuscivo a mandare il pallone dove volevo”. Green è anche alle prese con un piede che gli dà fastidio, tenendolo sotto un limite prefissato di minuti: “La situazione è ok, non perfetta. Non mi piace rimanere fuori quando posso giocare, perciò scendo in campo. Ha senso mettere un limite ai miei minuti: dopo averne giocati 42 contro i Clippers, il giorno dopo mi faceva piuttosto male. Grazie a Dio sono stato sospeso…” ha detto con una considerevole dose di ironia. “Ma va bene così: succede di giocare male. Se quelle emozioni di martedì sera hanno causato questa sconfitta, me ne prendo la colpa. Ma non ci stiamo facendo prendere dal panico: sappiamo che siamo la squadra più forte della lega e che vinceremo tante altre partite. Soprattutto, sappiamo che vinceremo un altro titolo e tutto si risolverà per il meglio”.
Alla fine dei conti, questa sembra l’unica cosa che conta: lasciare tutto da parte alla ricerca di un anello che vuol dire three-peat, un risultato ottenuto solo altre cinque volte nella storia della NBA. Se poi a fine anno le strade dei vari protagonisti di questa storia – Green, Durant, Kerr, Curry, Thompson e tutti gli altri membri dei Golden State Warriors – si separeranno, saranno comunque stati anni di grande successo. Anche se non ci si sopporta più.