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NBA, LeBron James torna a Cleveland da ex: cosa succederà questa volta?

NBA

Nessuna lo sa, ma di certo l’ambiente sarà molto meno ostile di otto anni fa: di mezzo c’è stata la pace fatta, quattro anni fantastici, tante iniziative fatte per la comunità e soprattutto un titolo NBA. Tutte cose che i tifosi dell’Ohio non hanno dimenticato

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Il primo giro di trasferte a Est nella stagione dei nuovi Los Angeles Lakers targati LeBron James si conclude con una tappa molto particolare, certamente la più sentita per il n°23 giallo-viola. Dopo essere passato da Miami lasciando il segno (51 punti e uno strapotere difficilmente spiegabile vista l’età), LeBron scenderà sul parquet della Quicken Loans Arena per la prima volta in carriera con la maglia dei Lakers; chiamato a vestire i panni dell’avversario nella casa che per quattro anni era tornata a osannarlo come un re non solo per rendere omaggio al suo soprannome. James manca in maniera disperata a un gruppo che senza di lui è stato subito risucchiato in una spirale di sconfitte e polemiche: il suo amico Tyronn Lue è durato sei partite in panchina, JR Smith ormai viene pagato pur di restare a casa lontano dal resto del roster, mentre in campo continuano ad arrivare soltanto sconfitte. Un domino in cui tutte le tessere sono cadute non appena James ha deciso che era tempo di cambiare aria: una scelta vissuta dall’ambiente in maniera completamente diversa rispetto a otto anni fa, quando la partenza direzione Miami fu letta come un gesto di sfida verso tutti. L’ambiente non sarà certamente così ostile, ma in molti continuano a domandarsi: “Come reagirà il pubblico di Cleveland quando ascolterà per l’unica volta in questa stagione lo speaker annunciare ‘From St. Vincent-St. Mary High School…’”? “Se lo fischieranno, vuol dire che sono dei cog***ni”, commenta senza misure George Hill, che sottolinea il peso di LeBron per tutta la comunità di Cleveland. “Lui rappresenta troppo cose per questa città e per questa franchigia”, ricordando come anche i Cavaliers hanno preparato un video tributo per ricordare i suoi 11 anni trascorsi in Ohio, con la speranza che il pubblico applauda e metta in risalto quel momento.

Larry Nance Jr. non è pentito della sua scelta

Essere in campo e godersi da protagonisti un’atmosfera così carica di emozioni è un privilegio che va oltre il poter disputare la semplice partita. Larry Nance Jr. in questo caso potrà dunque fare il confronto rispetto a quanto successe otto anni fa. Tutti i giocatori sul parquet sono cambiati, ma lui quel 2 dicembre 2010 era sugli spalti; nel ruolo del promettente figlio di un ex-All Star dei Cavaliers e uno dei pochissimi seduti in tribuna rimasti impassibili ai fischi e alle urla della tifosi. La loro era una posizione privilegia, che richiedeva un minimo di decoro nonostante la situazione fosse molto particolare. Nance Jr. inoltre al tempo era un giocatore dell’high school, uno dei tantissimi ragazzi che sognavano un giorno di condividere il parquet con un campione come James: “Mi chiedi se sono pentito di essere venuto a Cleveland? Assolutamente no. Dovunque mi giri c’è qualcuno che mi domanda “Non ti manca LeBron?” o “Non avresti preferito restare ai Lakers, adesso saresti con lui”. Ma quella non è una mia prerogativa, sono felice di essere qui e di avere un lungo contratto con i Cavaliers. Questa è la mia casa: posso gestire le difficoltà proprio perché sono una persona felice in questa città e questo ambiente”.

Il ricordo della partita di otto anni fa: "Mai vista un'atmosfera simile"

Una partita rimasta a suo modo nella storia della NBA quella del 2 dicembre 2010: “Durante l’introduzione c’è stata una delle reazioni più cariche d’odio che abbia mai visto”, racconta David Griffin, a lungo GM dei Cavaliers. “Ero arrivato in città a settembre 2010, due mesi dopo che LeBron era andato via. L’atmosfera era elettrica già settimane prima del suo ritorno: l’unica cosa che mi chiedeva la gente era quella di distruggerlo”. La lunga sequenza di cartelli che riempiva gli spalti urlava la rabbia di un popolo tradito: “Testimoni senza titoli”, “Akron ti odia”, “Il Re senza anelli”, “Traditore”, “L’11 luglio hai perso i tuoi talenti a South Beach”, con quattro tifosi cacciati dall’arena già prima dell’inizio della gara e un arrestato. “Si poteva sentire la folla, e ancora non avevo messo piede dentro il palazzo”, racconta coach Spoelstra. “Ero a 100 metri di distanza, c’era un’atmosfera al vetriolo e un’intensità nella rabbia che raramente si vede”. Diversi cronisti, con anni di carriera alle spalle, si sono uniti in un coro unanime: “Non è mai successa una cosa del genere. Una totale perdita di decenza che di solito viene mantenuta in un posto pubblico”. Alla fine LeBron rispose sul parquet segnando 38 punti, 24 dei quali nel terzo periodo che portano gli Heat anche sul +30. Una vittoria facile: l’inizio della cavalcata di Miami e al tempo stesso la sconfitta che diede il là alla tragica stagione di quella versione dei Cavaliers (dopo quella partita Cleveland perse 35 delle successive 36 gare). Un punto di svolta in tutti i sensi, proprio come la gara di questa notte contro i Lakers. In fondo, quando LeBron torna a Cleveland da ex non sarà mai una partita come le altre.