Il capitano degli Heat è il protagonista assoluto di una serata indimenticabile per lui e per tutti i suoi tifosi: l'ultima gara all'American Airlines Arena con Miami, la cerimonia prima della palla a due, i messaggi da parte di amici e compagni e un'ultima vittoria dal sapore agrodolce
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Difficile isolare un momento, fare una scaletta delle emozioni, una classifica dei passaggi più significativi di una cerimonia che resterà nel cuore di tutti gli appassionati NBA. A prescindere dal tifo e dall’appartenenza. Uno dei più grandi giocatori della storia della Lega infatti dice addio alla sua città, alla sua gente e lo fa salutando da re, occupando di forza il parquet prima della palla a due. Lui in mezzo al campo, le luci basse, i flash degli smartphone a fare da coreografia: tutti a testa in su, verso lo schermo che per tre minuti manda in loop le prodezze che a Miami si erano abituati a vedere per ben 14 anni e mezzo – 16 di carriera, considerando le brevi parentesi a Cleveland e Chicago. “Ragazzi, volete farmi piangere già prima di iniziare a giocare questa partita”, commenta Wade dopo il video tributo in cui sono intervenuti sia persone della sua famiglia che altre figure leggendarie e fondamentali per la sua carriera. “Sono grato per questi momenti, devo ringraziarvi per questa magnifica ultima stagione. Vi amo”. Al suo fianco il figlio Zaire – protagonista a suo modo della serata in vari passaggi, anche quando ha riproposto un famoso video di suo padre, imitando le sue movenze, le sue giocate e i suoi canestri in un immaginario passaggio di consegne – mentre papà Wade ha continuato a salutare i compagni di squadra (anche quelli andati via nel mercato di febbraio o rimasti in gruppo soltanto poche partite): “Vi ringrazio per avermi accompagnato in questo ultimo grande ballo, per la vostra pazienza nei miei confronti. Per tutto l’amore che avete dimostrato, per essere stati sempre al mio fianco. Tra di voi ci sono tanti miei fratelli che per me lo resteranno per tutta la vita”. Quelli che hanno giustamente fatto spazio in quintetto al n°3, alla prima da titolare in una stagione che resterà per sempre nel suo cuore.
Il canestro iniziale, la caduta alla fine e i 30 punti che non bastano
A dimostrare la sua voglia di aggredire la partita, basta guardare al primo possesso. Una volta alzate le luci, le nove comparse entrano sul parquet al suo fianco, mentre il pubblico continua a osannare il n°3 che corre all’impazzata da una parte all’altra del parquet. Abbraccia tutti e poi come una molla torna nella sua metà campo mentre sale la palla a due. Il tempo di catturarla, di andare in attacco e dopo 13 secondi arriva già il primo canestro. Tutto perfetto, come un primo quarto da otto punti e una gara da 30 totali. Philadelphia recita il ruolo di comparsa, non disturba più di tanto, sprofonda oltre la doppia cifra di vantaggio dopo dieci minuti e non torna più a galla, mentre gli Heat si prendono un successo tanto bello quanto inutile. Detroit infatti nel frattempo fa il suo, batte Memphis e condanna così Miami a restare fuori dai playoff – dieci giorni fa sembrava fatta – confermando così che non ci saranno altre partite per Wade all’American Airlines Arena. Durante i timeout sullo schermo passano dei video di saluto per il n°3, tra cui anche quello di Barack Obama – che sottolinea come Wade ben rappresenti l’orgoglio della sua Chicago (“Ogni volta che sei caduto ci hai fatto capire come fare per rialzarsi”). C’è spazio dieci minuti anche per Udonis Haslem, uno dei tre protagonisti dell’ultimo grande atto della serata: il saluto da parte sua, di Gabrielle Union e Pat Riley. Le persone più importanti della sua vita. “Abbiamo riso, abbiamo pianto e cantato il tuo nome per anni”, ricorda sua moglie, prima che il presidente degli Heat sottolinei: “Questa città resterà per sempre la tua”. Quella a cui dedicare un’ultima corsa, un ultimo salto sul tavolo a bordocampo per salutare il pubblico. Il primo tentativo va a vuoto – "È abbastanza tragico come momento, fatemi riprovare"; un video che è già diventato virale – il modo migliore per rendere più umano un giocatore già nella leggenda.