A lungo considerate le franchigie minori delle due principali metropoli USA, per Nets e Clippers la free agency 2019 segna il momento della grande rivincita e il coronamento di un sorpasso su Knicks e Lakers iniziato diversi anni fa, che ai risultati sul campo associa un cambiamento nella percezione ancora più importante
KAWHI LEONARD AI CLIPPERS CON PAUL GEORGE
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I LAKERS SI CONSOLANO CON DANNY GREEN, CALDWELL-POPE E MCGEE
A lungo sono stati una nota a pie’ di pagina, i cugini poveri di quelle che invece sono, da sempre, le due città più ricche di glamour di tutti gli Stati Uniti. Una per costa, New York a est, Los Angeles a Ovest, due metropoli che – tradotte in termini NBA – sono sempre state sinonimo di Knicks e Lakers, due franchigie che a inizio anni ’70 si sono contese per diversi anni il titolo NBA sul parquet e che oggi continuano a contendersi quello di franchigie più ricche fuori dal campo nell’annuale classifica di Forbes. L’estate 2019 passerà invece alla storia come quella che ha definitivamente ribaltato gli equilibri di forza cittadini. Non più poveri – ma ricchi e ambiziosi – Nets e Clippers escono da questa free agency come le franchigie trionfatrici, i primi capaci di mettere sotto contratto Kevin Durant e Kyrie Irving, i secondi freschi dell’accordo raggiunto non solo con Kawhi Leonard ma anche con Paul George. Un ribaltamento negli equilibri di potere addirittura storico, mai vista prima: fino al 2012 i Nets neppure potevano vantare una vera appartenenza newyorchese, relegati ai margini (poco attraenti) del New Jersey, quello “stato giardino” che alle Meadowlands – la zona che ospitava il campo di gioco della squadra – più che a un giardino assomigliava a una vera e propria palude. I tentativi di proporsi come la seconda squadra di New York (o almeno dell’area newyorchese) non mancavano, ma quell’Hudson tunnel che separa e allo stesso tempo unisce il New Jersey a Gotham City sembrava molto, molto più lungo di quei due chilometri e mezzo necessari a percorrerlo. Situazione analoga quella dei Clippers, che a Los Angeles sbarcano soltanto nel 1984, provenienti dalle spiagge assolate di San Diego, mossi dalla complicata ambizione di rivaleggiare con i Lakers, che in quegli anni vincevano tutto con Magic Johnson e Kareem Abdul-Jabbar alla guida della squadra. Anche quando negli anni i Nets prima (nel biennio 2001-02 e 2002-03, con la squadra guidata da Jason Kidd capace di centrare due finali NBA consecutive) e i Clippers poi (approfittando del periodo più negativo della storia dei Lakers, quello attuale, con i gialloviola giunti al sesto anno consecutivo di astinenza dai playoff) sono effettivamente state le squadre più forti di New York e Los Angeles, un certo complesso di inferiorità non ha mai abbandonato le due franchigie che però ciascuna a modo proprio sono riuscite negli ultimi anni a ribaltare i rapporti di forza ma soprattutto a cambiare drasticamente la loro percezione tanto nei confronti dei giocatori NBA che di tutti gli addetti ai lavori attorno alla lega.
La storia di una metamorfosi recente
Se si vuole individuare una data unica che fotografi il cambiamento in questa percezione può essere individuata grossolanamente attorno al 2014. Un solo anno prima, al via della stagione 2012-13, i Nets debuttano a Brooklyn, diventando ufficialmente cittadini newyorchesi. Lo fanno sulla spinta del loro nuovo proprietario multimilionario, il russo Mikhail Prokhorov, che sfida apertamente i Knicks, a suon di billboard pubblicitari affissi davanti al Madison Square Garden e colpi di mercato (arrivano Paul Pierce, Kevin Garnett, Joe Johnson). Prokhorov spende e spande, la famosa trade per assicurarsi i due ex Celtics si rivela un disastro che ipoteca il futuro della franchigia, ma intanto i Nets nel 2014 si giocano una semifinale di conference a Est che mancava dal 2007, e che li mette sulla mappa NBA. In quell’estate del 2014, sull’altra costa, scoppia intanto lo scandalo Donald Sterling, il proprietario dei Clippers i cui commenti razzisti sono intercettati al telefono. La NBA interviene inflessibile, squalifica Sterling, lo allontana a vita dalla lega e lo costringe a vendere: per la cifra record di 2 miliardi di dollari passa all’acquisto Steve Ballmer, ovvero l’ex CEO di Microsoft, uno degli uomini più ricchi d’America e del mondo. Il successo non arriva subito, né da una parte né dall’altra, ma i primi passi nella giusta direzione sono stati mossi: i Nets devono ritoccare il fondo un’ultima volta prima di risalire, e lo fanno con un front office completamente nuovo (capitanato dall’ex Spurs Sean Marks come general manager), con la nomina di Kenny Atkinson in panchina e la costruzione di un nuovissimo centro di allenamento nel cuore creativo di Brooklyn che diventa l’invidia di tutta la NBA. I Clippers invece attorno all’asse Ballmer-Doc Rivers, allenatore bravo tanto dal punto di vista tecnico quanto da quello comunicativo, costruiscono a loro volta un front office di primissimo livello, che ha in Lawrence Frank un pezzo importante ma soprattutto in Jerry West (strappato ai Golden State Warriors) il grande saggio, il guru dal valore inestimabile ascoltatissimo da tutte le superstar della lega.
Parlano i risultati
Le firme messe a segno nell’ultima settimana – prima l’accoppiata Kevin Durant-Kyrie Irving che snobba i Knicks per firmare con i Nets, poi la scelta di Kawhi Leonard di convincere Paul George a seguirlo ai Clippers, e non ai Lakers – non fanno che certificare quello che da più parti ormai era evidente, ovvero il sorpasso delle due franchigie storicamente figlie di un dio minore nei confronti delle due società super storiche, dal blasone e dalla tradizione superiore. Certo, la situazione attuale dei Knicks (tragica) non può paragonarsi a quella dei Lakers (che con LeBron James e ora anche Anthony Davis hanno comunque a roster due tra i primi 10 giocatori NBA), ma lo smacco subìto da bluarancio e gialloviola fa comunque male. Figlio, anche, dei loro risultati in campo (i Knicks titolari del peggior record NBA nell’ultima stagione, i Lakers fuori dai playoff) e di quelli opposti di Nets e Clippers, entrambi capaci di centrare sorprendentemente la postseason già lo scorso anno e ora bravissime nel costruire su un gruppo di giocatori già competitivi, impreziosendolo con le superstar più ambite di questa free agency.