"Il nostro sistema offensivo funzionava fino a un certo punto: poi era necessario affidarsi al talento individuale", l'opinione di Durant: "Funziona così, da sempre, anche nei Bulls di Michael Jordan", la replica del suo ex allenatore
LE PAROLE DI KEVIN DURANT AL WALL STREET JOURNAL
Magic Johnson le ha prese molto male. Steph Curry sicuramente meglio. Le dichiarazioni rilasciate da Kevin Durant al Wall Street Journal sul suo triennio agli Warriors continuano a generare reazioni diverse in giro per la lega, e l’ultimo a commentarle è il suo ex allenatore a Golden State Steve Kerr. Al tecnico dei californiani non è stato chiesto di esprimersi sulla presunta felicità (o meno) dell’attuale superstar dei Nets, quanto invece di commentare l’opinione espressa dallo stesso Durant sulla motion offense degli Warriors, un sistema offensivo – a sentire il giocatore – “che funziona soltanto fino a un certo punto. Potevamo farci totale affidamento per i primi due turni di playoff ma nei successivi due [finali di conference e finali NBA, ndr] dovevamo integrarlo con le giocate individuali. Dovevamo confondere le idee degli avversari, perché le difese a quel livello sono più intelligenti. Per questo – continua Durant – a un certo punto dovevo mettermi in proprio, cercare nel mio repertorio alcune giocate dal palleggio o sui pick and roll in modo da creare attacco e punti per me”. “Sostanzialmente quello che ha detto Kevin è la verità – la replica assolutamente onesta del suo ex allenatore – per cui le sue parole non mi hanno offeso per nulla”. E Kerr spiega: “Se si guarda a qualsiasi sistema offensivo è sempre così – e io ho giocato all’interno del triangolo offensivo con Michael Jordan. L’attacco funziona sempre meglio durante la stagione regolare e nei primi turni di playoff, piuttosto che in finale di conference o in finale NBA. È vero. Ed è proprio questo il motivo per cui campioni come Michael Jordan, Kevin Durant e Kobe Bryant sono quelli che sono, perché possono superare ogni difesa. Il ruolo delle difese quando i playoff vanno verso la fine, combinato alla fisicità del gioco (e al fatto che gli arbitri potrebbero fischiare sostanzialmente a ogni contatto), fa sì che siano proprio le superstar a dover prendere in mano la partita in questi contesti. Nessun sistema offensivo sa fare a pezzi la difesa di una squadra da finale NBA, sei costretto ad affidarti alle giocate individuali. Per questo le parole di Kevin non mi sembrano offensive: perché sono vere”.
Kerr: “Gli Warriors 2016-17 hanno espresso il basket migliore”
L’allenatore degli Warriors due volte campioni NBA nel triennio 2016-2019, quello con Kevin Durant in squadra, individua poi nell’edizione 2016-17 degli Warriors – la prima con l’ex stella dei Thunder – quella capace di esprimere la pallacanestro migliore: “Il nostro apice è stato in quel primo anno. Abbiamo sempre avuto grandissimi attacchi ma quella stagione la combinazione di movimento di palla e giocatori, di giocate di flusso e di brillanti soluzioni in uno-contro-uno è stato il massimo. Quell’anno abbiamo raggiunto il picco del nostro gioco offensivo, idealmente è ciò che ogni allenatore sogna. Vuoi poter contare su un sistema organizzato al cui interno i giocatori possano sentirsi a proprio agio nell’esprimere il loro basket. E poi vuoi avere un paio di superstar capaci di battere qualsiasi difesa quando l’attacco non riesce a costruirsi un tiro. Le squadre da titolo per me sono queste”, conclude Kerr. Che ora, senza più Durant e in attesa del ritorno di Klay Thompson, è chiamato a chiedere ai vari Steph Curry e D’Angelo Russell di essere quel tipo di campioni capaci di mettersi in proprio e trascinare la squadra nei momenti più difficili.