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NBA, l’autografo di Michael Jordan rifiutato da Jalen Brunson a 6 anni

l'aneddoto
©Getty

Non tutti restano incantati dal fascino del più grande giocatore di sempre, almeno fino a quando non si rendono conto della sua importanza. È quanto successo a Jalen Brunson, figlio d’arte che nel 2003 disse no a MJ: “Così mi rovini la maglia”

Avesse visto “The Last Dance” con 17 anni d’anticipo, certamente Jalen Brunson avrebbe modificato l’approccio e l'atteggiamento nell’unica occasione della sua vita in cui si è ritrovato di fronte a Michael Jordan. Era il 1 marzo 2003, con MJ impegnato sul parquet con gli Wizards in quella che sarebbe stata - per davvero - la sua ultima stagione da professionista. Rick Brunson, il papà di Jalen, all’epoca era un giocatore dei Chicago Bulls - arrivati a Washington per sfidare l’ex stella della squadra dell’Illinois. Grazie all’intercessione di Patrick Ewing - ex compagno di Rick ai Knicks e in quel momento assistente allenatore agli Wizards - Jalen riuscì a fare capolino nello spogliatoio, arrivando fino a Jordan e indossando la sua nuova scintillante maglia n°23 di Washington che tutti vestivano in quella stagione. A quel punto fu lo stesso MJ a proporsi, a chiedere al piccolo Brunson che allora aveva 6 anni se avesse voluto un autografo, ma la sua risposta fu: “No, altrimenti me la rovini”. Tutti i compagni di squadra di MJ scoppiarono a ridere - lui compreso - mentre Ewing si lanciò su di loro, portandoli fuori dallo spogliatoio chiedendo spiegazioni per quella frase. “Cosa diavolo è successo?”, il più importante giocatore nella storia della pallacanestro si era visto dire di no da un bambino per colpa sua. Come cercò di spiegare papà Rick, il discorso era molto più semplice: “Non si rendeva conto dell’importanza del suo interlocutore. Fece solo una smorfia di rifiuto, ritenendo di maggior valore la sua maglia nuova. In sostanza ha guardato MJ pensando: “Ma chi sei esattamente?”. Una risposta a cui subito dopo avrebbe saputo dare una risposta, ma che tuttavia non gli ha più permesso di avere l’autografo sulla maglia. Ottenendo al massimo una storia da raccontare. "Io sono quello che ha detto no a Michael Jordan...", rischiando però di fare un'ulteriore figuraccia.