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NBA: Nikola Jokic è guarito e torna negli USA, ma il suo contagio in Serbia non è un caso

coronavirus
©Getty

Il centro dei Denver Nuggets nei prossimi giorni raggiungerà la Florida e, dopo altri controlli e tamponi, entrerà nella bolla NBA organizzata a Disney World. La sua positività è stata l'ennesimo segnale dall'allerta rispetto a quanto sta succedendo in Serbia: una situazione paradossale, con contagi tenuti nascosti e proteste di piazza a seguito delle elezioni

CORONAVIRUS, GLI AGGIORNAMENTI IN DIRETTA

Partiamo dalla fine: Nikola Jokic tornerà tra qualche giorno negli Stati Uniti, stando a quanto raccontato ai giornalisti da Mike Malone, che ha rassicurato tutti riguardo la completa guarigione del lungo serbo. Dopo l’apparizione pubblica e gli scatti di inizio giugno che lo ritraevano in forma smagliante, la notizia della sua positività al Covid-19 ha preoccupato non poco i Nuggets - convinti di poter dire la loro nelle prossime settimane nell’inseguimento ai playoff e poi al titolo che verrà assegnato a Orlando. A Denver nel frattempo la franchigia è stata costretta a chiudere il campo d’allenamento a causa del crescente numero di contagiati in squadra, mentre Jokic è rimasto bloccato per qualche settimana in Serbia, in attesa di ottenere il doppio risultato negativo al tampone che gli avrebbe poi permesso di imbarcarsi e partire per gli Stati Uniti. L’ufficialità del suo contagio è arrivata a poche ore di distanza dal comunicato che rendeva nota la positività di Novak Djokovic: il numero 1 al mondo di tennis ha partecipato all’Adria Tour, contravvenendo a tutte le più elementari regole di distanziamento sociale durante la tappa di Zara (il tennista n°1 al mondo è stato immortalato anche in discoteca, mentre ballava a stretto contatto con decine di persone e con gli altri partecipanti al torneo). Una situazione paradossale, un occhio del ciclone dal quale Djokovic è stato risucchiato nel giro di poche ore - passato dal professarsi convinto no-vax al dover chiedere scusa perché a causa dei suoi comportamenti irresponsabili il contagio ha colpito anche sua moglie ed evitato per puro caso i suoi figli. La storia di Djokovic e quella meno rumorosa di Jokic hanno un denominatore comune: la Serbia e il clima di falsificazione e contraddizione nelle dichiarazioni pubbliche che sta vivendo lo stato balcanico in questi ultimi mesi. Una storia affascinante, esemplare per capire quanto possa pesare la propaganda, influendo sulla vita delle persone.

Le elezioni del 21 giugno e la vittoria schiacciante di Vucic

In Serbia lo stato d’emergenza a causa della pandemia da Covid-19 è stato proclamato lo scorso 15 marzo, una settimana dopo l’Italia e in contemporanea con la quasi totalità dei paesi europei - ritirato poi il 6 maggio, quando la nazione ha riaperto in maniera frettolosa e immotivata attività e luoghi di aggregazione. La gente è tornata a seguire gli eventi sportivi ammassandosi sulle gradinate, a riempire i bar e le discoteche senza tenere conto della distanza interpersonale. Perché? Questione elettorale. Il presidente Aleksandar Vucic infatti ha optato inizialmente per lo stato d’emergenza proprio per  posticipare le elezioni previste per il 26 aprile. Una volta riaperto però non poteva permettersi di aspettare che le ripercussioni della pandemia da Covid-19 si facessero più pesanti e complicate da gestire sotto l’aspetto sanitario ed economico. Meglio organizzare subito le elezioni, spinto dal traino di una propaganda che traeva forza dall’aver vinto la battaglia contro il coronavirus. Il risultato della tornata elettorale del 21 giugno è stato plebiscitario: il partito progressista serbo (SNS) guidato dal presidente Vucic ha conquistato la maggioranza di due terzi del parlamento - circa 190 seggi su 250 complessivi. Un predominio politico finito sotto l’attento controllo da parte degli osservatori internazionali, che già in passato ritenevano tutt’altro che stabile o solida la democrazia serba. Durante la campagna elettorale si sono tenuti decine di eventi pubblici, di incontri e anche una partita di calcio allo stadio di Belgrado con 16mila tifosi presenti sugli spalti (e anche l’Adria Tour di tennis a cui ha preso parte Djokovic ha contribuito a questo genere di propaganda). Il Covid-19 in Serbia ha smesso di essere un problema per qualche settimana, almeno fino al giorno successivo alle elezioni.

I numeri modificati, i contagi tenuti nascosti e l’esplosione delle proteste

Dal 22 giugno infatti è iniziato un lungo tira e molla riguardo i dati del contagio, il numero esatto delle vittime e dei ricoverati in ospedale. Il portale di giornalismo investigativo BIRN ha denunciato come in Serbia il numero dei contagiati e dei morti fosse nettamente superiore rispetto a quello riferito dall’Unità di crisi nelle settimane precedenti. Erano state accertati 632 decessi nel giro due mesi e mezzo, a fronte dei 244 comunicati. Nella settimana precedente alle elezioni, i nuovi contagiati si aggiravano tra i 300 e i 340 al giorno; cifra ben superiore ai 97 comunicati. Nei giorni precedenti al 21 giugno veniva comunicato un solo decesso al giorno, dopo invece quel dato è tornato a salire e a superare le 20 unità. Il premier Ana Brnabic ha cercato di spiegare a modo suo la divergenza tra i dati, dovuta a detta sua soltanto a una questione logica: "Facciamo un esempio pratico: ho i sintomi, vado in un ambulatorio Covid, mi fanno il tampone e risulto positiva. A un certo punto presento complicazion e decidono di mandarmi alla clinica di malattie infettive e, mentre mi sto dirigendo in un altro ospedale, vengo investita da un autobus. Pensate che io debba essere registrata come morta per coronavirus? E di casi come questo chissà quanti ce ne sono…”. A prescindere dal numero di incidenti stradali e dalla pericolosità degli incroci, molti cittadini a Belgrado non hanno creduto a questa versione, manifestando per le strade della capitale e affrontando più volte la polizia che sta reprimendo con la forza da giorni ogni accenno di dissenso. Una vera e propria polveriera, all’interno della quale il presidente Vucic ha chiesto di rispettare nuovamente una sorta di lockdown - contro cui le persone non stanno protestando in valore assoluto, come erroneamente evidenziato da tanti titoli di giornale sbagliati e approssimativi. Dopo le elezione, il governo serbo non ha più bisogno di sottovalutare il contagio. Adesso c'è soltanto da tenere a bada la protesta poco raccontata di un popolo che si sente raggirato.