Tokyo 2020, Tamberi oro nel salto in alto in ex aequo con Barshim
tokyo 2020Capolavoro di Gianmarco Tamberi che ha conquistato uno storico oro nella finale del salto in alto a Tokyo 2020. Per l'azzurro vittoria in ex aequo con il qatariota Barshim. I due hanno concluso la gara a 2.37 con lo stesso numero di errori complessivi e di fronte al giudice di gara hanno optato per il pari merito. La realizzazione di una 'magnifica ossessione'
16 luglio 2016, al secondo piano sotterraneo del Policlinico San Matteo di Pavia c’è un campione che appena 16 ore prima era in pedana allo Stadio Louis II del Principato di Monaco, aveva stabilito il record italiano di 2.39 ma non si era accontentato, stava provando l’assalto ai 2.41 quando la gamba ha fatto crack. Si apre la porta del Reparto Radiologia e Radiognostica, c’è l’esito della lastra: lesione legamento deltoideo della caviglia sinistra, non puoi andare alle Olimpiadi di Rio. In questo momento non c’è più un atleta ma un ragazzo di 24 anni a cui il destino ha rubato un sogno. Si dispera, le sue urla sono strazianti, una botta allo stomaco per tutti i presenti. Quella di Gianmarco Tamberi è una odissea durata cinque lunghi anni, fin da quando ha iniziato la riabilitazione e ha conservato come una reliquia il gesso con la scritta “Road to Tokyo”, un mantra che si è tatuato nell’anima. Sono stati anni di sacrifici, di lacrime, di dubbi, di discese ardite e di lente risalite. Nel 2017 si ripresenta al Meeting di Parigi ma non riesce ad andare oltre 2.20, si sente impotente, frustrato, torna in albergo e si chiude in camera. Toc toc. Lasciatemi in pace. Toc toc. Voglio restare da solo. Toc toc e ancora toc toc. “Gimbo, per favore apri. Sono Mutaz, voglio parlarti”. E’ Barshim, forse il più forte saltatore della storia. Strana razza gli atleti che cercano di oltrepassare un’asticella, come nell’alto o nell’asta , sono rivali ma sono soprattutto amici, quasi una famiglia itinerante, hanno una loro chat su WhatsApp per tenersi in contatto o spronarsi. Barshim consiglia Gimbo, non avere fretta, prenditi il tuo tempo, salta per te stesso. I ruoli si invertono quando il campione del Qatar si infortuna nel 2018, anche per lui la rottura della caviglia. Stesso infortunio, stesso tormento, e questa volta tocca a Gianmarco fare le veci di Mutaz. Una reciproca vicinanza fatta di parole, sorrisi, pacche sulle spalle e confidenze di sogni: pensa se salissimo insieme sul podio olimpico a Tokyo. Dalla speranza alla realtà, e sono brividi veri. Ecco cosa significa quello sguardo di complicità tra Tamberi e Barshim quando il giudice di gara si avvicina per informarli del regolamento, è l’unico uomo sulla terra a dover decidere se far disputare lo spareggio tra due atleti in perfetta parità, saliti in orbita a 2.37 metri dopo un percorso netto, senza errori. E’ tardi, si sta gareggiando da oltre due ore, tra poco deve pure partire la finale dei 100 metri, il giudice tergiversa ma capisce che non ha nemmeno bisogno di scegliere, hanno già deciso loro, Gimbo e Mutaz. Di salire insieme sul gradino più alto del podio, entrambi da campioni olimpici. L’oro ex-aequo più magico e commovente della storia dei Giochi, in un giorno che diventa leggenda per lo sport italiano con l’aggiunta dell’impresa di Marcell Jacobs nei 100 metri.
Una magnifica ossessione
Una notte di abbracci e tante lacrime. La magnifica ossessione di Tamberi diventa la certezza del titolo olimpico che rincorreva da 9 anni, perché dobbiamo andare indietro a Londra 2012 quando non riuscì nemmeno a superare il turno di qualificazione. Sarebbe pure scontato recitare la filastrocca del bisogna-crederci-bisogna-volerlo e blablabla. No, in questi cinque anni non c’è stato nulla di scontato. Gimbo ha messo il suo sport davanti ad ogni cosa, pure davanti alla fidanzata Chiara che pazientemente lo ha sempre supportato e sopportato. Perché Tamberi sa essere terribilmente complicato anche nel sopportare sé stesso, quando pensa e ripensa alla rincorsa in pedana che non gli entra, quando discute con Marco che per metà giornata è il suo allenatore e l’altra metà suo padre, quando si sveglia nel cuore della notte con un incubo, quando si autoaccusa di fare schifo, quando combatte i fantasmi mentali che gli impediscono di tornare a superare il muro dei 2.30, quando si impone una dieta rigidissima -lui che è golosissimo- per poter essere più leggero nel volare. Spesso non è stato nemmeno compreso, in molti hanno storto il naso di fronte all’estrosità del marchigiano, quante critiche gli ha riservato la scelta dell’halfshave la mezza-barba sfoggiata in gara come gesto scaramantico, lo hanno accusato di essere un ragazzo montato con una esuberanza costruita a tavolino per fare show. Quando invece Gimbo nella vita reale è proprio così, travolgente, sempre con mille idee in testa, istintivo, spontaneo. E sensibile, fin troppo. Nel settembre 2016, spettatore davanti alla tv delle Paralimpiadi, vede Alex Zanardi conquistare a Rio l’oro nella cronometro: “Lo voglio dedicare a Gimbo Tamberi. Tieni duro, alla prossima Olimpiade tiferemo per te”. Gianmarco resta impietrito, ma come? Ma lui è un mito, io non lo conosco nemmeno di persona, e lui dedica questo suo oro a me? Avranno modo di conoscersi, Gimbo e Alex, in un incontro organizzato ad Amatrice, chiamati ad inaugurare insieme una scuola post terremoto, il senso della vita nel ricostruire e ricostruirsi. Il nuovo Tamberi si è ricostruito lentamente, tassello dopo tassello, un nuovo mosaico che non ha più bisogno nemmeno di sovrastrutture o superstizioni. A Tokyo si presenta in pedana al naturale anche nel colore dei capelli. Perché all’appuntamento con il destino si vuole presentare semplicemente per com’è. Piacere, sono Gimbo e sono il nuovo campione olimpico del salto in alto.