Parla il coach che in due anni ha riportato lo svizzero al numero 1 del mondo e a tre trionfi negli Slam: "Bisogna ascoltare i giocatori e cercare di migliorarli negli aspetti del gioco dove rendono meno. I risultati sono fondamentali per ottenere fiducia e rispetto"
Roger Federer si sta preparando per il suo terzo torneo ufficiale del 2018, il Masters 1000 di Indian Wells, in programma sul cemento californiano a partire dal prossimo 8 marzo (diretta esclusiva Sky Sport HD). Dopo il trionfo a Melbourne, che gli è valso il 20° Slam della carriera e la cavalcata trionfale a Rotterdam, che l'ha riportato dopo oltre cinque anni al numero 1 del ranking ATP, lo svizzero non vuole certo fermarsi. A tenere alta l'attenzione del Maestro ci pensa, da un paio di stagioni, Ivan Ljubicic, 38 anni ed ex 3 del mondo, 10 titoli in carriera tra cui spicca il trionfo a Indian Wells nel 2010, quando battè Novak Djokovic, Rafael Nadal e Andy Roddick. Il croato ha affiancato da inizio 2016 lo storico coach di Federer, Severin Luthi, che segue l'elvetico da ormai dieci anni: fino ad ora il bilancio è straordinario, con 9 titoli vinti, tra cui 3 Slam e altrettanti Masters 1000, su 11 finali disputate. Con la ciliegina sulla torta del ritorno al numero 1 del ranking a oltre 36 anni, più anziano di sempre nel circuito. "La maggior differenza fra allenare e giocare è che il giocatore è il boss - ha spiegato Ljubicic in un'intervista concessa a Rotterdam al sito dell'ATP, una delle rare da quando allena il Re di Basilea -. Il giocatore deve essere mentalmente forte, perché in campo è lui che prende tutte le decisioni. Come allenatore, devi metter da parte il tuo ego ed essere sicuro di fare tutto quello di cui il giocatore ha bisogno per esprimersi come atleta e come persona”. Il 38enne croato ha cominciato la sua carriera da coach prendendo sotto la propria ala Milos Raonic dal 2013 al 2015, appena un anno dopo il suo ritiro dal tennis giocato:“Sia con Milos che con Roger non ho mai pensato a un impatto a breve o a lungo termine. Ho pensato: “Come posso migliorare un giocatore, come posso migliorare questo, che cosa bisogna fare?”. La verità è che se non hai un impatto veloce non ci possono essere progetti a lungo raggio. E questa è la parte insidiosa. Perché ci vuole anche tanta fortuna, perché hai bisogno subito di ottenere risultati per acquisire la fiducia del giocatore. Non importa quanto sia sicuro che il giocatore sia in fiducia e in confidenza con l’allenatore, se dopo un po’ io risultati non arrivano, sorgono comunque un bel po’ di problemi”.
Ljubicic: "Il segreto? Ascoltare..."
Ljubicic si è messo a completa disposizione di Federer, che segue 365 giorni l'anno in tutto il mondo: "La mia idea è che se vuoi fare qualcosa nel tennis devi essere pronto a viaggiare, non puoi star seduto a casa. La differenza maggiore rispetto al passato è che ora, quando sono a casa non ho bisogno di allenarmi e trascorro quindi del tempo di qualità con mia moglie e i miei figli. I segreti? Quando si parla di allenare al livello più alto, devi essere pronto ad ascoltare molto. La cosa più importante è capire il giocatore. Ascoltarlo all’inizio del rapporto e in generale, per capire e aiutarlo. Se cominci il lavoro con un atleta a metà stagione, come mi era successo con Raonic, non puoi dire: “Voglio cambiare tutto, perché è così che si fa”. Non può funzionare così. Se alleni un giocatore che è in giro da un po’ ha acquisito idee ed abitudini sue, ha le proprie opinioni su un sacco di cose e devi scegliere su quali temi vuoi davvero lottare, su ciò che pensi avrà il maggiore impatto sul gioco o sul risultato”. Ljubicic ha lavorato per 15 anni con Riccardo Piatti ai tempi in cui era un giocatore, ma il tecnico italiano non è l'unico a cui si ispira: "Quando Annacone allenava e io ancora giocavo, gli ho chiesto: “Che cos’è fare il coach?”. Ero curioso e lui mi ha risposto che la cosa più importante è ascoltare. Se vuoi migliorare come coach, devi ascoltare, studiare e guardarti attorno, perché non puoi mai sapere quale informazione può tornarti utile. La parte più dura è conoscere il limite. Quando devi lasciar correre e quando invece devi dire qualcosa. Questa è forse la parte più complicata del lavoro. Da allenatore non puoi essere egoista. Devi capire. E’ anche meglio se un giocatore commette un errore facendo qualcosa che è contrario a ciò che pensi. Perché è lui che va in campo e vince le partite. Nella mia carriera ho avuto tanti ruoli diversi, ma continuerò a pensare che è il giocatore a portare avanti lo show”. Ljubicic sembra avviato a una lunga e proficua carriera da allenatore: "Da giocatore puoi fare quello che ti pare, da allenatore devi stare in standby per tanto tempo - ha spiegato il croato -. Allenare è la cosa più vicina a giocare a tennis: mi piace l’adrenalina che trasmette, le emozioni a volte sono molto forti, ma non saranno mai come quando giochi, quando vinci o perdi. Non puoi paragonarle. Sono sensazioni simili ma di minore intensità. Devi ricevere il rispetto del giocatore. L’esperienza può essere qualcosa che hai seguito personalmente o che hai visto in tv. Quando parlo cerco sempre di mettere un punto preciso, cerco di creare l’impatto, non parlo tanto coi giocatori e quelli che ho seguito possono confermarlo. Ma se devo dire qualcosa, lo dico chiaramente”.