La prima partita a settembre del 2016, mano nella mano contro l’Everton. Diego Costa che gioca con lui e “Brads" che segna un rigore poi gol del mese della Premier League. Wembley, le mani alle orecchie per il frastuono in Nazionale, e ora quel tatuaggio. Indelebile come la loro amicizia
L’eroe che diventa amico. La star del calcio che scende dal suo Olimpo e si sdraia in un letto di ospedale accanto a lui. Defoe quel giorno era diventato soltanto Jermain, lì insieme a Bradley, “Brads” - come quel tatuaggio sul polso destro che adesso si porterà dietro per tutta la vita. Indelebile e inciso sulla pelle, come il ricordo del piccolo Bradley, Lowery di cognome. Diventato simbolo alla lotta a quel neuroblastoma che l’ha strappato dall’abbraccio che tutta l’Inghilterra e il mondo del calcio gli aveva riservato. Legame speciale quello tra i due, tra l’ex idolo e un bambino poi diventato migliore amico fin dal primo incontro nel settembre del 2016. Da una parte chi nel Sunderland ci giocava, e segnava tanti gol. Dall’altra il piccolo con un tubicino che entrava nella narice, ma anche con gli occhi pieni di emozione nell’essere a tu per tu con quel gigante del pallone che una volta guardava solo in tv. L’Everton l’avversario del giorno, lo stadio pieno e tutto il pubblico a intonare quella frase che poi il maxi schermo proietterà col suo piccolo viso sorridente, e i due pollici alti: “There's only one Bradley Lowery”. Sì, uno solo che però diventerà poi un simbolo, per tanti. Lo Stadium of Lights, lo stadio della luce, è pieno, e batte le mani a ritmo. E Brads? Semplice: “È stato fantastico. Ho incontrato Jermain Defoe, il mio calciatore preferito, e tutti hanno urlato il mio nome. Grazie!”. Detto con la tenerezza e l’energia che solo un bimbo può avere. Fuori, prima della partita, tutti i programmi in vendita avevano una scritta: “Il ricavato in beneficenza per supportare la lotta di Bradley”. Che intanto abbracciava il suo nuovo amico che lo portava in trionfo di fronte a oltre 40mila spettatori.
Poi i due si sono rivisti. Spesso, anzi, quasi sempre. Quando Bradley era in forze e poteva scendere in campo mano nella mano con Jermain, che nel frattempo in partita segnava e regalava sempre un pensiero speciale dopo ogni rete al grande amico. A dicembre contro il Chelsea nel riscaldamento in campo c’è anche Brads: scarpette dell’Adidas, calzamaglia nera e guantini rossi, perché in Inghilterra, si sa, fa sempre freddo. A fine partita la foto con tutti i Blues che a stagione conclusa vinceranno il campionato. Prima i palleggi col burbero Diego Costa, uno che in campo lotta e attacca brighe praticamente con chiunque ma che poi ha un cuore grande così. Lo spagnolo gioca con lui e poi gli sistema il pallone fermo in area per un calcio di rigore. Begovic, tra i pali, si butta dalla parte opposta e tutto lo stadio esplode: “Gol! Gol!” - Bradley ha segnato. E qualche giorno dopo la Premier League eleggerà la sua rete come la più bella del mese di dicembre, come si fa coi grandi fuoriclasse. Perché Brads è diventato, e per sempre sarà, proprio quello: un fenomeno, del sorriso e di resilienza, come quando un paio di mesi dopo è Defoe a fargli visita, in ospedale. “Quel giorno entrai nella sua stanza e lui mi saltò al collo, dicendomi: ‘Su, entra nel letto con me’. Allora mi ha coperto e poi ha chiesto a sua mamma: ‘Non è che potresti spegnere le luci? Grazie’ ”. Perché l’amicizia, quella vera, è anche una cosa scontata. E naturale. Defoe? “Dite a Moyes che domani mattina all’allenamento non vengo, sto qui col mio amico”. Quella notte e per sempre.
(Foto Twitter @Bradleysfight)
La lotta col neuroblastoma il piccolo Bradley la perderà di lì a poco, nel luglio del 2017. Quando la famiglia, il mondo della Premier League, l’Inghilterra ma anche e soprattutto Jermain si sono fermati a riflettere su quel bimbo di soli sei anni che oggi non c’è più. Ma che vivrà per sempre nel loro ricordo. Indelebile come le grandi emozioni: le ovazioni del pubblico di Sunderland, il gol al Chelsea e anche quel debutto in Nazionale da far impallidire tutti i fuoriclasse d’oltre Manica. Il giorno cade a marzo, nell’amichevole contro la Lituania dove Defoe torna a vestire la maglia dei Tre Leoni quattro anni dopo l’ultima volta. Non è capitano ma entra comunque in campo per primo, ovviamente con Brads a tenergli la mano poi mollata per usarla, entrambe, per coprirsi quelle orecchie non abituate all’ovazione di Wembley, tempio sacro del calcio di tutti i tempi. L’immagine diventa così la più tenera che questa, e tante altre storie, abbiano mai raccontato: ”Era il mio migliore amico. Lui era genuino. Amava il calcio. Lui mi amava e io l'amavo. Non c'era niente che potessi dargli se non la mia amicizia”. Quella vera e che non finirà mai. Ricordi che rimarranno per sempre. Come il tatuaggio “Brads” inciso proprio sul braccio destro, che usi quando vuoi portare la mano sul cuore.