Azzurri poco convincenti contro la Polonia devono rifarsi contro il Portogallo. Siamo in una fase di sperimentazione, ma le colpe non possono essere tutte attribuibili a Mancini: il problema è generazionale. L’Italia paga l’inesperienza: esclusi Bonucci e Chiellini, i nove azzurri di Bologna hanno una media di presenze in Champions sotto le 10 gare
Ripartire non è mai semplice, rifondare ancor di più. Ma è necessario. Perché l’Italia deve tornare grande, ripartendo dai piccoli. Ossia dai Settori Giovanili, dal calcio di base. E’ fondamentale investire e ritrovare lo smalto perduto dei tempi di Totti, Buffon, Cannavaro e Del Piero.
Un problema generazionale
Ho dei dubbi sul modulo utilizzato da Mancini nella partita contro la Polonia con il centrocampo a 4. L’unico attorno a cui può girare la Nazionale è Jorginho, un giocatore che il meglio lo dà quando ha al fianco due giocatori a supporto, magari di qualità. Sarebbe un cambiamento epocale passare da Bonucci e Chiellini a Caldara e Romagnoli, peraltro con il milanista ancora non inserito nella difesa a 4 di Gattuso. Siamo in piena fase di sperimentazione, ma la Nations Cup è partita e c’è anche il rischio di retrocessione alla zona B e sarebbe pesante quanto almeno l’uscita dal Mondiale.
Credo che le difficoltà di Mancini nel definire la squadra ci stiano, ma la colpa non può essere del Ct: penso che il problema sia più generazionale e un po’ la situazione del calcio italiano. Abbiamo giocatori di seconda o terza fascia. Complessivamente, se togliamo Chiellini e Bonucci che insieme fanno 75 anni- e calcoliamo gli altri nove scesi in campo, hanno una media di presenze in Champions sotto le 10 gare. Significa che mediamente ogni giocatore che è andato in campo a Bologna della Nazionale non ha fatto neanche una stagione completa di Champions. In Nazionale ti vai a confrontare con squadre che hanno, con un solo giocatore, la stessa esperienza Europea che noi italiani abbiamo con tutti gli 11 che vanno in campo. E’ un problema serio che è necessario affrontare: sono ormai 12 anni che non riproduciamo una generazione vincente.
Investiamo sui giovani
In questi ultimi anni il sistema calcio – dal punto di vista delle Nazionali- si è ammalato. Noi li avevamo i giocatori che a 20 anni giocavano e vincevano nei top club (vedi Totti, Del Piero, Buffon, Cannavaro), oggi nel migliore dei casi, prendono parte all’Europa League e non alla Champions. I giocatori di oggi non hanno l’abitudine alla gestione emotiva di certe situazioni. Oggi nei settori giovanili si mira a vincere, per molti allenatori vincere nel settore giovanile significa fare quel salto nei professionisti e guadagnare di più. Mentre la visione dei club dovrebbe essere ribaltata, giusto pagare gli allenatori di base anche bene, però il fine deve essere quello di allenare il talento, far crescere i giovani. Aggiungo che la figura del CT è importante, ma non decisiva. In pochi giorni è difficile lasciare il segno, bisogna invece investire sulla base, sui centri territoriali, sui settori giovanili. Se tutti gli altri paesi hanno investito in questo senso, perché non farlo anche noi?
La mia proposta
La mia proposta è questa: pagare, e bene, un allenatore se porta un giocatore a giocare in Serie A. Invece che pagarlo se vince il campionato. Pagalo se due, quattro giocatori (come succede all’Atalanta) arrivano a giocare in Serie A. Sarebbe un incentivo a far crescere i giocatori e poi, fino ai 14/15 anni, lasciamoli liberi di giocare, inutile fare la tattica prima di quell’età. Vinci in campo se hai la qualità, te lo dimostra la Spagna…